Il caso tedesco Die Linke e l’autonomia comunista

A proposito dell’articolo di Gennaro Migliore “ Il cambio di passo della Pds tedesca. Oltre il riformismo, per l’alternativa”.

L’intervento del compagno Gennaro Migliore (“Il cambio di passo della Pds tedesca. Oltre il riformismo, per l’alternativa”) apparso su Liberazione mercoledì 20 luglio e relativo all’intesa politico–elettorale e alle prospettive di unificazione, in Germania, tra Wasg (Alternativa Elettorale per il lavoro e la giustizia sociale) e Pds (Partito del Socialismo democratico) e al cambiamento di nome di quest’ultima in Die Linke (La Sinistra, contrazione de Il Partito della Sinistra), non può essere considerato, per la sua pregnanza, articolo di routine.
L’autore, infatti, trae dall’esperienza tedesca una lezione a suo avviso valida per l’intera sinistra europea, compresa la sinistra italiana, compresa Rifondazione comunista. Risiedono in ciò – per il proposito non celato di assumere anche per i comunisti, per il nostro partito, l’orizzonte politico e culturale della Die Linke – gli elementi strategici che fanno dell’articolo un passaggio importante, da chiarire attraverso una discussione aperta.
Migliore giudica la nascita del Partito di Sinistra in Germania «uno dei più interessanti processi politici visti nel nostro continente»; valuta che nel processo portato avanti da Gregor Gysi e Oskar Lafontaine (rispettivamente: leader dell’ala moderata della ex Pds e leader della Wasg) vi sia «l’indubbia volontà di fare un passo storico»; afferma, inoltre, che la nascita del Partito di Sinistra in Germania può «contribuire all’apertura di un nuovo spazio politico continentale per la sinistra alternativa». Su tutti e tre i punti credo che il compagno Migliore abbia molte ragioni. Tuttavia, vi è un altro punto che mi spinge a riflettere: dall’articolo emergono due asserzioni ed un silenzio: le due asserzioni tendono ad affidare al nuovo Partito di Sinistra tedesco il compito di anticipare l’intera sinistra d’alternativa europea e poi ad affidare a questa – nascente? – sinistra europea il compito strategico della trasformazione sociale. Il silenzio riguarda i comunisti. Sembrano scomparire, come se il loro ruolo storico fosse esaurito. Mentre ben altra, crediamo, dovrebbe essere l’analisi: si alla costruzione sul campo della sinistra d’alternativa (in Italia, in Germania, in Europa); si all’unità nelle lotte – nel rispetto delle autonomie – dei soggetti anticapitalisti, ma con il partito comunista quale soggetto attivo e autonomo del processo.
Il compagno Migliore, sembra far sua la comprensibilissima affermazione (poiché fatta in Germania, cioè lì ed ora) del presidente del nuovo Partito di Sinistra, Lothar Bisky, secondo il quale la nascita della Die Linke rappresenterebbe la volontà di «osare un nuovo inizio», di avviare una fase «rifondatrice» dal carattere «storico» da parte della sinistra tedesca. Nel momento in cui Migliore sembra far sua tale affermazione (e cioè «la centralità» del Partito di Sinistra) sembra anche volerla farla uscire dai confini tedeschi per renderla, quantomeno, europea, proponendola come un vestito nuovo anche per Rifondazione comunista. Un partito socialdemocratico di sinistra come nostro nuovo orizzonte?
Da tali valutazioni può partire il tentativo di analisi.
La socialdemocrazia europea del dopoguerra, pur non ponendosi il problema del cambiamento dei rapporti di produzione e del socialismo e pur non praticando mai politiche antimperialiste, quella socialdemocrazia si lega tuttavia col movimento operaio, porta avanti politiche sociali e conquista un ampio spazio dello schieramento politico di sinistra, segnato, sul versante anticapitalista e antimperialista, dalle lotte dei comunisti europei.
Con la fine del dominio monoimperialistico degli Usa e il ritorno della conflittualità interimperialistica, che porta in sé sia la distruzione del welfare che l’attacco ai salari e ai diritti, e con la caduta dell’Unione Sovietica, la socialdemocrazia (oscillante per sua natura) perde gran parte della sua spinta sociale e pacifista e si colloca (Blair e D’Alema in avanguardia) al centro dello schieramento politico, acquisendo caratteristiche neoliberiste e chiaramente filoatlantiste.
Il quadro internazionale, dalla fine degli anni ’80 in poi segnato dalla scomparsa del massimo “contrappeso” agli Usa e dall’arretramento dell’intero fronte anticapitalistico mondiale, non incoraggia certo le forze dell’Internazionale Socialista a rioccupare la precedente collocazione a sinistra.
