Il dilemma del governo

«Sono d’accordo con Bertinotti: la questione del governo va posta, altrimenti la prossima volta a Melfi manderanno i carri armati». Dopo un’ora di dibattito a tratti acceso e attraversato da tensioni che coinvolgono anche la platea della festa di Liberazione, Rossana Rossanda nomina esplicitamente il fantasma che fino a quel momento aveva condizionato – pur essendo solo raramente esplicitato – l’intera discussione: la scommessa di governo che il Prc di Fausto Bertinotti si appresta a giocare. Non lascia spazio a dubbi, Rossanda, quando parla di Ralph Nader con l’occhio rivolto alla situazione italiana: «Non sono d’accordo con chi dice con Prodi mai. Come non sono d’accordo con le posizioni di Nader, che considero sciagurate anche se dice tante cose fondate: non mi interessano le intenzioni, mi interessano i risultati, Berlusconi ha cambiato la costituzione formale e materiale di questo paese, bisogna mandarlo via il prima possibile, Berlusconi e tutti gli amici di Bush». Questo non significa che Rossanda sia soddisfatta dalla piega che ha preso la discussione all’interno della futura coalizione di governo. «Com’è possibile – chiede a Bertinotti – che non sappiamo ancora su che cosa potete fare un ragionevole accordo? Non è un bello spettacolo quello litigioso che sta offrendo l’opposizione italiana. Proprio perché è difficile bisogna cominciare a mettere in piedi una piattaforma».

Prima di lei Gianni Rinaldini, segretario della Fiom, aveva battuto a più riprese sul tema incandescente della democrazia del lavoro. «I governi di centrosinistra – ricorda – si sono scordati di fare la legge sulla rappresentanza, ed è solo per questo che poi sono potuti passare contratti che altrimenti non sarebbero stati accettati dai lavoratori, voglio sapere come si pone l’opposizione su questo tema, come si pone rispetto alle leggi varate in questa legislatura. E’ necessaria una rottura, l’abrogazione delle leggi del centrodestra e non una semplice correzione».

Bertinotti, nel dibattito coordinato da Rina Gagliardi, risponde proponendo uno slittamento concettuale radicale nella concezione del governo. «Io – esordisce riprendendo alla lettera quanto già affermato sia da Rinaldini che da Rossanda – concordo in pieno sul fatto che ci siano due passaggi diversi e non sovrapponibili, da un lato la necessità di costruire una sinistra di alternativa e un movimento operaio moderno, dall’altra quella di battere Berlusconi. Il problema, diciamocelo, è proprio questo: il passaggio di governo. E allora io non credo che andare al governo sia il compito principale di un partito, si possono praticare il governo o l’opposizione a seconda delle fasi, e il governo può essere, come in questo caso, una necessità«. «Se non ci fossero Bush e Berlusconi – avverte il segretario del Prc – le cose sarebbero diverse, ma bisogna iniziare a pensare al governo non più come architrave del cambiamento, la nostra concezione non può essere quella che si esprimeva nello slogan degli anni `70: ‘E’ ora di cambiare, il Pci deve governare’, nel concreto questo significa porre l’autonomia e la democrazia come punto essenziale del programma d’opposizione. Sappiamo tutti che nelle fasi del governo di centrosinistra il sindacato aveva goduto di scarsissima autonomia, questo rapporto va ora capovolto e invertito».

Al tema del dibattito sulla sinistra di alternativa, l’incontro clou della festa di Liberazione di Roma, i tre interlocutori sono arrivati tardi. Pesava troppo lo spettro della tragedia irachena per poterlo derubricare a faccenda da affrontare in un secondo tempo. E anche in questo caso qualche dissenso sul palco e in platea si avverte nettamente, anche se tutti sgombrano subito il campo dalle illazioni e accuse di bassa lega che sono volate in questi giorni. «Io – dice Rossanda – sono d’accordo con il non aver posto la questione del ritiro delle truppe in primo piano per cercare di fare qualcosa per la salvezza delle sequestrate, ma il punto è proprio questo, qualcosa bisognava pur chiedere. Il governo invece non ha fatto assolutamente niente».

Più drastico Rinaldini, che esordisce sottolineando che guerra e terrorismo formano «un sistema barbarico che è nemico mortale del movimento pacifista ma dal ritiro delle truppe non si può prescindere e non si può accettare che chi lo chiede venga dipinto come un amico dei terroristi, anche questo sarebbe sottostare al ricatto del terrorismo». «Noi – risponde Bertinotti – non abbiamo mai smesso di chiedere il ritiro delle truppe, ma se io lo chiedo e il governo mi risponde di no finisco per fare un favore proprio ai terroristi. Allora dico: trattate, salvatele, chiedete la sospensione dei bombardamenti a nome dell’Italia, a nome dell’Europa, questo sì che lo potete fare».

Ma non c’è stato solo questo nel lungo e intenso dibattito di ieri sera, inevitabilmente la polemica è tornata sulla rottura con il governo Prodi del `98. «Vorrei ricordare a tutti – è sbottato sarcastico il segretario di Rifondazione – che nonostante la sua vocazione moderata e governista il Prc ha rotto con la giunta regionale con la quale era più d’accordo, quella campana, su Acerra».

Altrettanto frequenti, e concordi, i richiami all’omogeneità piena che si registra in Italia tra attacco ai diritti dei lavoratori e demolizione della Costituzione e, nel mondo, tra l’ideologia della guerra preventiva permanente e l’arrembaggio neoliberista. Alla fine, per una volta, la sensazione è che sia stato fatto un passo avanti sulla strada di un chiarimento politico.