Il congresso c’è, ma si vede fino a un certo punto. I riflettori sono puntati tutti sulla sessione “aperta” ai movimenti, la maxi-assemblea pomeridiana che sarà ulteriormente allungata dall’allarme bomba Inevitabilmente il confronto interno al Prc finisce in sordina. Sarà per questo, o forse per la tensione internazionale che distoglie gli sguardi, o ancora perché buona parte della partita è già stata giocata, ma la tensione si mantiene bassa, sproporzionata al livello della sfida lanciata nella sua relazione dal segretario. Sul palco la mattina, sale Marco Ferrando, leader dell’unica minoranza che si oppone apertamente a Bertinotti. Prende di mira ogni possibilità di accordo con il centrosinistra, sia a livello nazionale che locale, nelle elezioni politiche come in quelle amministrative. Spara a zero su Sergio Cofferati. Ricorda che negli ultimi tempi il leader della Cgil ha firmato tre accordi che prevedono la flessibilità: edili, chimici e pubblico impiego. Rispetto all’ultimo congresso le posizioni della sua corrente sono lievemente peggiorate, ma sostanzialmente “i trotzkisti” hanno tenuto, passando dal 15 al 13% circa.
Ma non è questa l’opposizione che impensierisce Bertinotti. La spina è davvero nel fianco, è all’interno, almeno formalmente, della sua stessa maggioranza. E’ quell’area dell'”Ernesto” che ha raggranellato una percentuale ancora incerta ma sicuramente di tutto rispetto, fra il 25 e il 27%, e che si appresta a dare battaglia, nella notte, là dove la linea di resistenza della maggioranza è più debole. Nel voto sul nuovo statuto, in particolare sul restringimento drastico dei gruppi dirigenti e sulla regola che dovrebbe impedire a ciascuno dei due sessi di ottenere più del 60% della rappresentanza (la nuova formula è stata messa a punto in seguito al rifiuto delle femministe di accettare il principio della quota).
Il nuovo statuto prevede un restringimento del Comitato centrale, che sarà eletto domani, da 380 a 135 membri e il passaggio da 80 a 69 componenti della Direzione, che sarà nominata insieme con la segreteria fra due settimane. La segreteria dovrebbe assottigliarsi da 9 a 5 componenti. La dieta dimagrante provoca una prevedibile ondata di mal di pancia anche nelle file bertinottiane, piace poco a tutti quelli che temono la stangata. Proprio per questo Claudio Grassi, tesoriere uscente e leader dell’area con Sorini, Burgio e Cappelloni (ricoverato d’urgenza in ospedale proprio ieri mattina), ha deciso di concentrare il fuoco su questo punto. Il voto notturno riguarderà anche il “preambolo” dello statuto, con il richiamo al solo Marx invece che all’intero gotha comunista del `900. Ma su quel fronte la vittoria dei bertinottiani è certa. Sui numeri invece qualche rischio c’è, tanto che il nervosismo nella maggioranza era palpabile e in tarda serata, poco prima del voto, ha iniziato a circolare una proposta di mediazione per evitare la conta: far lievitare il nuovo Comitato centrale fino a 220.
L’aspetto tecnico della faccenda non deve trarre in inganno. Se la maggioranza dovesse andare sotto, per il segretario sarebbe una mazzata di prima grandezza. A quel punto, poi, l'”Ernesto” avrebbe gioco facile nel chiedere, come è comunque decisa a fare, di portare la nuova segreteria a 7 membri. La sua rappresentanza proporzionale passerebbe così da un posto (destinato probabilmente allo stesso Grassi) a due. Per la cronaca, nella nuova segreteria oltre a Bertinotti dovrebbe essere certa la presenza di Paolo Ferrero. Per i rimanenti due posti sono in lizza Patrizia Sentinelli, Loredana Fraleone e Gennaro Migliore. Ma un po’ per la quota femminile, un po’ perché Migliore già dirige il dipartimento esteri, in pole position ci sono le due ladies.
Difficile negare lo scarto tra questo braccio di ferro su numeri e poltrone e l’orizzonte tracciato nella relazione dal segretario. Non che di numeri si sia parlato negli interventi della mattina. I grassiani vanno all’attacco con Stefano Cristiano e Domenico Lo Surdo. Fanno della perdurante validità della categoria dell’imperialismo, desueta per Bertinotti, il loro cavallo di battaglia. Non criticano apertamente il movimentismo del segretario, ma lasciano capire che la carta vincente per loro non è il più tradizionale conflitto sul lavoro, sono Cofferati e la Cgil. Ribattono Russo Spena e Patrizia Sentinelli. Il primo accusa l'”Eernesto” di non comprendere la ristrutturazione della classe operaia, le mutazioni di una forza lavoro che si è fatta precaria e multietnica. La seconda conferma che senza Genova non ci sarebbe stato neppure il 23 marzo. Ma è un dibattito che troppo spesso si affida alle allegorie come quella sullo stalinismo, oppure a sfumature poco esplicite, e non riesce quindi a sviluppare le premesse contenute nell’introduzione di Bertinotti. E forse è questo il principale motivo della parziale caduta di tensione che si avvertiva ieri a Rimini.