Il deficit in calo, nonostante l’Iva

I numeri, da soli, non parlano mai abbastanza. Anzi, qualche volta rischiano di velare i fatti che dovrebbero illuminare. E allora diventa necessario far ricorso alla storia per capirci qualcosa.
I dati pubblicati ieri dall’Istat fanno parte di questa casistica. Nei primi nove mesi del 2006 il rapporto tra deficit e Pil è stato pari al 4,1%, mentre nello stesso periodo del 2005 si era arrampicato fino al 4,3. E sappiamo che i criteri di Maastricht impongono un limite massimo del 3. Il problema che richiede un po’ di storia è però che nel terzo trimestre 2006 sono stati contabilizzati ben 17,128 miliardi di euro di uscite a seguito della condanna ricevuta dalla Corte di Giustizia europea riguardante il rimborso Iva delle auto aziendali. Una cifra enorme (mezza finanziaria), seppure una tantum, che ha fatto vedere sotto una luce tutta negativa i conti pubblici. Perché questa uscita – va ricordato – è stata rubricata sotto la voce uscite della pubblica amministrazione, senza troppe distinzioni tra stipendi o «spese legali».
Senza questa spesa straordinaria il rapporto deficit/Pil si sarebbe assestato su un glorioso 2,5%, ricollocandoci tra i paesi più «virtuosi». Merito anche dell’aumento generale delle entrate, comprese quelle derivanti dall’autotassazione di fine anno (+7,9%, per un guadagno netto di 3,1 miliardi, ha comunicato Vincenzo Visco). In totale un +4,8% che porta l’incidenza del prelievo al 42% del Pil (poco sopra il livello dell’anno precedente, al 41,7%).
Inevitabile la sortita polemica degli economisti (e non) del centrodestra, secondo cui questi dati testimonierebbero «il lascito positivo del governo Berlusconi», che avrebbe operato meritoriamente sia sul fronte dell’aumento delle entrate che su quello del «contenimento delle spese» (almeno una cosa vera c’è: il taglio feroce applicato alla spesa pubblica). Peccato che la sentenza europea in questione venga, per esempio da Maurizio Sacconi, qualificata come «imprevista».
Il vicepresidente della commissione bilancio del Senato, Salvatore Buonadonna (Prc), ha ricostruito con poche pennellate il percorso che ha portato a questa sentenza. «Nel 2001 la Commissione Commissione europea, dopo il ricorso di una azienda italiana sostenuto da Confindustria, aveva esortato il governo italiano a fissare i criteri in base ai quali distinguere le auto aziendali, e le relative spese di manutenzione, soggette a detraibilità dell’Iva. L’appello rimase inascoltato e nel 2006, alla vigilia della sentenza, la Corte europea comunicò al governo che l’ammontare del rimborso sarebbe stato molto esoso, chiedendo pertanto allo stesso governo se intendeva proporre metodi di rimborso dilazionati nel tempo o comunque meno traumatici. Anche questa possibilità offerta dall’Europa rimase senza risposta». Non proprio una dimostrazione di «buon governo», sembrerebbe. E infatti «il governo di centrosinistra si è trovato a dover saldare un enorme debito, almeno per il 50% dovuto ai rimborsi per auto che di aziendale hanno soltanto il nome, Suv e macchine di lusso per mogli e figli dei titolari delle aziende. Una truffa resa possibile solo dall’inerzia del governo della Cdl».
Dato a Berlusconi quel che è suo, e che certamente è molto, diventano persino più forti le perplessità di quanti – a sinistra – hanno contestato dimensioni e «target sociale» della manovra finanziaria. I soldi alle imprese, per esempio, tra «cuneo fiscale» e altre innumerevoli misure minori, sono davvero tanti. Specie se si vanno a sommare, come avverrà a partire dal 15 aprile (data di scadenza per la richiesta di rimborso dell’Iva da parte delle aziende), ai 17 miliardi che la Corte europea ci ha obbligato a restituire. I loro conti ne escono sicuramente risanati; quelli dello stato anche. Quelli di chi lavora, invece…