Il contagio del razzismo (Durban)

– DURBAN

Il razzismo è spesso descritto come una malattia “che uccide più di ogni contagio, deumanizza chiunque tocca”, ha ricordato Nelson Mandela alla Conferenza delle Nazioni unite in corso a Durban: “La sconfitta dell’apartheid è stata una vittoria, ma l’apartheid era solo un sintomo della malattia”, ha aggiunto l’ormai anziano leader, ex presidente “del Sudafrica non razziale e finalmente democratico”. Mandela si è rivolto con un saluto registrato alla seconda giornata della conferenza “contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le relative intolleranze” – questo è il titolo completo. Diversi aspetti di quella “malattia” sono all’ordine del giorno: dall’eredità dello schiavismo e della colonizzazione a tutte le forme presenti di razzismo e discriminazione – non per nulla il Forum delle organizzazioni non governative ha portato qui circa settemila persone da tutto il mondo: ieri ha chiuso i lavori, approvando un documento che oggi sarà formalmente consegnato alla Conferenza dei governi. Vi si parla di “africani e discendenti di africani”, di Rom e Sinti, di caste discriminate, di rifugiati e migranti sottoposti a intolleranza e razzismo…
Ma nonostante gli auspici del leader sudafricano, la conferenza corre il serio rischio di “deragliare”, secondo l’espressione usata ieri dal segretario dell’Onu: “Non dobbiamo permettere a una o l’altra questione di far deragliare questa conferenza”, ha detto Kofi Annan. Ha anche ammesso che avrebbe preferito vedere qui più capi di stato o di governo: ce ne sono una quindicina e nessuno dall’Europa o dagli Stati uniti (né dall’Asia).

La questione Palestina
La politica mediorientale resta il nodo più difficile, protagonista sia sulla scena ufficiale che nella diplomazia dietro le quinte (ne riferiamo nelle pagine degli esteri). Ieri il leader dell’Olp Yasser Arafat ha di nuovo preso la parola, nella sua veste di presidente dell’Autorità nazionale palestinese, per accusare Israele di aver creato “una nuova e moderna forma di apartheid”. Per la verità la bozza di dichiarazione di intenti proposta all’approvazione dei cento cinquanta paesi qui rappresentati non contiene l’equazione tra sionismo e razzismo, che aveva suscitato le proteste preventive degli Stati uniti e di molti paesi europei. Afferma invece che “l’occupazione straniera fondata sugli insediamenti… è un nuovo tipo di apartheid, un crimine contro l’umanità”.
E’ il calibro di queste parole – razzismo, politica razzista, apartheid – riferite a Israele che ha spinto il governo degli Stati uniti a farsi rappresentare qui a Durban da una delegazione di basso livello, minacciando appunto di far deragliare la Conferenza contro il razzismo. Anche se così facendo la Casa Bianca si è esposta alle accuse della forte rappresentanza nera al Congresso di Washington, il Black Caucus, che ha inviato qui a Durban una folta rappresentanza. Il reverendo Jesse Jackson, leader del movimento per i diritti civili dei neri americani, accusa: la questione della terminologia usata verso Israele è “una foglia di fico” dietro cui il governo si nasconde per non assumersi la responsabilità di venire qui a discutere del razzismo oggi negli Usa.

Castro: un fenomeno sociale
“Il razzismo, la discriminazione razziale e la xenofobia sono un fenomeno sociale, culturale e politico e non un istinto naturale degli esseri umani”, ha attaccato ieri il leader cubano Fidel Castro: ieri mattina è stata sua la scena, nel centro congressi di Durban. “Nessuno ha diritto a sabotare questa conferenza”, ha ammonito: “Tantomeno nessuno ha il diritto di porre condizioni, esigere che non si parli neppure di responsabilità storiche e giusti indennizzi, o di come qualificare l’orribile genocidio che in questi stessi istanti si commette contro il fratello popolo palestinese”.
Ha strappato qualche applauso, Fidel, nel compassato uditorio. Gli indennizzi – o altra forma di riparazione per il passato coloniale e la tratta degli schiavi – sono l’altra fonte di polemiche di questa conferenza, dopo la Palestina. Risarcire i discendenti degli schiavi, indennizzare i paesi che hanno subito la dominazione coloniale: è quanto vanno chiedendo molti paesi africani, anche se resta da stabilire come. Il presidente nigeriano Olusegun Obasanjo ieri ha dichiarato che delle solenni scuse sono l’unico modo di sanare la ferita lasciata dal traffico di esseri umani che è stato lo schiavismo: oltre 12 milioni di africani sono stati trasportati nelle Americhe in 400 anni. Ma anche solo le scuse spaventano i paesi europei e soprattutto gli Usa: per la cultura giuridica d’oltreoceano scuse troppo esplicite, che suonino come un’ammissione di colpa, potrebbero prestarsi a una marea di cause legali con rischieste di risarcimenti. La questione per la verità è ben più articolata: sono gli effetti di lunga durata della colonizzazione, la dominazione neocoloniale, la povertà che meritano “risarcimento”. Così almeno sostengono organizzazioni come Jubilee South (rete di movimenti sociali e organizzazioni non governative di Africa, Asia e America Latina per la cancellazione del debito).
A questo alludeva anche Fidel Castro: “I paesi sviluppati e le loro società dei consumi, responsabili della distruzione accelerata dell’ambiente, sono stati i beneficiari della conquista e della colonizzazione, dello schiavismo, dello sfruttamento spietato e dello sterminio di centinaia di milioni di figli dei popoli che oggi sono il terzo mondo”. Ma “questo mondo ricco ha le risorse tecniche e finanziarie per saldare il suo debito”: mettere fine alla corsa agli armamenti, devolvere allo sviluppo sociale buona parte dei soldi spesi ogni anno in pubblicità commerciale, istituire la Tobin Tax sulle operazioni finanziarie speculative, mettere fine alla tragedia dcel popolo palestinese. Non si rendono conto, i paesi capitalisti sviluppati, che “il caos e la ribellione universali si avvicinano?… Viviamo in una crisi economica, sociale e politica globale. Sorgeranno alternative. Dalle grandi crisi sono sempre uscite le grandi soluzioni”.
Del resto la malattia di cui parla Mandela non è sconfitta neppure in Europa. Il ministro degli esteri tedesco Joshka Fisher ha avuto l’onestà di parlarne, quando ha ricordato che la globalizzazione e le migrazioni fanno emergere società multiculturali e multietniche: “Il razzismo e la xenofobia sono un’amara realtà in molti paesi. Noi tedeschi siamo offesi e profondamente vergognosi che la violenza e l’odio contro gli stranieri stia di nuovo crescendo in Germania”. Questa conferenza, ha aggiunto, deve occuparsi anche di come combattere questi fenomeni. “La Germania oggi mette particolare attenzione alle questioni dell’integrazione”: il governo federale tedesco ha riformato le leggi sulla nazionalità per rendere più facile la naturalizzazione. Ha anche riconosciuto agli individui il diritto a presentare petizioni ai sensi della Convenzione dell’Onu contro il razzismo, un passo per tradurre quella convenzione nella legislazione nazionale. Ieri ha preso la parola anche il ministro degli esteri italiano Ruggiero: ma non gli abbiamo sentito dire nulla sulla xenofobia che spesso esplode in Italia, né sul trattamento che i Rom ricevono nel nostro paese. Ha pronunciato solo un auspicio a superare il passato…