Circa quattro anni prima di essere ucciso, quando era ancora primo ministro del Libano, Rafiq Hariri mi raccontò indignato una storia a proposito della sua lotta contro Hezbollah. «Volevano seppellire alcuni dei loro “martiri” morti combattendo contro gli israeliani davanti all’aeroporto internazionale di Beirut», mormorò
«Si immagina cosa avrebbe significato? Noi volevamo mostrare al mondo una nuova Beirut e le tombe dei membri di Hezbollah sarebbero state la prima cosa che i turisti in arrivo in Libano avrebbero visto. Una volta sepolti, non sarebbe stato più possibile spostarli. Sono riuscito a fermarli». «Come?» chiesi. Hariri alzò semplicemente la mano destra in aria, per mettere fine all’argomento. Doveva aver raggiunto un compromesso con Sayed Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah. Non mi disse nient’altro. Solo Nasrallah oggi sa di che compromesso si trattasse, perché adesso l’aeroporto è stato rinominato Martyr Rafiq Hariri International Airport – l’anno scorso ad Hariri è toccato in sorte di diventare il «martire» associato ai nuovi terminal e alle piste di decollo – e gli stessi sostenitori di Nasrallah sono accampati nel centro di Beirut, a meno di cento metri dalla tomba di Hariri, a chiedere le dimissioni del governo eletto, sostenuto dal figlio di Hariri, Saad.
Bisogna andare nella Piazza dei martiri per percepire l’assoluta convinzione con cui gli sciiti del Libano (la setta religiosa più grande del paese, per quanto non la maggioranza) protestano contro il governo guidato dall’ex consigliere economico e amico di Hariri, Fouad Sinora. Centinaia di uomini della sicurezza di Hezbollah con i loro cappellini bianchi da baseball isolano le strade in modo da impedire il contatto con le truppe libanesi a guardia dell’antico palazzo ottomano di Sinora, in cui il primo ministro e i suoi alleati mangiano, dormono e lavorano. Controllano tutte le borse come i normali poliziotti. Ma i ministri sciiti hanno dato le dimissioni. Se la continua richiesta di Hezbollah per le dimissioni del governo è incostituzionale, altrettanto incostituzionale sembra essere il gabinetto di Siniora, adesso che non ci sono più gli sciiti. La manifestazione di massa della scorsa domenica a Beirut è terminata con il ritorno pacifico alle proprie case di centinaia di migliaia di manifestanti, sotto l’occhio vigile delle guardie di Hezbollah. Molti libanesi hanno erroneamente letto in questa conclusione della giornata il fallimento dei manifestanti – i sostenitori di Hezbollah non sarebbero emotivamente in grado di scatenare la violenza – ma si sbagliavano. I toni discreti della manifestazione hanno dimostrato la disciplina di Hezbollah, non la sua debolezza. Dal canto suo, il governo libanese non dovrebbe dimenticare con quanta forza e crudeltà Hezbollah ha lottato la scorsa estate per 34 giorni contro gli israeliani. Forse non c’è stata la «vittoria divina» di cui si è vantato Nasrallah, ma certamente è stata una sconfitta per gli israeliani. Quando circa duemila di loro sono riusciti a entrare in Libano sono inorriditi nel vedere che alcuni dei combattenti di Hezbollah avevano uniformi israeliane e, fatto molto più grave, erano in possesso delle immagini di ricognizione aerea israeliana delle posizioni di Hezbollah in Libano. Hezbollah ricorre all’uso delle droghe come mezzo di scambio e nel sud del Libano è risaputo che gli uomini di Hezbollah smerciano droga con le guardie di frontiera israeliana in cambio delle immagini fotografiche di ricognizione. Alcuni dei membri di Hezbollah leggono l’ebraico e hanno subito capito quali dei loro rifugi erano stati identificati e quali erano rimasti nascosti agli israeliani. Quando la guerra ha avuto inizio, il 12 luglio, Hezbollah aveva già provveduto a evacuare i bunker noti agli israeliani e ha atteso il nemico nei rifugi in cemento armato sconosciuti ai nemici.
