E’ il genere umano a fare la storia, fin qui nulla di più banale. Eppure se si chiede come si fa a trasformare il mondo le cose si complicano subito. Ad esempio, è sufficiente la volontà cosciente degli individui per voltare pagina nella storia? Oppure dietro alle idee considerate ovvie da ogni generazione agiscono strutture profonde, semicoscienti o addirittura inconsce che non si possono padroneggiare fino in fondo?
Avanti per questa strada si potrebbe scoprire che nelle ideologie professate dagli individui si nascondono effetti di lunga durata della storia, della politica e delle istituzioni passate, strati culturali sedimentati, insomma un materiale resistente frutto del lavoro delle generazioni precedenti di cui le stesse idee sono agenti. Come dire che la storia è fatta non solo di individui e azioni visibili ma anche di un’operosità e di una trama invisibile per la quale il vecchio Marx – sulle orme del suo maestro Hegel – aveva coniato la celebre metafora della talpa scavatrice. E non ci sarebbe sorpresa alcuna se tra gli agenti sotterranei trovassimo anche i libri, i contenitori delle idee.
Non a caso, un editore ha pensato di inaugurare una collana dedicata ai libri che hanno cambiato il mondo. Nel catalogo di Newton Compton – è di questa casa editrice che si tratta – non poteva mancare l’opera più importante per antonomasia di Karl Marx, Il capitale , in compagnia di altri libri celebri nella storia del genere umano, dalla Repubblica di Platone al Corano fino all’ Origine della specie di Charles Darwin e i Diritti dell’uomo di Thomas Paine.
Comunque la si pensi sarebbe arduo per chiunque negare a cuor leggero il ruolo del Capitale dopo la morte del suo autore e per tutto il Novecento. Pochi altri testi – peraltro così dotati di astrazione e densità filosofica – hanno condizionato coscienze collettive, classi dirigenti, movimenti rivoluzionari, leader anticolonialisti, finanche la politica di interi Stati nel migliore dei casi. La Newton Compton ha scelto un saggio dai toni divulgativi come compendio del Capitale per questa collana, un volumetto leggibile tutto d’un fiato, a firma di uno dei più famosi biografi britannici di Marx: Francis Wheen (pp. 128, euro 9,90), giornalista di The Guardian , e autore, appunto, di Marx: vita pubblica e privata , tradotta in venti lingue.
Sarà magari troppo semplificato in alcuni passaggi, ma il commento di Wheen al Capitale ha il merito di restituire al lettore di oggi un’immagine “sentimentale”, anzi “estetica” di questo libro che ha sempre avuto fama d’essere ostico, difficile, pieno zeppo di dialettismi e ragionamenti acrobatici. Racconta una tormentata storia privata di gestazione, una via crucis di dubbi e travagli, di stati euforici e depressivi del Marx uomo. Filosofo prolifico come pochi altri, a giudicare dal materiale lasciato in eredità, una mole immensa di appunti, manoscritti, scritti polemici, divagazioni, che a tutt’oggi attendono d’essere sistemati. Ma nel caso del Capitale la musica cambia. Qui Marx è pieno di oscillazioni. Fa credere ad amici ed editori di essere sempre in procinto di completare la sua opera principale. L’amico della vita, Engels, lo sostiene, lo incita, gli manda aiuti in denaro per alleviare gli stenti e la miseria della famiglia Marx. «Era il tipo di scrittore che non riesce mai a resistere a una distrazione, preferendo l’immediata gratificazione offerta da pamphlet e articoli al silenzioso e oscuro lavoro richiesto dal suo magnum opus ». Pressato dai creditori, addolorato per la morte di tre figli, tormentato dalle malattie salta di rinvio in rinvio e tiene gli editori col fiato sospeso. Alterna periodi di inerzia a notti insonni. Un guazzabuglio di pagine “notturne” uscirà solo nel 1939 col titolo di Grundrisse . Alla fine del settembre 1858 promette al suo editore che il manoscritto sarebbe stato pronto in «due settimane». E, invece, no. Spuntano altri progetti, c’è anche l’impegno politico nella Prima Internazionale. Bisogna aspettare l’aprile del 1867. Marx parte finalmente per Amburgo per consegnare il manoscritto e supervisionare la stampa. Forse, a questo punto, la sua sensazione è simile a quella del protagonista de Il capolavoro sconosciuto di Balzac. Marx ne suggerisce la lettura a Engels perché racconta la vicenda di un pittore di nome Frenhofer, intento per dieci anni a fare e disfare il quadro della sua vita. Ma alla fine, quando lo mostrerà agli amici, la tela avrà subito tanti di quei rimaneggiamenti da apparire un incomprensibile intrigo di forme e colori. Troppo moderno? Troppo profetico? Troppo futurista? Forse l’incomprensibilità del Capitale per i suoi contemporanei – che accolsero il libro con indifferenza – era dovuta al suo essere in anticipo sui tempi. Avrebbe parlato di più al ventesimo secolo questa sorta di «collage letterario radicale», una miscela di voci e citazioni «tratte dalla mitologia e dalla letteratura, da rapporti di ispettori di fabbriche e da fiabe, alla maniera dei Cantos di Ezra Pound o della Terra desolata di Eliot. Il Capitale è disarmonico come Schönberg, angoscioso come Kafka». E’ un viaggio nel futuro, nella terra incognita del capitale, un mondo di spettri e apparizioni, di illusioni immateriali e false sembianze.