Il cow-boy dello spazio

Il presidente Bush ha annunciato, sabato scorso, il nome del nuovo capo degli stati maggiori riuniti, la più alta carica delle forze armate statunitensi. Ad essere scelto è stato il gen. Richard B. Myers, definito da Bush “l’uomo giusto”, in grado di guidare le forze armate nella “sfida dell’innovazione per affrontare i pericoli del futuro”. Chiaro il riferimento al progetto dello “scudo spaziale”, per il quale Myers è appunto l’uomo giusto: dall’agosto 1998 al febbraio 2000, prima di divenire vicecapo degli stati maggiori riuniti, è stato comandante in capo dello U.S. Space Command.
Le idee di Myers sull’uso dello spazio sono poche ma chiare. Lo spazio – dichiara quando è ancora alla guida dello U.S. Space Command – “comincia a somigliare al nostro vecchio selvaggio West, un luogo senza legge in cui domina la mentalità della corsa all’oro e che può aver presto bisogno di un giudice Roy Bean per ristabilirvi l’ordine”. A imporre “l’ordine” nello spazio devono essere naturalmente gli Stati uniti, con gli stessi metodi usati nel selvaggio West da Roy Bean, passato alla storia come “il giudice delle impiccagioni” e per aver assolto l’assassino di un cinese in quanto “uccidere un cinese non è reato”.
Che nello spazio vada a finire come nei saloon del vecchio West, Myers non ha dubbi: “Anche se nessuno si è finora impegnato in un combattimento nello spazio, tutto sta a indicare che questo tipo di conflitto infine si verificherà”. Occorre quindi che gli Stati uniti – afferma il rapporto dello U.S. Space Command “Vision for 2020” – acquistino al più presto “la capacità di dominare lo spazio”, ossia “la capacità di assicurarsi l’accesso allo spazio, così da potervi operare liberamente, e allo stesso tempo quella di interdire ad altri il suo uso”.
Sulla fattibilità di uno “scudo spaziale” in grado di distruggere testate di missili balistici (dando agli Usa la possibilità di attaccare per primi) vi sono crescenti dubbi, ultimi quelli espressi ieri da scienziati del Pentagono sul New York Times: essi ritengono che lo “scudo” sarebbe in gran parte inefficace contro testate rudimentali, come quelle che potrebbe lanciare la Corea del Nord, meno precise ma difficilmente intercettabili per la loro traiettoria “ruzzolante”. Ma è qui che interviene Myers: da tempo egli sostiene che i sistemi spaziali sono già, allo stato attuale, utilizzabili in modo sempre più efficace nelle operazioni belliche terrestri.
Cita a tale proposito l’operazione Desert Storm, la guerra del 1991 contro l’Iraq, nella quale i sistemi spaziali svolsero già un ruolo molto importante. Ma – sottolinea – “l’uso operativo dei sistemi spaziali è stato di gran lunga superiore nell’operazione Allied Force”, la guerra del 1999 contro la Jugoslavia. Nel bombardamento della Serbia e del Kosovo, “si è fatto un uso molto più frequente di munizioni a guida satellitare Gps e sono stati compiuti grandi progressi nel convogliare le informazioni sugli obiettivi da colpire direttamente ai piloti in volo: i dati, provenienti dai satelliti da ricognizione e da altre piattaforme, venivano inviati al Centro Nato di Vicenza, che li ritrasmetteva agli aerei da attacco già in volo”. In tal modo era possibile, fino all’ultimo momento, dirigere gli aerei (compresi quelli messi a disposizione dal governo D’Alema) su obiettivi diversi da quelli programmati.
Chi desse gli ordini lo dice sempre Myers: “Le comunicazioni satellitari hanno permesso, nell’operazione Allied Force, di collegare il teatro bellico con il Comando Usa in Europa e questo direttamente con noi qui negli Stati uniti”. Non c’è quindi da stupirsi se, dei 2.000 obiettivi colpiti in Serbia dagli aerei Nato, 1.999 furono scelti dall’intelligence statunitense e solo uno dagli europei (The New York Times, 15-6-1999).
La guerra contro la Jugoslavia è dunque stata, secondo le parole dello stesso generale Myers, un fondamentale banco di prova per sperimentare, nelle condizioni reali di una operazione bellica, l’uso dei sistemi spaziali statunitensi e rafforzare così il ruolo di comando del Pentagono. Ecco lo scenario dei futuri conflitti: puntando sui sistemi spaziali, gli Usa intendono accrescere la loro superiorità tecnologica anche nei confronti degli alleati, in modo da conservare l’indiscusso comando in qualsiasi operazione bellica. Ed è qui che Myers ha acquisito un’altra preziosa esperienza. Nel settembre 1998, assunto il comando, egli ha fatto trasferire allo U.S. Space Command la “missione di difesa e attacco della rete computeristica”, creando una apposita task force il cui compito non è solo quello di difendere la rete Usa dagli attacchi degli hackers ma, soprattutto, quello di “degradare, con un cyberattacco, la rete di difesa aerea dell’avversario”.
Si capisce quindi perché Myers è stato nominato alla massima carica nelle forze armate Usa: è l’uomo giusto per affrontare la “sfida dell’innovazione”, in altre parole l’ulteriore militarizzazione dello spazio. Il suo progetto è già enunciato: il controllo dello spazio costituisce “un’impresa troppo costosa, troppo interdipendente, troppo complessa perché la possiamo affrontare da soli, abbiamo quindi bisogno di costruire fiducia e collaborazione tra il governo Usa, l’industria e gli alleati”. Che però devono sapere che l’ultima parola spetta al giudice Roy Bean.