Ma l’illusione alla Fukuyama della “fine della storia” si infrange di fronte al ritorno delle vittorie e delle lotte dal carattere antimperialista dei popoli (Venezuela, Iraq…), all’emergere di poli non subordinati al dominio imperialista (Cina, India, Brasile…), al sorgere, da Seattle a Genova, dei movimenti.
È, forse, in questi processi che vanno ricercate quelle basi materiali che stanno segnando oggi un iniziale, anche se certo non sufficiente, cambiamento dei rapporti di forza internazionali e una nuova, seppur timida, spinta per il ritorno a sinistra di spezzoni di minoranza della socialdemocrazia europea.
Il dominio imperialista, la “guerra infinita”, l’attacco determinato alle condizioni di vita dei lavoratori su scala europea inducono i comunisti a valutare positivamente tutto ciò che si muove a sinistra. Da questo punto di vista la nascita di una forte aggregazione della sinistra tedesca (accreditata del 12%), deve essere vista dai comunisti come una nuova possibilità per il miglioramento della vita delle masse popolari, una nuova forza contro la guerra (da questo punto di vista si capisce l’appoggio tattico ed elettorale che sia la Piattaforma comunista interna alla Pds che il Partito comunista tedesco – Dkp – hanno dato all’accordo Pds-Wasg, pur essendo entrambe in totale disaccordo sulle prospettive tendenti alla rimozione socialista).
E ha ragione il compagno Migliore nel mettere positivamente a fuoco i possibili obiettivi politici della nuova formazione tedesca: essere terza forza in Germania e prima nei land dell’Est, dove potrebbe raggiungere il 30%; rompere il sistema politico tedesco, segnato dall’egemonia dei democristiani, dei liberali e della Spd; impedire ad Angela Merkel e alla Cdu di ottenere la maggioranza assoluta dei consensi; osteggiare la “grosse koalition” tra Cdu e Spd; sostenere una politica per il rilancio del welfare, in difesa dell’ambiente e della pace.
Vi è un punto, però, sul quale non sono d’accordo con Migliore, e non è un punto da poco, che possiamo definire “la questione comunista”.
«L’esperienza tedesca – scrive il compagno – ci ammonisce anche più direttamente sulle possibilità di costruire una reale sinistra alternativa nel nostro Paese». L’allusione sembra chiara; sembra, anzi, una sorta di indicazione operativa: “fare come in Germania”. Non manca, nella riflessione del nostro responsabile Esteri, una minima “piattaforma” per tale progetto politico e organizzativo: «Le due parole chiave sono la partecipazione e la critica profonda al riformismo. Esse sono fondative di una nuova soggettività politica, in termini di pratica e di identità».
Si evocano, nel nostro paese, sia una “nuova soggettività” che una “nuova identità”. La domanda ci sembra lecita: non più comuniste?
Riconoscere, come riconosciamo, l’importanza della nuova esperienza della sinistra tedesca non vuol dire – questo è il punto – volerla trasportare di peso ed estenderla in Italia e in Europa, rischiando di cancellare di fatto – attraverso tale sovrapposizione – l’autonomia comunista.
Vi sono, infatti, due ordini di problemi: primo, la natura politica e culturale del nuovo Partito di Sinistra tedesco; secondo, la questione comunista in Germania e in Europa.
Prima questione: pur muovendo dalla giuste critiche alle derive moderate della Spd e pur rilanciando positivamente (9° Congresso di Berlino, relazione di Lothar Bisky) tre punti essenziali (welfare-diritti; ambiente; pace), la piattaforma complessiva della Die Linke (che al momento del cambiamento del nome ha visto l’opposizione interna sia della Piattaforma comunista che del Forum marxista) sembra caratterizzarsi, in queste sue prima battute, più per un orientamento antiliberista (rosso-verde e pacifista, quindi importante), piuttosto che per una strategia anticapitalista e socialista, recuperando con ciò (nell’essenza, poiché nulla, naturalmente, è uguale a ciò che è stato) il ruolo avanzato delle socialdemocrazie del secondo dopoguerra europeo.
Secondo punto, la questione comunista in Germania, in Italia e in Europa: se da una parte è vero che la questione comunista in Germania appare oggi ben lontana dal trovare risoluzione nella forma di un Partito comunista con incidenza di massa, è anche vero, tuttavia, che il movimento comunista, in Italia e in buona parte d’Europa, è in grado di tenere aperta la “questione comunista” nei termini di presenza attiva e di lotta di partiti comunisti di massa.
