Il problema della precarietà e della disoccupazione caratterizza in particolare il Mezzogiorno e le donne. La conferma arriva dagli ultimi dati pubblicati dal Nidil Cgil, secondo i quali il numero più alto di senza lavoro è tra le donne del sud. Tale “gap” è dovuto al fatto che le donne sono quelle costrette ad assumersi i compiti più onerosi nella cura dei figli, degli anziani ma anche del lavoro domestico. In Italia, tra le donne di età compresa tra i 15 ed i 64 anni, quelle occupate sono 45 su cento. Mentre tra gli uomini della stessa fascia di età, quelli occupati sono 70 su cento.
Analizzando meglio il dato Istat sulla presunta crescita complessiva dell’occupazione, emerge che nel secondo trimestre 2006, a fronte di 536mila nuovi posti, ben 162mila sono connessi al lavoro immigrato: questo caratterizza un fenomeno più di emersione che di reale creazione di una nuova occupazione. Inoltre dei 232mila nuovi occupati tra i 15 e i 50 anni, circa 120mila sono a termine, vale a dire più del 50%. Il tasso di occupazione più alto investe le regioni del nord, con in testa l’Emilia Romagna, il Trentino e la Valle D’Aosta. Situazione allarmante invece in Sicilia, Campania e Puglia, dove si rilevano i tassi di occupazione più bassi. In tutte le regioni del sud si riscontrano tassi di occupazione della componente femminile particolarmente bassa. In Puglia, Campania e Sicilia la quota di donne tra 15 e 64 anni occupate è la metà delle colleghe romagnole.
Se si considerano i tassi di disoccupazione per province, è ancora il Mezzogiorno ad essere in vantaggio. A Catania è occupato solo il 39,6% della popolazione di 15-64 anni. Di questi il 55,7% uomini e il 23,8% donna. Tra le province del Mezzogiorno quella che possiede il tasso più alto di occupazione è Messina, che nel 2005 si attesta al 47,8 %. Se poi andiamo a considerare il tasso di disoccupazione la Sicilia occupa i primi posti. Dove il tasso supera il 16%, questo supera di ben cinque volte le regioni del nord. Il tasso di disoccupazione delle donne siciliane sfiora il 21,6%, quello maschile nettamente più basso (13,4 %). I livelli di disoccupazione più alti si toccano nelle province di Enna, Caltanissetta e Palermo; mentre a Catania si attesta al 15,3 %.
Il mercato
del lavoro in Sicilia
I dati forniti dal Nidil Cgil di Catania forniscono importanti informazioni sull’andamento del mercato del lavoro a Catania e in Sicilia. I dati si riferiscono sia al numero di occupati che di persone in cerca di occupazione, nonché alcuni dati relativi al ricorso alla Cassa Integrazione e Guadagni. Questa è lo strumento attraverso il quale lo Stato interviene a sostegno delle imprese in crisi. La principale fonte statistica sul mercato del lavoro siciliano usata è la rilevazione campionaria sulle Forze di Lavoro che l’Istat conduce ogni anno e che coinvolge circa 300mila famiglie per un totale di 800mila lavoratori in Italia, mentre 5.884 famiglie campione sono siciliane, queste sono distribuite per 100 comuni. Nella regione siciliana nell’ultimo biennio la ricerca occupazionale riguarda 354mila lavoratori. L’unico incremento occupazionale è nei settori dell’industria (+ 2,4 %) e dei servizi (+ 10,3 %), mentre diminuisce il numero di occupati nel comparto agricolo (-10 %).
