Il femminismo, forza di sovversione che appartiene a tutti?

E’ possibile e matura, in un mondo che sembra insidiato dal rischio di una involuzione apertamente reazionaria (guerre “per la democrazia” e fondamentalismi terroristici, restaurazione “patriarcale” e clericale, ideologie razziste, ecc.), una relazione tra uomini e donne che assuma il significato di una rottura, di uno scarto simbolico capace di informare di sé una politica di segno diverso? Ed è sensato pensare che questa nuova relazione possa tentare i primi passi partendo da uno scambio non più episodico sulla realtà attuale del conflitto tra i sessi, e su come esso è nominato, rappresentato nel discorso pubblico?
Qualche risposta a queste domande potrà venire da un incontro organizzato oggi a Roma, alla Casa internazionale delle donne, per iniziativa dell’associazione DeA – Donne e Altri (www. donnealtri. it), della Fondazione Basso e dell’associazione Generi e Generazioni, sul tema, appunto, “Donne e uomini nello spazio pubblico: conflitto, relazione, linguaggio”.

L’idea di proporre un dialogo più ravvicinato a femministe di orientamento e generazione diverse, e a uomini – anch’essi di generazioni diverse – che nel tempo si sono espressi con apertura rispetto al pensiero e alla pratica del femminismo, nasce da un intreccio di segnali, di occasioni, motivazioni, relazioni personali e politiche. Questo giornale ha aperto da tempo un confronto molto ricco sul femminismo e sulla sua “uscita dal silenzio”. E mi sembra significativo che, nel volgere di pochi mesi, e dopo il successo di iniziative come la manifestazione del 14 gennaio a Milano in difesa della legge 194 (ma con un significato assai più ampio), dall’idea del “silenzio” si sia passati a un capovolgimento totale di questo termine. Piero Sansonetti ha scritto per l’8 marzo che «la lotta tra i generi… non è un problema fondamentale della politica, ma è il problema dei problemi. E’ il punto di partenza». Con le parole dirette e efficaci del titolo del libro che ha raccolto buona parte di questo dibattito, è “il cuore della politica”.

Considerazioni che mi hanno fatto venire in mente un altro titolo. Quando l’avevo letto sul primo numero di “Via Dogana”, alla fine degli anni ’80, mi era sembrato azzardato e persino oscuro: “La politica è la politica delle donne”. Lo ricorda oggi Lia Cigarini – sulll’ultimo numero della rivista della Libreria delle donne di Milano, Sessi e generazioni – in un articolo in cui si pronuncia con decisione per un superamento delle esclusive pratiche separatiste del femminismo, e scommette sulla possibilità di una “mediazione maschile” perché la “forza di sovversione” della differenza femminile, del pensiero e della pratica a cui ha dato origine, possa contribuire a cambiare una «politica degli uomini che appare sempre più misera, autoreferenziale e senza idee».

Un nuovo azzardo? E’ probabile che molte donne lo considerino tale, e che molti uomini non capiscano bene il senso di questa apertura. Ma è vero che alcuni uomini da qualche tempo si sono dimostrati assai sensibili a una simile prospettiva. Lia Cigarini cita Mario Tronti, Sergio Bologna, Christian Marazzi. Negli ultimi mesi si sono susseguiti convegni e incontri con la partecipazione di Marco Deriu, Stefano Ciccone, Claudio Vedovati, Sandro Bellassai, il gruppo “Identità e differenza” di Spinea, altri gruppi di Pinerolo (“Uomini in cammino”), della Toscana, di Verona. A Bologna l’associazione “Maschile plurale” ha lanciato un appello a sostegno dell’azione della Casa delle Donne contro la violenza che ha raccolto molte firme di uomini (“… ci riguarda tutti”).

A un recente seminario sulla crisi dei partiti e la ricerca di pratiche politiche di tipo nuovo, promosso da Aldo Tortorella e dall’Associazione per il rinnovamento della sinistra, Giacomo Marramao ha riaffermato l’esigenza di «ripartire tutti dalla frattura longitudinale introdotta, a partire dagli anni ’70, dal “pensiero della differenza”, fenomeno dirompente e di rilievo internazionale», per tentare di declinare una nuova idea di società e un nuovo universalismo. E Maria Luisa Boccia ha ricordato come la politica delle donne abbia prodotto efficacia e rapporto con la vita pur senza costruire una “organizzazione”. Quella dimensione organizzativa che è stata la forza dei partiti tradizionali ma che si è poi capovolta nella loro più grave e a tutt’oggi irrisolta crisi. (Gli interventi di Marramao e Boccia sono pubblicati, con altri, sul numero 5/2005 di “Critica marxista”).

Infine, significherà pur qualcosa che due uomini così distanti per posizione politica e formazione culturale come Toni Negri, e il coordinatore nazionale di Forza Italia Sandro Bondi, abbiamo scritto quasi contemporaneamente due testi che, certo da ottiche diversissime, affidano alla differenza femminile la speranza di una politica e di un mondo migliori (rispettivamente: La differenza italiana, nottetempo; La civiltà dell’amore. Politica e potere al femminile, Mondadori).

Dunque una “svolta” è a portata di mano? Non lo penso. La possibilità di relazioni tra uomini e donne realmente capaci di emanciparsi dalle vecchie strutture simboliche, se si è verificata con cambiamenti radicali nelle nostre vite quotidiane – ma soprattutto per iniziativa delle donne, e al prezzo anche di contraddizioni dolorose – stenta ad affermarsi dove il potere (maschile) è più strutturato (politica, economia, giornali, accademia). E deve comunque fare i conti (ne parla, sempre sul citato numero di “Via Dogana”, Ida Dominijanni) con la complessità asimmetrica dei riflessi sulle relazioni tra donne e tra uomini che può produrre. D’altra parte a fronte di una crisi manifesta delle culture politiche maschili, esiste una articolazione sempre più ricca di tendenze diverse anche nel femminismo e in quello che ha prodotto. Non senza conflitti.

Partire da una riflessione sui linguaggi, sulle nuove modalità di comunicazione (la rete di Internet, al di là di una certa retorica, ha effettivamente aperto nuove possibilità di accesso e di elaborazione, e anche di autorganizzazione), e su una nuova capacità di lettura di una realtà che è sempre costituita dai due sessi (come il mondo mediatico e spettacolare in cui siamo immersi a mio giudizio registra sempre più spesso), può essere un modo, come dire, prudente, di affrontare quello che ancora Marramao, citando la principessa Irulan di Dune, definisce come un “inizio”, un «momento di fragili equilibri». Un aiuto a rendere meno fragili gli equilibri potrebbe forse essere la scelta di alcuni uomini, capaci di riconoscere la nuova libertà e autorità femminile, di affermarlo andando oltre quelli che finora sono stati una serie di percorsi e ricerche soprattutto individuali. Ma questo è solo un altro interrogativo.