Il Csm: “Ora serve l’amnistia”. Livio Pepino spiega perché, e critica il governo

Non hanno chiesto il suo varo, ma solo perché l’organismo non elabora proposte. Non dà suggerimenti. Però, se si segue il loro ragionamento lì si arriva: amnistia. Ieri il Csm ha approvato un dettagliatissimo documento che fa il punto sull’indulto. In due parole, l’organo di autogoverno dei magistrati ha spiegato che da qui ai prossimi anni, giudici, avvocati, tribunali dovranno essere impegnati in processi che sono destinati a concludersi con condanne che comunque sono già state condonate. E allora, dice il Csm, non ha molto senso varare un provvedimento che si limita a svuotare le carceri ma costringe la giustizia a fare i processi. La logica vuole che assieme all’indulto sia varata l’amnistia, che estingue il reato oltre che la condanna. Che non obbliga, i magistrati, insomma, a processi inutili. Che così, magari, potrebbero dedicarsi a compiti più importanti. Livio Pepino, ex segretario di Magistratura democratica, giudice a Torino è membro del Csm.

Allora, dottor Pepino, qual è il senso del vostro documento?

Abbiamo denunciato l’inevitabile sofferenza a cui andrà incontro il sistema della giustizia penale, in conseguenza dell’indulto.

E infatti molti avversari di quel provvedimento, si sono rifatti vivi. “attaccandosi” alle vostre parole per l’ennesima campagna contro l’indulto.

Sfido chiunque a trovare nel documento una sola parola critica nei confronti dell’indulto. Noi abbiamo detto un’altra cosa: abbiamo detto che, in base ai nostri dati, l’80, addirittura il 90 per cento dei processi in corso riguardano pene già coperte dall’indulto.

Ottanta/novanta per cento dei processi. In termini di anni, che significa?

Significa che nei prossimi quattro, cinque anni la stragrande maggioranza delle attività giudiziarie sarà svolta per qualcosa che avrà un valore relativo.

Che non servirà a nulla, insomma.

Neanche questo è vero. Perché per esempio credo sia importante in ogni caso arrivare alle sentenze sui processi per corruzione, per esempio. Ci saranno le sentenze anche se le condanne non saranno eseguite. Certo, si lavorerà, bisognerà continuare a lavorare per quei processi che chiamo di interesse sociale. Ma si tratta davvero di poca, pochissima cosa, rispetto alla montagna di attività che abbiamo davanti.

E allora?

E allora ci siamo limitati a constatare che in tutte le precedenti diciassette occasioni in cui è stato varato l’indulto, questo provvedimento è stato accompagnato dall’amnistia. Stavolta no, non è stato così. E chiunque può capire che si apriranno una serie incredibile di problemi.

La vostra scelta per l’amnistia, comunque, ha solo motivazioni “tecniche”, se così si può dire?

Nel Consiglio ci sono state valutazioni diverse, com’è naturale che sia. Ma il documento mi sembra chiaro, inequivoco. Abbiamo segnalato al Parlamento l’incongruenza di un provvedimento. E francamente mi sembra un segnale significativo, assai significativo.

Tanto che qualche vostro critico – da destra – già l’ha definita una posizione “politica”. Cosa risponde?

Vede, io credo che tutte le scelte che riguardano la giustizia siano scelte complesse. Che chiamano in causa una pluralità di attori. Il Csm è ben consapevole di non essere la terza Camera, come pure ci hanno accusato, ma di avere un ruolo diverso. Assai diverso. E nel documento siamo rispettosissimi delle prerogative del Parlamento. Ma questo non impedisce, non deve impedirci di denunciare problemi, di esprimere volontà, pareri. Di entrare in qualche modo nel dibattito pubblico. Sarà la politica, sarà il legislatore, poi, a doverne tenere conto. A decidere.

Lei parla della politica, dei legislatori. Proprio ieri sul nostro giornale, però, il senatore di Rifondazione Di Lello spiegava che «in questo clima forcaiolo sarà difficile tornare a parlare di amnistia». Anche se a suo modo di pensare sarebbe la soluzione più giusta. Che ne pensa?

Non sono d’accordo. Perché si parte da un’affermazione sbagliata. Io invece sono convinto che una volta tanto, in occasione della discussione sull’indulto ci sia stata la possibilità di aggredire il nodo vero: quello di una diversa politica penale. Lasciar cadere il tema dell’amnistia significa rinunciare definitivamente a quell’obiettivo.

Scusi, ma come definirebbe l’obiettivo di una «diversa politica penale»?
Con parole molto semplici: con una politica penale che non abbia più il suo centro tutto e solo nelle logiche repressive.

Questa sua filosofia sembra già ispirare molti atti del governo Prodi. Si metterà mano alla legge Bossi-Fini a quella sulle droghe. Non basta?

Non basta, che cosa? Sono mesi che si parla di mettere mano a queste leggi davanti ad una popolazione carceraria che al 50% è fatta da persone condannate per reati connessi alla droga o alle norme sull’immigrazione. Sono passati sei mesi ma non c’è un disegno di legge che sia uno.

Insomma, è deluso.

Lasci perdere le definizioni che lasciano il tempo che trovano. Anch’io so benissimo quanto sia difficile, complesso il cammino parlamentare – in questo Parlamento – di proposte innovative nel settore della giustizia. So perfettamente quanto sia delicato sostituire meccanismi nel sistema penale. Ma in sei mesi, si sarebbe potuto almeno avviare il progetto, avviare quel percorso. Invece siamo agli annunci, quando va bene. E nelle carceri continuano a restare migliaia di persone legati a piccoli reati per droga e immigrazione.

Le rifaccio la domanda, chiedendole stavolta di essere un po’ più esplicito: è deluso da questi primi sei mesi di centro sinistra sulla giustizia?

Le rispondo così. Molto è cambiato dal punto di vista del clima. E non è poca cosa, dopo quello che i giudici e un po’ tutti gli operatori della Giustizia hanno dovuto subire negli anni scorsi. Non credo di dover ricordare che cosa è stato per noi l’ultimo quinquennio. E il cambiamento di clima, il dialogo con i magistrati è sicuramente qualcosa che tutti abbiamo apprezzato. Ma questo riguarda il metodo. C’è poi il merito. E qui stiamo ancora aspettando il cambio di stagione. E le assicuro: questa non è solo la mia opinione. Ma di tanti colleghi che incontro. Certo, io caratterialmente sarà insofferente, più insofferente degli altri, ma le assicuro: tutti vogliono di più.