Il conflitto fra Stati Uniti e Corea del Nord

da Rebelion.org
Traduzione dallo spagnolo per http://www.resistenze.org/ a cura del Centro di Cultura e Documentazione

Barometro Internacional
 
29/08/10

Allo stato attuale sul conflitto coreano-statunitense, che dura da più di 60 anni, influiscono tre processi in atto in Asia oltre un processo di carattere più generale – che si aggiunge al conflitto degli USA con l’Iran – le cui motivazioni specifiche risentono comunque dell’influenza del lontano oriente.

Anzitutto, c’è lo scontro fra gli Stati Uniti e il socialismo nordcoreano; quest’ultimo è riuscito a creare pacificamente un clima di unificazione con i coreani del sud e se dovesse concretizzarsi provocherebbe la perdita dello spazio che gli Stati Uniti occupano in Corea del Sud, il paese più asservito agli statunitensi di tutta l’area. Si dice che l’unione delle due Coree accelererebbe il declino di Giappone e Stati Uniti dai vertici mondiali e che la Cina rimarrebbe alla guida di un sistema politico internazionale che nascerebbe sulla base dei principi del Pancha Shila (1). Non si deve perdere di vista la Cina, che in modo esplosivo ha raggiunto i vertici mondiali di produzione, superando Germania e Giappone. Il sostegno cinese alla Corea del Nord risponde a necessità ideologiche ma anche politico-militari, influendo nello svolgimento di questo conflitto coreano-statunitense e limitandolo a una specie di mini guerra fredda regionale.
 
Un altro processo che sta prendendo forza è il contemporaneo declino del potere nipponico e la nascita di una potente forza politica interna di orientamento socialdemocratico, contraria alla subordinazione nei confronti degli USA e in grado di influenzare dinamicamente gli interessi statunitensi in Corea del Sud per rafforzare la propria egemonia nell’area. Questo processo ha spinto gli USA a provocare la Cina su Tibet e Taiwan, due questioni che i cinesi considerano ingerenze nei loro affari interni. La risposta cinese è stata la minaccia di rappresaglie economiche che hanno ammorbidito le posizioni nordamericane. Il caso dell’affondamento della nave da guerra sudcoreana Cheonan può essere stato causato da una di quelle “operazioni speciali” gestite da una delle 16 agenzie d’intelligence statunitensi per alzare la tensione fra le Coree, ma anche per influire sulle dinamiche politiche giapponesi, cosa avvenuta col rinnovo degli accordi per mantenere la base militare di Okinawa, dove i sentimenti anti gringo sono forti. Inoltre, è stata una giustificazione di fronte al mondo per incrementare il clima bellico nel cuore dell’area mondiale che detiene l’egemonia economica. Il caso del Giappone è molto istruttivo, basta cogliere la campagna antigiapponese di Hollywood nei film, le serie televisive o i documentari per capire come gli USA vedono quanto sta succedendo nella società nipponica.
 
Il terzo processo che incide sul conflitto coreano-statunitense è l’accelerazione del successo del sud-est asiatico attraverso l’ASEAN, alleanza regionale cui partecipano dieci paesi asiatici fra i quali alcune potenze nucleari: Cina, Giappone e Corea del Sud. Una matassa d’interessi asiatici con la forte influenza socialista di Vietnam, Laos, Cambogia e Cina, che non è più facile rompere, come capitava quando l’egemonia statunitense era all’apice.
 
Il quarto processo è di carattere generale ma non va perso di vista: la perdita dell’egemonia statunitense a livello mondiale. L’Europa, negli ultimi cinque anni, è sempre più disposta a liberarsi dai lacci finanziari con gli Stati Uniti che l’hanno dominata e sfruttata, togliendole spazio in Africa e Asia grazie al Piano Marshall. E nel frattempo, le posizioni statunitensi in America Latina sono entrate in una fase di non ritorno rispetto la situazione precedente di totale egemonia statunitense.
 
Pur se in Asia gli Stati Uniti mantengono il loro potere attraverso Giappone e Corea del Sud, ora le loro posizioni si vanno indebolendo a fronte della competenza cinese e dell’ASEAN, mentre le fusioni finanziarie vanno favorendo i capitali asiatici. Ritengo azzeccata la definizione di Fidel Castro per fotografare la situazione attuale: “Gli USA sono in stallo”. In effetti, gli Stati Uniti sono in una posizione rischiosa da più di un decennio, da quando hanno contribuito a demolire il sistema bipolare che avevano creato insieme all’Unione Sovietica, e senza avere apprezzato la visione strategica di Mao Tse Tung quando li definì “Tigri di carta”. Obama dovrebbe essere più prudente, cogliere dalla sua anima qualcosa della pazienza asiatica o della bontà africana che si annida nei suoi geni per evitare l’olocausto nucleare. Potrebbe farcela se agisse con fermezza contro i falchi. Una o due guerre contemporanee contro sistemi popolari, come nel caso della Corea del Nord e dell’Iran, per gli enormi costi in risorse umane e materiali sarebbe la fine definitiva del sistema egemonico imperialista.
 
La percezione di questo contesto, tanto dell’Iran come della Corea del Nord, è molto suggestiva, secondo gli stessi portavoce di questi paesi. Sono disposti a tutto e hanno pronosticato agli USA una sconfitta atroce. Le ragioni non mancano. L’èlite al potere negli USA, e gli stessi che fanno parte del Club Blindeberg, sanno che una guerra nucleare contro l’Iran e la Corea provocherebbe seri danni nelle loro basi militari sparse in Asia e Medio Oriente, oltre a quelli nelle proprietà statunitensi in tutto il mondo. Se scoppiasse un conflitto nucleare in uno dei due paesi, subito coinvolgerebbe l’altro per evitare che gli USA possano attaccarli separatamente. E’ la logica bellica. L’Iran è appoggiato sempre più apertamente da Russia e Cina, che a sua volta è sempre stata dalla parte della Corea del Nord, come capitò tra il 1950 e il 1953, quando dopo solo tre anni dalla nascita della Repubblica Popolare Cinese un’armata cinese, l’Esercito Volontario Popolare, aiutò i nordcoreani a vincere le truppe statunitensi del generale McArthur e a ricacciarli fino al 38° parallelo che oggi divide le Coree. E nel gioco si deve pur tenere conto degli alleati dei due schieramenti, in cui gli USA sono in minoranza.
 
Questi quattro processi sono legati fra loro in tal modo che non si può fare un’analisi di un singolo fatto in Asia senza considerare l’impatto dialettico fra di essi. Bisogna riconoscere che il rapporto di forze non favorisce in modo netto l’opzione bellicista, e ancor meno l’opzione imperialista yankee di continuare a sfruttare il mondo.
 
NOTE
 
(1) Cinque princìpi asiatici alla base dell’accordo fra Chou En Lai e Jawajarhal Nehru, fra Repubblica Popolare Cinese e India nel 1954, nel primo Trattato di Cooperazione fra le due repubbliche e che in seguito ha prodotto la dichiarazione di Bandung del 1955 e la Costituzione nel 1961 del Movimento dei Paesi Non Allineati. Quest’ultima è ben diversa dalla Carta dell’ONU del 1945 perché più adeguata e soprattutto conferisce uguale dignità, fratellanza e cooperazione.