Un sondaggio di opinione del centro per la ricerca e l’informazione di Beirut, per esempio, indica che il 73,1 per cento della popolazione è favorevole all’idea di un governo di unità nazionale (la stessa richiesta fatta da Hezbollah). Ma se si divide questo dato in base al gruppo religioso di appartenenza, risulta che il 94 per cento degli sciiti e il 50 per cento dei cristiani non considerano più legittimo il governo di Siniora, mentre l’83 per cento dei sunniti e il 90 per cento dei drusi è convinto dell’esatto opposto.
L’ex generale Michel Aoun è il leader maronita bizzarro, spaventoso e messianico tra i cui sostenitori si trovano molti dei cristiani che si oppongono a Siniora. Aoun, che ha parlato alla manifestazione di domenica indossando un cappello e una maglietta di un arancione acceso, costituisce il fondamentale elemento multiconfessionale che consente a Nasrallah di affermare che le proteste contro il governo non sono solo sciite. Molti musulmani sunniti, drusi e cristiani favorevoli al governo sono convinti che la vera ragione del patto di Aoun con il «partito di Dio», è il suo desiderio di diventare presidente del Libano. Perché tutti siano così interessati a governare il Libano rimane un mistero per me e per molti libanesi, ma per via del disperante patto tra confessioni in vigore nel paese il presidente dev’essere un cristiano maronita, cosa che lui per l’appunto è.
Sono diversi i ministri del governo che pensano che Aoun sia uscito di senno. Per almeno due anni, fino a quando i siriani lo hanno cacciato a suon di bombe dal palazzo presidenziale nella zona est di Beirut con il permesso degli americani, nel 1990, si è illuso di essere il presidente del Libano, e di governare il paese con l’aiuto di soli tre ministri, tutti cristiani e di cui uno generale dell’esercito, dopo che i suoi potenziali colleghi musulmani se n’erano andati. Per tutto quel periodo un altro governo libanese governava nella zona ovest di Beirut, con un’amministrazione che alla fine si rivelò quella vera quando Aoun abbandonò il suo palazzo in fiamme in pigiama, su un mezzo blindato, per chiedere asilo presso l’ambasciatore francese.
Nella personalità di Aoun sembra esserci una spaccatura profonda che lo porta a chiedere l’unità nazionale da un lato e a fare di tutto per dividere il paese dall’altro. Non ritenne un problema cercare di governare il Libano senza i ministri musulmani nel 1990, ma oggi considera una grave offesa che Siniora sia rimasto al posto senza membri sciiti nel suo governo. A chiunque abbia vissuto a Beirut quanto me (una trentina d’anni) sarà capitato prima o poi di sperimentare uno strano fenomeno che chiamo la sindrome della «domanda ovvia»; capire con un brivido che ci sono dei fatti straordinari della vita che qui non sono mai stati seriamente studiati o su cui non si è riflettuto abbastanza. Com’è possibile, mi chiedo, che questo piccolo paese che probabilmente conta solo cinque milioni di persone può ossessionare, affascinare e alternativamente detestare o amare gli Stati Uniti, Israele, la Siria, l’Iran, le forze Onu di Francia, Italia, Germania, Spagna, India, Fiji, Cina, Turchia, Irlanda, Ghana, Polonia; com’è possibile che quando se ne pronuncia il nome improvvisamente il Libano occupa intere settimane di lavoro del consiglio di sicurezza dell’Onu? Questa settimana il principale responsabile dell’inchiesta sull’omicidio di Hariri presenterà un altro rapporto al segretario generale dell’Onu che potrebbe – o non potrebbe, se George W. Bush seguirà il consiglio di James Baker di mantenersi amica la Siria per poter contare sul suo sostegno in Iraq – indicare come responsabili del crimine gli assassini di Damasco.
In parte l’influenza del Libano su paesi ben più pericolosi e potenti di lui è dovuta alla sua posizione strategica in Medio oriente. Ma questo non basta a spiegare il fascino esercitato dal Libano. Credo che questo fascino sia piuttosto dovuto agli stessi libanesi e alla loro capacità di condensare in un piccolo paese tutte le contraddizioni (religiose, culturali, politiche, sociali) dell’enorme e terribile regione di cui il Libano fa parte. Qualsiasi crisi mediorientale qui si ripropone in miniatura, in una forma eterea ma pur sempre angosciante, nel suo popolo estremamente intelligente e cosmopolita.