Sappiamo, certo e specie in questa fase, che per tenere aperta “la questione comunista” non basta la presenza dell’organizzazione e che i comunisti sono chiamati a rilanciare il loro progetto rivoluzionario a partire da una seria analisi concreta della situazione concreta; dal rifiuto di ogni atteggiamento nostalgico o liquidatorio del loro passato; da una proposta strategica anticapitalista e socialista che abbia un riscontro di massa.
Sappiamo anche che ciò che occorre, per i comunisti, è la riassunzione piena dell’azione soggettiva, leninista, che prescinda razionalmente dalla mitologia del “faro internazionale”; che prescinda, per ciò che riguarda l’Italia, dalla “scuola” positivista che si era affermata all’interno del Pci e per la quale, in attesa che il socialismo si costituisse nel mondo a partire dall’allargamento “inevitabile” del “campo socialista”, nel nostro paese si poteva imboccare, ragionevolmente, una strada “adattativa”, essenzialmente socialdemocratica.
Dovremmo sapere, inoltre, che nessun progetto di rifondazione comunista sarebbe praticabile senza l’autonomia culturale, politica e organizzativa del partito, come la stessa crisi profonda del Partito comunista spagnolo all’interno dell’Izquierda Unida dimostra ampiamente. E, infine, dovremmo avere la consapevolezza che sia la liquidazione che la riproposizione del partito comunista non possono basarsi su assunti ideologici: il partito comunista serve oggi non perché lo ha detto Lenin, ma perché, di nuovo, come nella prima guerra mondiale, sono i comunisti a votare contro i crediti di guerra; sono i comunisti, mentre la socialdemocrazia o è complice o balbetta, a battersi contro la guerra imperialista.

Chi non ricorda ciò che diceva il compagno Lucio Libertini, nei primi anni di Rifondazione comunista, e cioè che «in Italia i comunisti possono verosimilmente puntare al 10%?». E perché, dunque, mettere in discussione l’autonomia comunista in un paese, come il nostro, in cui la potenzialità comunista è così alta?
I due requisiti che Migliore attribuisce alla Die Linke e ritenuti “fondativi” per una nuova soggettività politica di sinistra d’alternativa in Italia (partecipazione e critica profonda al riformismo, critica – notiamo – non rivolta alla socialdemocrazia storica, quella del welfare, ma, più facilmente, all’attuale socialdemocrazia) credo non sembrano rispondere ai quesiti posti dal nostro progetto di rifondazione comunista, bensì ad un progetto di costruzione di una forza – appunto – solamente socialista di sinistra, radicale, a sinistra dell’attuale socialdemocrazia.
In chiusura del suo articolo, Migliore afferma che vi sarebbe già in Italia una soggettività in divenire (Uniti a sinistra) pronta ad «affrontare la crisi della politica» e dunque – sembra di capire – a mutuare nel nostro paese il progetto tedesco del Partito di Sinistra: occorrerebbe ricordare che da più parti (da Achille Occhetto innanzitutto, ma anche da Pietro Folena) si è affermato che Uniti a sinistra potrebbe essere il nuovo contenitore della sinistra alternativa, a discapito (mi sembra questo il pericolo) dell’autonomia comunista. Nello stesso passaggio dell’articolo si colloca “il processo della Sinistra europea” sullo stesso piano strategico di Uniti a sinistra; su quale piano: quello, anche in questo caso, della diminuitio comunista? L’assenza della stragrande maggioranza dei partiti comunisti paneuropei dal Partito della Sinistra europea deporrebbe, in verità, a favore di questa tesi.
Il progetto del superamento dell’autonomia comunista, se avanzasse attraverso Uniti a sinistra o altre forme importate, sarebbe un errore drammatico, un errore già praticato altrove da Occhetto e dimostratosi, per la lotta contro la guerra e per gli interessi popolari e di massa, nefasto e da non ripetere.
Sono passati pochi anni da quando, marzo 1999, al IV Congresso del Prc, nel documento congressuale di maggioranza, si affermava: “Un partito che ha l’orgoglio di nominarsi comunista, a due passi dal nuovo millennio, e di indicare come propria ambizione strategica la rifondazione di un pensiero e di una pratica comuniste, è certo una sfida difficile, controcorrente, severa: ma la assumiamo così, come l’abbiamo assunta nel momento della nascita di Rifondazione Comunista…. “.
E chi scrive vuole attenersi, semplicemente e coerentemente, alla lettera e allo spirito di quanto asserito nel documento “Essere Comunisti”: entro tale documento (capitolo XVII) appare centrale la necessità di costruire un “un partito comunista con basi di massa”.

* direttore de “L’Ernesto”