Il 3 maggio, a dieci giorni dalla scadenza elettorale, otto militanti di Iniziativa comunista sono stati arrestati con l’accusa di aver costituito in seno all’organizzazione una associazione sovversiva. Grande è stato il risalto dato alla vicenda dagli organi di informazione, che, come spesso purtroppo accade, hanno “gonfiato” la vicenda oltre ogni limite, cercando spasmodicamente e cinicamente lo scoop, ed in particolare l’inesistente legame del gruppo di arrestati con le Brigate rosse e con l’omicidio D’Antona. Legame che nemmeno gli inquirenti, dopo due anni di “monitoraggio” costante del gruppo, erano riusciti a trovare. Tant’è che ai militanti di Iniziativa comunista è stato contestato unicamente il reato di associazione sovversiva e non la finalità di terrorismo, il che esclude l’esistenza di un qualsiasi indizio che leghi il gruppo all’area della eversione armata. L’unico ad aver affermato, all’indomani degli arresti, di aver inferto «un duro colpo al terrorismo» è stato l’allora ministro dell’Interno, nell’evidente tentativo di uscire dal pesante imbarazzo di una inchiesta, quella appunto sull’omicidio D’Antona, che in due anni ha prodotto solo clamorosi buchi nell’acqua. Di fronte a tale evidente superficialità non si può non essere d’accordo con le parole del Manifesto che all’indomani degli arresti, quando già qualunque persona di buon senso si rendeva conto della inconsistenza delle accuse, scriveva che «il terrorismo è una cosa seria, ed anche l’antiterrorismo dovrebbe esserlo». Ai militanti di Iniziativa comunista non viene contestato alcun reato specifico, ma unicamente il reato associativo. In pratica li si accusa di essersi messi insieme per sovvertire le istituzioni, ma non di aver messo in atto alcun comportamento nel quale tale presunta e non provata intenzione possa obiettivamente trovare riscontro. Cosicché, in pratica, si impedisce loro di difendersi, visto che nessuna contestazione specifica viene loro mossa, e nessuno specifico reato viene loro attribuito. Se le cose stanno così (e purtroppo stanno proprio così) non c’è molto da stare tranquilli. Stiamo assistendo ad un indubbio salto di qualità nella politica (giudiziaria e non solo) di messa in discussione delle più elementari garanzie democratiche. Il reato di associazione sovversiva da molto tempo non veniva contestato se non quale reato strumentale per il compimento di gravi atti delittuosi (dall’omicidio, alle stragi, ai ferimenti ed attentati). Nessuno da anni era stato accusato del semplice reato associativo, e ciò in quanto preso a sé esso diventa un puro reato d’opinione, come tale in aperto e insanabile contrasto con i principi fondanti della nostra democrazia e sanciti dalla nostra Costituzione. Del resto basta vedere la genesi di questo reato, introdotto nei primi anni del fascismo proprio per colpirne gli oppositori e recepito poi nel codice Rocco, tra i “reati contro la personalità dello Stato”. Per questo da anni i più autorevoli giuristi ne chiedono l’eliminazione. Gravi e grandi sono pertanto le responsabilità del centrosinistra e di chi ha governato il Paese in questi anni. Non solo non vi è stato l’impegno di abolire il reato di associazione sovversiva, ma si è voluto introdurre, proprio a fine legislatura, come ultimo atto politico della maggioranza ulivista, misure restrittive che, se interpretate in senso estensivo, permettono agli inquirenti di scardinare la tutela costituzionale del diritto alla libertà di pensiero e nel contempo di ricondurre alla fattispecie criminosa soggetti, come Iniziativa comunista, che non hanno né costituito e né promosso un gruppo con finalità eversive. E’ chiara ed evidente l’importanza della posta in gioco: se è questa l’era del “pensiero unico”, non solo chi agisce, ma anche chi la pensa diversamente deve essere costretto ad omologarsi, e con esso il conflitto sociale, in ogni sua forma, dallo sciopero alla pratica sociale di forma di lotte anticapitaliste. E questa operazione di tentare di omologare il dissenso politico passa imprescindibilmente attraverso l’imbarbarimento dello stato di diritto e lo svuotamento dei fondamentali principi di libertà sanciti dalla Costituzione, a cominciare da quella di associazione e di libera manifestazione di pensiero. Il vero sovversivismo dobbiamo cercarlo in questa filosofia che muove il mondo (e spesso purtroppo la magistratura), e non certo in chi, con posizioni politiche che ci hanno visto dissentire profondamente, persegue, anche in un modo infantile e perfino ridicolo, l’obiettivo di ricostruire il partito di Gramsci e di Togliatti! Per questa ragione il “caso giudiziario” di Iniziativa comunista è un pericoloso precedente, in quanto a seguito di una prolungata attività di indagine estremamente pervasiva, che ha riguardato ogni aspetto, nessuno escluso, anche il più personale della vita degli indagati per un periodo di circa due anni, con pedinamenti, intercettazioni telefoniche ed ambientali, di fronte alla mancanza di indizi, sono stati sottoposti alla massima restrizione della libertà personale otto persone, di cui tre successivamente scarcerate, e cinque che sono tutt’ora in carcere da due mesi, di cui alcuni ancora in condizioni di isolamento. E’ questo l’allarme che credo di dover lanciare a tutte le forze democratiche, a tutti coloro che non hanno rinunciato alla difesa dei valori di democrazia e di libertà che fondano il nostro stato di diritto. Occorre dunque più determinazione, coraggio e consapevolezza nel dare una risposta adeguata affinché questo pericoloso precedente non diventi la “regola”; anche per questa ragione, oltre a quelle del tutto naturali di solidarietà umana, è necessario non lasciare questi giovani politicamente isolati in carcere. Con queste motivazioni sarò presente alla iniziativa di solidarietà promossa per questa sera a Roma a Villa Gordiani e credo che sia opportuna la presenza di tanti compagni e compagne.