La guerra israelo-palestinese? Dai 200mila ai 360mila rifugiati palestinesi vivono in estrema povertà nei quartieri poveri del Libano. Sono i sopravvissuti del grande esodo arabo dalla Palestina in seguito alla fondazione di Israele, nel 1948. Quando nel 1982 Israele tentò di sconfiggere la resistenza palestinese nei territori occupati provò a soffocare la guerriglia in Libano con un’invasione sanguinosa e inutile finita con il terribile massacro dei palestinesi per mano degli alleati di Israele negli accampamenti di Sabra e Chatila. Quando ebbe inizio la guerra tra Iran e Iraq, per le strade di Beirut i sostenitori dei due bandi lottarono gli uni contro gli altri. Quando la guerra ebbe fine, Saddam spedì molti dei suoi carri armati e dei suoi blindati che per lui erano diventati superflui nientemeno che al generale Aoun, che stava combattendo contro i nemici baathisti siriani dell’Iraq. Quando l’Iraq è caduto in preda all’anarchia dopo l’invasione del 2003, i palestinesi e i libanesi sunniti sono partiti da Tripoli e da Sidon per diventare attentatori suicidi contro le forze Usa in Iraq, mentre il conflitto interreligioso in Mesopotamia faceva tremare la terra tra i sunniti e gli sciiti del Libano.
L’altro alleato di Nasrallah, la Siria, è lo stato arabo che getta l’ombra più sinistra sul Libano. La leadership siriana è composta per lo più da alawiti – un ramo degli sciiti -e la Siria è anche l’unico alleato arabo dell’Iran. Qualche anno fa scrissi che se l’esercito siriano avesse abbandonato il Libano sarebbe scoppiata un’altra volta la guerra civile, e se così non fosse stato, la Siria avrebbe fatto di tutto per scatenarla. Esattamente ciò che i libanesi adesso sospettano che la Siria stia minacciando di fare attraverso Hezbollah. Ecco perché gli uomini di Siniora parlano di un tentativo di colpo di stato iraniano-siriano. Ecco anche perché il leader dei drusi, Walid Jumblatt, è convinto che il ritiro militare della Siria dell’anno scorso sia stato sostituito da un terribile vicino che, attraverso la morte di personalità antisiriane in Libano, sta cercando di tornare. Un governo di «unità nazionale» darebbe più potere agli alleati libanesi della Siria. Sia il Libano che la Siria ottennero la loro indipendenza dai francesi nel 1946 e condividono una stessa storia e una stessa lingua. Ma come ha fatto notare Hazem Saghieh nel giornale arabo Al-Hayat, la Siria ha scelto «l’unità» mentre il Libano ha scelto «la libertà». Sarà difficile che la bandiera siriana sventoli felice accanto a quella libanese.
La Siria ha sempre guardato oltre se stessa, alla fratellanza araba e al nazionalismo. Il Libano invece guarda a se stesso, alle sue divisioni interreligiose, alle sue città divise. Se la Siria si è definita «il cuore pulsante dell’arabismo», il Libano si diceva contento di essere «l’unica democrazia del medio oriente», anche se entrambe le affermazioni erano più felici sulla carta che non nella realtà. Il populismo siriano sfidava l’individualismo libanese.
Siamo tornati con le nostre forze militari nel Medio Oriente, con dei numeri senza precedenti; abbiamo fornito ai nostri alleati israeliani armi come mai prima. Siamo rimasti intrappolati in Iraq e stiamo subendo una sconfitta nel sud dell’Afghanistan. La guerra civile o qualcosa di molto simile è scoppiata nelle terre che occupiamo. Adesso lo stesso destino incombe sul Libano. Certo, l’America sosterrà il governo democraticamente eletto di Siniora contro l’asse del male dell’Iran e i baathisti siriani. Ma Siniora, «il nostro uomo» in Libano, è davvero nei guai. In tutta la regione si osserva il collasso inarrestabile del potere imperiale americano. Non sarà un momento felice; potrebbe essere terribile. Il Libano potrebbe essere la cartina di tornasole che proverà che è tutto vero.
Copyright The Independent
(traduzione di Sara Bani)