Importante anche il dato sulla CIG. Infatti, le ore di integrazione salariale complessivamente autorizzate nell’anno, sono quelle concesse nel corso dell’anno di riferimento indipendentemente dall’epoca dell’evento. Ciò si traduce in Sicilia con il fenomeno della cassa integrazione. Questo fenomeno in Sicilia si aggira sulle 15 milioni di ore, l’89,2% destinate al settore dell’industria. Spesso i lavoratori che si trovano in cassa integrazione sono spinti al lavoro sommerso. Questo fenomeno in Sicilia è spesso legato a caratteristiche strutturali. Ad esempio la scarsa competitività delle imprese, i bassi livelli di produttività delle piccole imprese locali rispetto alle aziende settentrionali. Il valore regionale del tasso di irregolarità del 2005 è superiore a quello dell’anno prima. La Sicilia presenta tassi di irregolarità piuttosto elevati nel settore agricolo (44,2%) e nelle costruzioni (31,52%). Settori nei quali la manodopera immigrata è alta.
Infine, per avere un chiarimento del quadro lavorativo è indispensabile analizzare i dati del lavoro atipico. L’attenzione è incentrata particolarmente sul lavoro “parasubordinato”, ossia quell’attività semi-autonoma dei collaboratori coordinati e continuativi, e dei professionisti atipici che rappresenta la componente fondamentale della flessibilità organizzativa e retributiva del sistema. Palermo con 31.762 iscritti alla gestione Inps, pari al 23,3% di tutta la regione, è la provincia con il maggior numero di lavoratori “parasubordinati”, seguita da Catania con i suoi 30.162 lavoratori atipici. Tra il 1996 e il 2004 la maggiore dinamica si è osservata nelle province di Caltanissetta, Ragusa e Catania.
Lavoro nero
e atipico a Catania
Il lavoro precario si configura a Catania con il terzo settore del privato. Il fenomeno è più evidente nei Call Center. Queste, vere e proprie cattedrali della precarietà, posseggono il 90% di lavoratori inquadrati con tipologie contrattuali riconducibili alla Legge 30 e un grosso 80% con i C. Co. Pro. Di questi il dato sconvolgente è che il 70% sono donne. Contro il 30 maschile. Da un sondaggio effettuato alla Cos di Misterbianco su 75 lavoratori a progetto (10 %) si evidenzia che le donne da 19 a 51 anni sono il 28,4%, mentre gli uomini da 20 a 46 anni il 28,3%. Se andiamo a guardare la scolarizzazione, il dato peggiora. Circa l’82% delle donne è diplomata, contro l’83% degli uomini, mentre il 18% risulta laureata contro il 17 dei colleghi uomini. Certamente viene da più parti annoverata tra i fattori di maggiore appeal delle lavoratrici nei Call Center la cosiddetta bella presenza telefonica. A questo fattore va aggiunta la maggiore disponibilità/necessità delle donne ad accettare lavori sottopagati e scarsamente qualificati, vista la dimensione contenuta del mercato del lavoro siciliano.
Ma altrettanto drammatico è il dato dell’industria del divertimento a Catania. Secondo un’inchiesta condotta da Filcams e Nidil Cgil, su 224 lavoratori dei pub del centro storico l’85% non è in regola. Di questi il 71% ha tra i 19 e 30 anni. Il 13,7% ha meno di 18 anni, e la percentuale maggiore è costituita da donne straniere. La retribuzione media oraria è al di sotto dei minimi contrattuali. Il 41,6% dichiara di percepire 2,5 euro per ogni ora lavorativa, a fronte di orari che, per il 31% dei casi, si attestano tra le nove e le 12 ore giornaliere. Proprio in virtù dell’inadeguatezza delle retribuzioni erogate dai lavoratori, molte aziende riescono ad essere competitive. A questo trend fa eccezione il 6,9% degli addetti che guadagna dai 6 agli 8 euro. Ma la sottopaga non è l’unico problema. Spesso, soprattutto le lavoratrici, sono costrette a subire vessazioni dal proprio datore di lavoro. Non a caso 6 donne su 10 dichiarano di avere subito atteggiamenti vessatori: insulti, multe illegittime, molestie morali, mobbing, accanimento psicologico fino ad arrivare alle molestie sessuali.