Un instant book non è necessariamente qualcosa di improvvisato. Lo dimostra Business in Iraq / Dall’esportazione della democrazia ai subappalti Usa, appena pubblicato da Manni editore (pp. 103, € 9). Il libro – contenente due interventi di Manlio Dinucci e Valentino Parlato, corredati da vari articoli e documenti – è utile a vedere oltre lo schermo della televisione. «Siamo di fronte – scrive Parlato – a una guerra che, oltre a motivazioni antiche, ha caratteristiche nuove. Una guerra «preventiva come un investimento di capitali per guadagnare di più», anzitutto con il petrolio, una «guerra padronale e quindi molto privatistica» in cui entrano in gioco non solo soldati privati, ossia i mercenari, ma anche «stati mercenari: mi alleo e quindi guadagno il diritto alla mia mercede». Il criterio è chiaro, scrive Dinucci nell’intervento di apertura in cui ricostruisce «l’affare Iraq» dall’inizio (ossia da quando Saddam Hussein era amico di Washington) ai nostri giorni: per partecipare a quello che l’«Istituto nazionale per il commercio estero» definisce il «dividendo» politico ed economico derivante dall’occupazione dell’Iraq, da cui sono sostanzialmente esclusi gli iracheni (salvo i pochi con compiti funzionali all’occupazione), è necessario non solo far parte del gruppo dei maggiori «donatori», ma partecipare con una propria forza militare, posta sotto comando statunitense, all’occupazione e alla «stabilizzazione politica» dell’Iraq.
In tale quadro si inserisce la partecipazione di una forza militare italiana all’occupazione dell’Iraq. Essa costituisce l’ultimo passo di una escalation interventista, iniziata quando, oltre dieci anni fa, viene varato il «Nuovo modello di difesa» che conferisce alle forze armate non più solo il compito della difesa della patria (articolo 52 della Costituzione), ma quello della «tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario». «In tutto questo – e forse è la parte più divertente del libro, scrive Parlato – l’Italia è rappresentata da un personaggio eccezionale, un personaggio da commedia dell’arte: Lino Cardarelli, quasi un clone di Berlusconi». Dopo essere stato incriminato per l’affare Montedison – si documenta nel libro – se la cava grazie a una sentenza di prescrizione e, dopo essere stato nominato dal ministro Lunardi nel Cda del ponte di Messina, assume nel gennaio 2004, su decisione del Consiglio dei ministri, l’incarico di vice-responsabile del Program Management Office, la struttura a guida statunitense che gestisce i contratti per la «ricostruzione dell’Iraq». Sono così degnamente rappresentati gli «interessi nazionali» che i soldati italiani sono lì a difendere: quelli delle imprese italiane in gara per accaparrarsi i subappalti della ricostruzione irachena.