Il caso Dal Molin, a 48 ore dalla marcia dei comitati

A 48 ore dal corteo contro la base americana, dal municipio e dai negozianti del centro storico emerge la paura per le conseguenze che la manifestazione avrà sul traffico e sul sistema del trasporto pubblico cittadino nel primo sabato di dicembre, cruciale per lo shopping natalizio. «La città rischia la paralisi», denunciano amministratori comunali e associazioni dei commercianti. Intanto, si aggiungono nuovi nomi eccellenti alla lista delle adesioni: dopo Dario Fo, ecco l’astrofisica Margherita Hack.

_________________________

Ci piacerebbe esserci ma non ci saremo

Il 2 dicembre ci piacerebbe molto poter essere in piazza con i cittadini di Vicenza contro la nuova base americana nell’area del Dal Molin.
Ci piacerebbe, ma non sarà possibile.
La manifestazione, di cui non si è ancora capito bene chi siano i veri promotori, si presenta molto sospetta ai nostri occhi. Prima di tutto perché non essendoci chiarezza su chi l’organizza, viene da pensare istantaneamente che si tratti di una manifestazione della sinistra radicale.
Benissimo. I signori hanno già fatto capire chiaramente la loro apertura di vedute. Hanno già affermato come le loro lotte, che teoricamente dovrebbero portare in piazza “tutti i cittadini di Vicenza”, che dovrebbero essere “estremamente trasversali, aperte a tutti”, abbiamo però una conditio sine qua non. I fascisti, quelli no. Quelli non li vogliamo, quelli non possono manifestare con noi, se vengono anche loro è una provocazione, noi siamo antifascisti, antirazzisti, anti-qua anti-la.
Sempre anti, mai pro. Viene da chiedersi per quale ragione lo spauracchio dell’antifascismo sia tutt’ora così tanto in voga.
Viene da chiedersi per quale ragione persone politicamente schierate, e che hanno dimostrato intelligenza e capacità d’analisi in diverse occasioni, rifuggano in preda ad un ansioso terrore d’avere in comune qualche ragione di battaglia con persone schierate da una parte differente.
Probabilmente deve esserci qualche difetto d’onesta morale di mezzo. La politica, nella sua accezione originaria, e quindi corretta, è capacità di dialogo costruttivo, diplomazia delle idee e coraggio di venirsi incontro. La politica nasce con il maggior fine di subordinare le diatribe ideologico-personali, in vista d’un fine comune, più alto, super-individuale. Questa è la vera politica.
E la battaglia contro l’ennesimo insediamento americano ci sembra una validissima ragione per dimostrare che la politica può ancora essere destinata ad un fine sociale.
E per tale ragione dovrebbe vedere ogni forza politica che si oppone a tale progetto, unita.
Ancora discorsi al vento.
Ebbene, noi siamo stanchi di quelli che sanno dire solo no. Per questo, perché siamo sgraditi eviteremo di esserci il 2 dicembre. Che sarà solamente una giornata dove una parte monopolizzerà l’evento, credendosi forse legittimata ad escludere a piacere chi su tutto il resto la pensa diversamente.
Eppure le nostre forze politiche proseguiranno nell’opera di protesta, per riaffermare una verità offesa: l’Italia appartiene al popolo che l’abita, ovvero gli italiani. Una nazione che si arroga da sempre il diritto di violentare nazioni sovrani con la pretesa di esportare la democrazia con le bombe, spesso al fosforo.
Una nazione che tutt’oggi ci opprime con il suo pensiero sovvertitore d’ogni etica, una nazione in grave crisi finanziaria che è costretta ad occupare terre altrui per mantenersi in vita.
Una nazione che tutti gli stati liberi osteggiano. L’Italia no. Asservita come sempre, si piega a novanta gradi di fronte agli interessi del padrone. Ma noi ci chiediamo: e se in futuro l’Italia deciderà di cambiare politica, per affrontare finalmente le prerogative e gli interessi nazionali, se in futuro l’Italia e le altre nazioni europee guarderanno finalmente all’Europa come entità politica, come faremo con l’ennesima base statunitense situata proprio nel polmone geostrategico del mediterraneo?
E poi, il terrorismo è oggi al massimo del suo delirio. Vogliamo che anche Vicenza ne diventi obbiettivo? Perché è lampante che la suddetta è una possibilità tutt’altro che remota: ospitando i provocatori del terrorismo, si diventa plausibili obbiettivi.
Come se ciò non fosse sufficiente, la comunità americana non porterebbe alcun beneficio all’economia nostrana. Sarebbero autosufficienti, coi loro negozi ed i loro servizi. L’unico “vantaggio” per Vicenza sarebbe un aumento della militarizzazione della città, una maggior ansia per i cittadini (ricordiamo, non ci accingiamo ad accogliere una base del Ruanda, ma quella di una nazione che da sessant’anni conduce una guerra ogni tre anni circa), una minor sicurezza per i baristi che sanno bene quanto siano tranquilli i militari dopo una bella sbevazzata. E, non ultimo, un ceffone alla bellezza armonica della città del Palladio, l’architetto che ispirò addirittura costruttori inglesi.
Alex Cioni e Daniele Beschin