«Sono un intellettuale da bassifondi. Di quelli che bruciano neuroni, leggono gigabyte di riviste, pagine web, e non ne ottengono mai niente, come una macchina che consumi il massimo di carburante solo per mantenere il surriscaldamento…in pura perdita». Testimonianze e blog di giovani donne e uomini francesi, analizzati da Mona Chollet nel suo «Il paradiso perduto degli intellettuali precari», echeggiano come un calco le denunce italiane della Federazione nazionale della stampa nel «Libro bianco sul lavoro nero», sul precariato nell’informazione.
Ormai più di 23 mila giornalisti sono iscritti alla «gestione separata dell’Inpgi» – quasi il doppio dei colleghi con un contratto di lavoro dipendente – e per la maggior parte, non essendo fissato per loro alcun compenso minimo, «sono pagati fra i 7 e i 10 euro per un servizio». Una marea precaria, ma anche il compenso medio del giornalista dipendente si è ormai deprezzato: può scendere fino a 1600-1700 euro al mese – compreso il ruolo di caposervizio – 1300 euro netti.
In gioco, nello scontro aperto dagli editori, c’è la prima mossa degli imprenditori italiani contro il contratto nazionale di ogni categoria. E non c’è nella mischia padrone buono, padrone cattivo, di destra o di sinistra: il più oltranzista del fronte è invfatti Carlo De Benedetti.
Quanto alla condizione del mondo dell’informazione, si conferma anche qui, come per tutto il lavoro intellettuale generalmente inteso, il disegno di un piccolo triangolo in cima alla piramide, dove si colloca una minoranza di individui che dispongono di alcune «caratteristiche» ritenute speciali, per cui possono pretendere un «prezzo di mercato» squisitamente individuale. Per gli altri vale l’antica e onnipresente regola del capitale, che via via frantuma le «competenze» dei prestatori d’opera – anche quelli ‘protetti’ da contratto – espropriandole ai saperi personali per restituirle ai lavoratori in forme di esecuzione seriale. In questo conflitto perenne del capitale di contro al lavoro, non vi è infatti differenza di trattamento, riguardo, per le attività oggi dette «immateriali», intellettuali, che si sostiene crescano nel momento presente in questo nostro occidente, o le altre, «materiali», manuali, che si moltiplicano piuttosto altrove, nel dispiegamento del «mercato» planetario.
Una tale raffigurazione dicotomica non pare utile, oggi, per consentire allo sguardo, e dunque al conflitto necessario, di individuare l’attacco uniforme a tutto il lavoro, che si consuma in questa aggressione al fronte di carta, su cui gli imprenditori fanno la prova generale per cancellare un pilastro della magna charta del lavoro: il contratto nazionale.
Non a caso buona parte dell’editoria italiana è in mano a imprenditori che hanno in altri «settori» molte delle loro attività:industriali, di servizio, finanziarie. E’ questa corretta comprensione della valenza generale implicita nello scontro con gli editori, di ciò che si sta preparando, che fa muovere a sostegno della lotta dei giornalisti un sindacato metalmeccanico come la Fiom, per cui si spende la segreteria nazionale. Che palesa la preoccupazione del segretario generale della Cgil Epifani – nella breve nota che qui ci invia – e muove all’azione Camere del lavoro come Brescia, e la Cgil regionale lombarda. Non c’è da dubitare che ogni sindacato e associazione di lavoratori si mobiliteranno; così come i movimenti dei precari, giacché gli editori che negano qualunque tavolo di confronto al sindacato dei giornalisti per il contratto, non solo rifiutano di regolare, bensì intendono udufruire in sempre maggior dose della precarietà: «Voi, sindacato, non vi immischiate», il lavoro nero, il lavoro di migliaia di giornalisti senza contratto «è problema nostro».
La condizione di estrema precarietà dei prestatori d’opera, ha evidentemente una portata più delicata, e cruciale, nel mondo della comunicazione: crea una situazione di ricattabilità, una pretesa di servaggio che attenta direttamente alla libertà di informazione, di parola, a fondamenti democratici. Mentre la protervia degli editori che rifiutano il contratto ai giornalisti, è la prima mossa dell’attacco che l’intero fronte padronale si prepara a sferrare al «contratto nazionale» per tutte le categorie di lavoro. Il governo in questa storia non può chiamarsi fuori come fosse super partes e limitarsi a invitare «le parti al tavolo negoziale»: è significativo che il ministro dell’Economia Padoa Schioppa abbia di recente aggiunto fra le «priorità» dell’esecutivo la «modifica del modello contrattuale», proprio alla vigilia dell’apertura dei «tavoli», per tutti, su pensioni, orari di lavoro, e contratti.