Il Cremlino, fin dall’inizio, ha voluto mettere in chiaro da che parte stava.
Il presidente russo, il ministro degli affari esteri, il ministro della difesa, le altre più alte autorità dello stato non cessano di affermare, che la Russia, non solo intende condurre una lotta senza quartiere contro il terrorismo, ma che essa la sta già conducendo in Cecenia. La verità è che il Cremlino ha ben presente l’intenzione di Washington di assumere il ruolo di leader della crociata contro il terrorismo internazionale. Il ministro degli affari esteri, I. Ivanov, nella sua intervista al primo canale televisivo, ha detto: “Il presidente della Federazione Russa è stato il primo dei leader di tutto il mondo, che ha messo in guardia circa la minaccia incombente del terrorismo internazionale e che ha sostenuto la necessità dell’unione delle forze, a livello internazionale, nella lotta per debellare questo flagello del XXI secolo. E il fatto che la comunità internazionale ora condivida tale approccio della Russia è di particolare importanza.”.
Il Cremlino parrebbe non essere contrario al coordinamento con Washington delle azioni di lotta contro il terrorismo. I. Ivanov, nella stessa intervista, ha affermato appunto che Mosca coordinerà i propri sforzi con Washington, condurrà con essa intense consultazioni e scambierà informazioni di reciproca utilità. Nello stesso tempo, però, il ministro ha voluto sottolineare che, ai fini dell’unificazione delle forze nella lotta contro il terrorismo, un ruolo attivo deve essere svolto e “già è svolto” dall’ONU. E’ appunto nell’ambito dell’ONU che devono essere creati i fondamentali presupposti di diritto internazionale, perché la comunità internazionale sia in grado di lottare efficacemente contro il terrorismo. Il ministro ha dimenticato di dire che l’ONU ha denunciato le cause del terrorismo, che andrebbero ricercate nella disperazione della grande maggioranza della popolazione terrestre, in conseguenza dello sfruttamento dei paesi poveri da parte di quelli ricchi. E che, senza lo sradicamento di simili cause, la lotta contro il terrorismo andrebbe incontro a un probabile insuccesso. E’ significativo che il presidente Putin nell’intervista concessa a un giornalista tedesco sia stato costretto a riconoscere l’importanza determinante dei fattori di ordine sociale e ideologico nell’attività tesa a eliminare il terrorismo: “Questo lavoro è legato all’innalzamento del livello economico-sociale delle condizioni di vita delle popolazioni del Caucaso e della Cecenia, in particolare. E’ un lavoro da svolgere nell’ambito della cultura. E’ anche un lavoro di carattere ideologico, perché dobbiamo offrire alla parte fondamentale di queste popolazioni qualcosa di diverso rispetto alle idee disumane, proposte dai fanatici religiosi”. Il presidente è una persona abbastanza preparata per comprendere che questo “qualcosa di diverso” è rappresentato dalla struttura socialista e dalle idee di uguaglianza e amicizia tra i popoli. In caso contrario le belle parole sullo sradicamento del terrorismo si riveleranno parole al vento. Questa posizione del Cremlino non conviene certo a Washington e alle altre capitali occidentali. Là vorrebbero solamente che Mosca prenda parte, senza discutere, alla guerra contro i talebani in Afghanistan o, come minimo, non si opponga all’uso del territorio e dello spazio aereo delle repubbliche dell’Asia centrale per le operazioni militari. I commentatori americani e degli altri paesi dell’Occidente, con un approccio da “bottegai”, durante tutta la scorsa settimana, hanno ragionato su quali concessioni gli Stati Uniti dovrebbero fare alla Russia, per convincerla a partecipare alla guerra contro i talebani. Alcuni osservatori ritengono che, a tal scopo, sarebbe sufficiente, ad esempio, condonare tutto il debito estero della Russia, accettare l’inviolabilità del Trattato ABM del 1972 e accordare un sostanzioso appoggio economico. I “media” russi e occidentali hanno informato che, nel corso di tutta la passata settimana, il presidente Putin, che soggiornava sulle rive del Mar Nero, ha avuto ininterrotte comunicazioni telefoniche sia con i leaders dell’Occidente che con i presidenti delle repubbliche dell’Asia centrale. Contemporaneamente, il segretario del Consiglio di sicurezza V. Rushaylo volava nelle capitali di quelle repubbliche, mentre a Dushambe veniva inviato il generale Kvashnin, una delle massime autorità militari. Quest’ultimo si è incontrato non solo con il presidente e i massimi gradi delle forze armate dal Tadzhikistan, ma anche con i capi militari dell’Alleanza del Nord, in guerra con i talebani. Mentre a Washington e a New York si dirigeva il ministro degli affari esteri I. Ivanov per colloqui con i rappresentanti dell’amministrazione americana. Infine, al termine della settimana, il presidente ha riunito una sorta di Consiglio di guerra, composto dai capi di tutte le istituzioni preposte alla sicurezza: i ministri della difesa, degli interni e i responsabili di tutti i servizi speciali. La riunione è stata circondata dal più assoluto riserbo. Come ha riferito, dopo la riunione, il ministro della difesa S. Ivanov, ognuno dei responsabili delle istituzioni di difesa ha relazionato su quanto è stato fatto, negli ultimi tempi, per rafforzare la sicurezza della Russia. Inoltre, è stata esaminata la situazione in Cecenia. Lo stesso S. Ivanov ha riferito al presidente sullo stato attuale delle forze armate e sulle misure precauzionali assunte, in particolare dalla 201° divisione autotrasportata, che, come è noto, è schierata a difesa della frontiera con l’Afghanistan. Il ministro della difesa ha espresso un giudizio lusinghiero sul gruppo della cosiddetta “Alleanza del Nord”, che, a suo dire, nel corso di alcuni anni, ha dimostrato e continua a dimostrare una reale capacità di resistenza al regime dei talebani. In tal modo, ha dato ad intendere che, mentre gli Stati Uniti si stanno ancora apprestando a combattere i talebani, la Russia già è in conflitto con loro con l’aiuto dell’Alleanza del Nord.
Traduzione dal russo
di Mauro Gemma