Il doppio errore di Epifani e Prodi

Deve essere stato forte il ricatto dei Dini e Mastella perché Romano Prodi mettesse con le spalle al muro il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani: o sigli il protocollo su pensioni e welfare, o mi dimetto e cade il governo. E dev’essere stato ben incerto sugli umori della sua confederazione Epifani se non gli ha risposto: non posso, non ne ho il mandato. Ha siglato come Trentin nel 1993, ma diversamente ‘da Trentin non si è dimesso. E lunedì ha rilanciato aprendo una caccia alle streghe di Corso d’Italia, innanzitutto i metalmeccanici.
Prodi ed Epifani sbagliano sul presente e sulle prospettive. Prodi non mantiene gli impegni elettorali assunti con le sinistre e così facendo si consegna a un centro che lo scaricherà appena avrà i nurheri al Senato, Ed è anche miope pensare che la sinistra lo seguirà dovunque vada perché non ha alternative. A forza di mollare essa rischia di sfarinarsi e quando non restasse in area che il Pd, per Prodi sarebbe finita. Dico Prodi ma la sua non è un’ambizione personale, è un’idea che ha mandato regolarmente in tilt tutte le sinistre democristiane.
E così sbaglia Epifani. Se la Cgil diventa come il sindacato di Bonanni, ha cessato di esistere. Né ha senso che egli dica che sta rispettando il referendum dei lavoratori del 9-11 ottobre. Quel referendum, se tale era, andava fatto prima di negoziare con Prodi, e non è stato fatto perché si poteva dubitare che ne sarebbe venuto un mandato assoluto. Neppure una rapida consultazione con i vertici sindacali è stata fatta a luglio. A cosiddetto referendum si è fatto dopo, quando i lavoratori si sono trovati a esprimersi non prò o contro il protocollo ma prò o contro il segretario della Cgil. Susanna Camusso s’è inquietata con la sottoscritta perché ho detto che i lavoratori non avevano un’idea chiara di quel dispositivo, ma sfido un deputato che non sia Damiano a spiegarlo con parole sue – è un inverecondo minestrone, tutti arti-Coli che rimandano ad altri articoli, commi e virgole, indecifrabili per un cittadino normale. E poi ci si lamenta del distacco della gente dalla politica. Se ha un senso la rappresentanza, è che la discussione sia pubblica e chiara. Se ha un senso il sindacato, non fa accordi col governo nel corso del voto di una legge. Se usa la parola referendum deve darsi delle regole, sedi, controlli e tempi. Magari il sì avrebbe vinto lo stesso, ma non saremmo davanti a risultati sorprendenti che – dati Cgil – dicono, senza commento, che si è votato al nord molto meno dell’ultima volta e al sud, in Campania e in Sicilia hanno invece votato tutti, ma proprio tutti, fino a tre volte più della precedente. E con l’interdizione, non so se a termini di statuto (nel qual caso va cambiato d’urgenza), a un sindacato di mantenere il suo no davanti alla Confederazione. Si direbbe il Pei degli anni ’50.
Il più grave è che Prodi ed Epifani sembrano persuasi che sulle pensioni si possa anche non dire il vero, invece che portarle a un riequilibro – il quadro attuale è a dir poco bizzarro se quelle dei dirigenti d’azienda devono essere pagate dai dipendenti – vanno indirizzate verso le assicurazioni private, che non hanno neanche la misera sicurezza di quelle pubbliche. E quanto al precariato ritengono, come Pietro Ichino dichiaratamente liberale, che esso rappresenti inevitabilmente la forma di lavoro del futuro.
Ma a questo punto non si capisce cosa diventi un sindacato, né che cosa distingua un governo di centrosinistra da uno di centrodestra, salvo l’onestà con la quale garantire gli interessi delle imprese. Nonché l’ordine pubblico, qualora i più sfavoriti dovessero cedere alla sfiducia o alla disperazione.