Lo sviluppo del nostro dibattito s’interseca con il procedere degli avvenimenti, cioè con il succedersi dei fatti concreti. Una delle maggiori differenze, politiche, che distingue la Mozione “Essere Comunisti” da quella del segretario è l’approccio alla questione, con ogni evidenza rilevante, della partecipazione del nostro partito nel futuro, augurabile, governo del dopo-Berlusconi. Gli argomenti descritti nei due documenti congressuali sono, ormai, ben noti, tuttavia riterrei utile confrontare le due distinte ipotesi con, appunto, la concretezza degli avvenimenti. La Toscana è certamente un laboratorio politico-istituzionale emblematico delle contraddizioni in essere. Come risulta l’accordo per le prossime elezioni regionali, fra “Toscana Democratica” e il Prc è, sostanzialmente, sfumato e come ben descrive il neo-direttore del nostro quotidiano, compagno Piero Sansonetti, su un articolo apparso alcuni giorni or sono, la motivazione strategica per la quale il centro-sinistra ha pronunciato il suo “njet” risiede nell’aritmetica propria alla logica della “Legge regionale elettorale”, di recente varo, purtroppo anche con la nostra “astensione”, che in ossequio al principio della “governabilità”, di craxiana memoria, assegna alla coalizione di maggioranza ( anche relativa!) il 60% dei seggi. La presenza del nostro “partito” avrebbe dunque, con ogni presumibilità, squilibrato le dosature interne alla maggioranza mettendo, magari, l’ala ufficialmente riformista (il costituendo Democratic Party: Ds, Margherita, Sdi) della coalizione sotto quota “33” che in un consiglio ormai voluto di 65 membri costituisce il limite reale per l’autosufficienza dei moderati rispetto alla così detta potenziale “sinistra critica” (cioè: Prc+ PdCI + Verdi + sinistra Ds). E’ naturale che questo rifiuto di dar vita anche nella nostra regione l'”Unione” abbia suscitato reazioni negative da parte di quanti si erano battuti, giustamente, per la costruzione di un vasto schieramento politico-programmatico realmente alternativo alle logiche economico-sociali promosse dalla destra. Tanto più che in Toscana tale obbiettivo non avrebbe subito i condizionamenti derivati dalla logica emergenziale legata alla necessità di sbarrare la strada alle forze conservatrici-reazionarie dal momento che tale pericolo risulta, a tutt’oggi, ben remoto. I compagni che già nel Comitato regionale non avevano mancato di esprimere le proprie critiche e riserve individuano nella debolezza e contraddittorietà dell’azione del nostro Partito un fattore non secondario dell’attuale situazione. Debolezza dal punto di vista della capacità di elaborazione programmatica e contraddittorietà d’atteggiamento che ci ha visto per un lungo periodo della legislatura sostanzialmente estranei, non interessati alla costruzione di un’effettiva intelocuzione con il centro-sinistra, salvo poi, repentinamente, inseguire la costruzione delle basi necessarie per l’alleanza decidendo un’estemporanea “astensione” sul bilancio di fine legislatura della Giunta Martini e abbandonando ogni seria volontà d’aprire una qualificata discussione sul “programma” futuro della prossima maggioranza regionale. Insomma da un estremo all’altro! Dopo aver esercitato la retorica del movimentismo più astratto, cosa ben distinta da un, doveroso, rapporto positivo e non strumentale con i movimenti, si è passati all’inseguimento dell’accordo con C. Martini avallandone, per lungo tempo, l’immagine “No-Global” da lui stesso sapientemente costruita. Indipendentemente dall’esito elettorale di questa vicenda emerge un partito che pur dichiarandosi alternativo al “politicismo” dominante in realtà lo ripropone, nell’assenza di una effettiva ricerca e proposta strategica, attraverso un’oscillante linea politica più costruita su dati umorali che su definite scelte circa i bisogni dei soggetti sociali di riferimento.