Giovedì mattina, ore 9, ultimo giorno della campagna elettorale, calle Brasil 23, il modesto «comando» elettorale del candidato Tomás Hirsch e della lista Juntos podemos más. Il variegato e disperso mondo della sinistra cilena esclusa, finora, dal parlamento per via della legge elettorale scientificamente infame; dai dibattiti televisivi per via che i network sono tutti sotto il controllo politico o di proprietà della destra (come Chilevisión che è di Sebastian Piñera); dai giornali per la stessa ragione; dagli inviti ai tavoli che contano, come quello dell’Enade (i padroni) che, nella campagna elettorale del `99 chiamò i candidati Lavín e Lagos a presentare i loro programmi di governo ma sbattè letteralmente la porta in faccia alla candidata comunista Gladys Marín. Questa volta non è stato così. Hirsch, per tutti Tomás, ha aperto qualche breccia in quel muro fatto di paura, risentimento e disprezzo. Forse perché lui comunista comunista non è – è del Partido Humanista – o forse perché quel 10% di voti raccolti dalla sinistra non per sua scelta «extra-parlamentare» nelle municipali del 2004 potrebbe rivelarsi molto importanti in vista di un probabile ballottaggio, o forse perché – dicono anche i maligni – i voti in più per Tomás, quelli del disincanto di una sinistra delusa e critica (con ragione) dalla Concertación e soprattutto dal socialista Lagos, sono voti in meno per Michelle. Per cui i giornali hanno cominciato a parlare molto di lui. Sta di fatto che Hirsch per la prima volta è stato ammesso al salotto buono: all’incontro promosso con gli altri tre candidati dagli imprenditori e ai dibattiti televisivi. Il resto l’ha fatto lui, con la forza delle sue proposte politiche «di senso comune» e il suo appeal personale che ha avuto buon gioco con la simpatia naturale di Bachelet, fortemente limitata dal suo discorso «di continuità», e con la demagogia impudente dei due di destra che facevano a gara a chi le sparava più grosse (attaccando Lagos «da sinistra» su povertà e «uguaglianza», promettendo tagli fiscali ai grandi gruppi e la pensione alle casalinghe).
Per non farla lunga: Hirsch è divenuto un fattore. Il «fattore H». E’ riuscito a raccogliere i resti dispersi e depressi della vecchia sinistra – il Pc, il Mir, la Izquierda Cristiana, – e a ridare un po’ di entusiasmo a indipendenti e soprattutto giovani schifati più che delusi dai governi di centro-sinistra. Giovedì mattina ha affittato un pullman e, seguito da un codazzo di macchine con musica, jingles, poster e clacson ha battuto fino alle 8 di sera tutta la grande cintura povera e popolare di Santiago, saltando – peccato – solo i barrios ricchi del nord e dell’est («una perdita di tempo»). Discorsi brevi, poca ideologia, al sodo: «l’economia che cresce e i cileni che se la passano così male», «l’istruzione e la salute ridotte a merci per ricchi», «la costituente e la ri-nazionalizzazione del rame come primi punti del nostro governo». Un governo che non ci sarà. Ma un candidato che sembra capace di riesumare una sinistra diffusa che o non si è mai ripresa dalle devastazioni del pinochettismo o è passata armi e bagagli dall’altra parte. Come i socialisti (e molti ex-«estremisti» del Mir).
Lei ha detto che quello del socialista Lagos è stato il peggiore dei tre governi della Concertación. Un giudizio drastico…
Lo confermo. Se lo si guarda dal punto di vista delle grandi imprese, non c’è stato in questi 15 anni un presidente migliore – non è un caso che i maggiori gruppi economici gli scodinzolino intorno. Il governo di Aylwin fu di transizione. Il governo di Frei approfondì il modello economico della dittatura. Qello di Lagos si è presentato con discorsi di sinistra e ha fatto il gioco della destra. Per questo è stato il peggiore.
E Michelle Bachetet, che dice che cambierà nella continuità?
Michelle è una persona buona e capace. Dovrebbe stare con noi. Sa bene che non potrà fare tutto quello che vorrebbe perché è circondata dalla stessa gente, poteri forti che spingono verso il neo-liberismo.
E’ innegabile che il Cile sia cambiato molto nei 15 anni di «democrazia»…
Il Cile è cambiato, ma la sua democrazia è solo formale. E’ incredibile che ci sia ancora la costituzione pinochettista dell’80. L’hanno emendata, però una costituente per scrivere una costituzione democratica non la vogliono. Come dicono sempre che cambieranno il sistema elettorale binominale, che è infame, però poi tutto rimane come prima. Perché conviene a entrambi, alla destra e alla Concertacíon.
Quanto conta di prendere nelle elezioni di domani?
I sondaggi mi attribuiscono dal 3 al 12%. Se prenderò il 7% e riuscissimo a eleggere il primo deputato di sinistra sarebbe un trionfo storico dopo 35 anni di esclusione.
In caso di ballottaggio fra Bachelet e uno dei due di destra, per chi voterà?
Mi dispiace, ma voterò nullo.