Il giovane regista turco-tedesco Fatih Akin è appena rientrato ad Amburgo (dove è nato e cresciuto) dalla Turchia. «Sono stato nuovamente sul Mar Nero – dice – dove sto girando questo film sulla rivolta di un villaggio contro la decisione del governo di costruirvi una discarica di rifiuti». Il villaggio è Çamburnu, a una sessantina di chilometri da Trabzon. «Non c’ero mai stato – dice Akin – fino all’estate scorsa, quando eravamo in giro per il paese in cerca della location giusta dove far finire il mio nuovo film, Yasamin karsi kiyisinda, ‘dall’altra parte della vita’. Era il villaggio di mio nonno. Ma la mia famiglia ha lasciato tutto molti anni fa». Giunti nel villaggio «ce ne siamo subito innamorati. La gente ha cominciato a raccontarci della loro lotta contro il governo turco. Un piccolo David contro l’immenso Golia».
Kara Deniz, Mar Nero. Ovvero una delle zone più inquinate della Turchia. Dal Mar Nero veniva il giovane musicista laz (un’etnia caucasica) Kazim Koyuncu che, instancabile, ha denunciato fino alla sua morte (nel 2005, a soli 33 anni) la pesantissima eredità lasciata dall’esplosione della centrale nucleare sovietica di Cernobyl. Il tumore che l’ha ucciso, diceva il musicista, era un regalo di Cernobyl. Ma anche una responsabilità del governo turco, che ha lasciato che sul Mar Nero si continuassero a coltivare tè e cereali. Non c’è stata alcuna informazione, denunciava Koyuncu, sugli effetti catastrofici e permanenti di Cernobyl.
Nonostante questo il governo islamico dell’Akp, guidato dal premier Recep Tayyip Erdogan (che potrebbe, a maggio, diventare il primo presidente islamista della laica repubblica turca di Kemal Atatürk), ha approvato nei mesi scorsi il progetto di costruzione di una centrale nucleare proprio sul Mar Nero, a Sinop. Gli abitanti della cittadina si sono immediatamente organizzati e stanno inscenando da mesi proteste contro il governo. Sinope nella mitologia greca era una ninfa, figlia del dio fluviale Asopo. Zeus, che si era invaghito della giovane, le promise in dono qualunque cosa ella desiderasse. Sinope chiese come dono la conservazione della sua verginità, lasciando Zeus con un palmo di naso. La stessa verginità mitologica oggi rivendicano gli abitanti di Sinop che ricordano come la natura e il paesaggio siano intoccati e di una bellezza straordinaria. Ma il governo Erdogan ha altri progetti: tra il 2007 e il 2012 infatti vorrebbe costruire dalle tre alle cinque centrali nucleari.
«E questo – dice Fatih Akin – sarebbe un governo religioso, che ci parla della santità della terra, degli alberi, della natura – tutti doni di Dio che ha creato il mondo. Ma dall’altra parte, con incredibile ipocrisia, lo stesso governo sta distruggendo il territorio. E’ tutto un blablabla. Uno degli scopi di questo mio film è proprio denunciare questo blabla. Perché purtroppo la gente molto spesso crede ciecamente a quello che il governo dice».
La lotta degli abitanti di Çamburnu dura ormai da dieci anni. «La realizzazione di queste discariche di rifiuti – dice ancora Akin – è contraria alla legge, che infatti vieta costruire discariche nei centri abitati. Come è vietato sistemare discariche in prossimità di corsi d’acqua e sorgenti – e qui ce ne sono due. In più, è un’area di erosione. Ma il governo – insiste Akin – ignora le sue stesse leggi. Naturalmente ci sono vari motivi per questo: il primo è economico. Ci sono gli interessi della compagnia che deve costruire la discarica. All’inizio era stata incaricata una compagnia tedesca, che dopo aver visitato il sito ha stabilito che non sarebbe stato responsabile costruirla in quel luogo. Adesso la costruzione è stata affidata ad una compagnia turca. Che evidentemente ha meno scrupoli e probabilmente ha già ricevuto i soldi dal governo».
La costa del Mar Nero ha un enorme problema di rifiuti, che riguarda anche i paesi sulle altre sponde, Romania, Georgia, Bulgaria. «Nessuno si preoccupa del fatto che stanno uccidendo il mare», dice Akin che aggiunge: «La storia del piccolo villaggio che lotta contro il governo vuol essere un simbolo. Io sono anche un membro di Greenpeace e penso che tutti abbiamo una responsabilità nel difendere e proteggere il pianeta. Ho cercato di fare qualcosa. All’inizio sono riuscito, con la scusa che stavo girando il mio film a Çamburnu, a far venire giornalisti dei più importanti quotidiani turchi nel villaggio. Ma non era abbastanza: mi davano due pacche sulle spalle, mi dicevano bravo, con quell’aria un po’ perplessa, quasi compatendomi. Così ho pensato che l’unica cosa che potevo fare era girare un film. Se vinciamo questa battaglia saremo un esempio per altre lotte in giro per il paese. Se perdiamo sarà una catastrofe per la futura generazione».
Fatih Akin ha ben presente che oltre al Mar Nero, la Turchia ha molti altri problemi ambientali e sociali. A partire dal Gap, il Güney Anadolu Projesi, il progetto del sudest dell’Anatolia che con il suo sistema di dighe sta distruggendo millenni di storia. L’ultima diga è quella di Ilisu, che sommergerà centinaia di villaggi (costringendo all’esodo migliaia di persone) tra cui la città di Hasankeyf, patrimonio dell’Unesco e vecchia di cinquemila anni. Proprio nei giorni scorsi il governo tedesco ha dato l’ultimo via libera al consorzio austriaco-svizzero-tedesco incaricato da Ankara di realizzare la diga. Un’opera che avrà anche ripercussioni politiche: Iraq e Siria hanno già protestato contro il governo turco che si considera detentore del «rubinetto» della Mesopotamia, attraversata da Firat e Dicle, il Tigri e l’Eufrate.