IL BILANCIO DEL PENTAGONO PER IL 2001

“…LA GUERRA E’ PACE
LA LIBERTA’ E’ SCHIAVITU’
L’IGNORANZA E’ FORZA…”

G. Orwell in 1984

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PREMESSA

La guerra è umanitaria, la libertà è lavorare dodici ore al giorno (magari lasciandoci una mano o la vita), l’ignoranza è la forza motrice di ogni “miracolo economico”. Lo slogan del Grande Fratello che ricorre spesso tra le pagine del noto romanzo orwelliano trova oramai una coerente applicazione nei paesi a capitalismo avanzato ossia nei paesi imperialisti. Il sistema filosofico noto come bipensiero che in 1984 permette ed impone alle menti umane di accettare un’affermazione o un significato ed allo stesso tempo il suo esatto contrario – ad esempio: il bianco è nero – è esattamente il medesimo che gli strateghi mediatici utilizzano anche oggi in ogni settore della propaganda ufficiale e di stato.
In Italia oltre il 10% della popolazione (sette milioni e mezzo di italiani) vive nella indigenza quando non nella miseria più nera; in realtà in ogni occasione non si fa che celebrare il successo del così detto sistema-paese e la sua non meglio precisata “crescita economica”. In Italia la ricchezza é miseria .
Negli Stati Uniti l’1% dei cittadini – uno su cento – (specialmente neri e chicanos) vive in carcere. Negli Stati Uniti, il paese “più libero del mondo”, la libertà é detenzione .
Certo che se la ricchezza è miseria e la libertà è detenzione la guerra non può che essere umanitaria.
Volendo proseguire diligentemente con un altro esercizio di bipensiero potremmo anche dire che la miseria è libertà, la detenzione è umanitaria mentre la guerra è ricchezza.
Chi potrebbe opporsi alla verità incontestabile che tali formule esprimono? La miseria dei lavoratori è sicuramente la libertà di licenziamento e di profitto per i padroni; la protezione umanitaria per la borghesia nord-americana è certamente la detenzione dei giovani disoccupati dei ghetti mentre la guerra è sicuramente la ricchezza per i costruttori d’armi, i finanzieri, gli imprenditori, i petrolieri…
Quest’ultima formula sarà l’oggetto del presente articolo. Prenderò in considerazione il caso nord-americano in quanto esso rappresenta oggi lo stato guida dal punto di vista tecnologico-militare ma soprattutto lo stato che più sapientemente ed efficacemente di tutti ha saputo tradurre la propria politica estera imperialista nella saldatura di tre fattori strategici: 1 – interessi e produzione delle multinazionali; 2 – ricerca tecno-scientifica; 3 – Forze Armate (esercito, marina, aviazione, servizi segreti).

QUALCHE CENNO STORICO[1]

Correvano gli anni 1937-38, in Europa il fascismo e l’antifascismo si stavano duramente scontrando sotto forma di guerra civile in Spagna. Erano le prove generali di una guerra ben più grande che sarebbe scoppiata di lì a poco e che dall’Europa si sarebbe sparsa praticamente in tutto il mondo. Dall’altra parte dell’oceano Atlantico era già attivo il Council on Foreign Relations (d’ora in poi CFR), un gruppo di studio fondato dai banchieri Rockfeller comprendente gli alti vertici di banca, finanza, industria e mondo accademico degli Stati Uniti il cui fine dichiarato era quello di influenzare la politica estera nord-americana in strategie ed economia. Già in quel periodo i membri del CFR, fiutando l’imminente innescarsi della seconda guerra mondiale, avevano compreso che attraverso la partecipazione degli U.S.A a quella guerra si presentava per essi la concreta e forse irripetibile opportunità di ereditare il controllo sulle colonie che francesi, tedeschi, inglesi e giapponesi si avviavano a perdere.
Sarà infatti poco dopo, nel 1939, grazie ad un accordo tra l’allora presidente F. D. Roosvelt ed il CFR che quest’ultimo concluderà la sua funzione “d’influenza” per ricoprire definitivamente ruoli esecutivi nel governo; molti illustri banchieri e capitani d’industria (circa un centinaio) abbandonavano i loro uffici di Wall Street a New York per migrare in massa a Washington ed occupare così posizioni chiave presso il Ministero degli Esteri e della Difesa. Nel medesimo tempo il CFR provvedeva alla istituzione di quattro gruppi di studio per la pianificazione strategica: 1 – sicurezza ed armamenti; 2 – economia e finanza; 3 – politico; 4 – territoriale.
Nelle riunioni segrete tra Dipartimento di Stato e CFR (i cui resoconti sono oggi in buona parte desecretati) veniva di fatto pianificato il passaggio di dominio del mondo dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti: soltanto dal 1940 al 1946 furono 362 le riunioni tra membri del CFR, del Ministero della Difesa e del Dipartimento di Stato; mentre dal 1942 i membri del CFR venivano man mano assorbiti dal Dipartimento di Stato producendo la bellezza di 682 memorandum. A ben vedere, a partire dal 1939, il CFR non fu, come molti sostegono, una sorta di “governo ombra” quanto piuttosto il governo degli Stati Uniti. I verbali di queste riunioni testimoniano di come la forza militare fosse considerata fattore determinante ed imprescindibile per l’espensionismo imperialista nord-americano.
Era con questa chiara visione strategica che gli USA pianificavano il loro ingresso nella seconda guerra mondiale ma soprattutto lo svolgimento della stessa. Se poi si considera il fatto che i membri del CFR erano animati da una viscerale ideologia sciovinista di estrema destra, la lotta contro il nazi-fascismo e per la “democrazia” fu solamente di facciata, fu il cardine della propaganda ufficiale che doveva spingere le masse operaie ad accettare la coscrizione verso il macello europeo ed asiatico.

“…Chi desideri spiegarsi l’origine della politica americana deve forzatamente far riferimento a questo periodo nel quale si realizzò la completa compenetrazione fra potere politico e potere economico negli Stati Uniti. Nel 1941 il governo americano decise di non creare un complesso industriale di stato per la produzione degli armamenti necessari alla guerra, e di rimettersi invece all’industria privata per fabbricare aerei, navi, carri armati, cannoni e la stessa bomba atomica. Ciò segnò l’atto di nascita del complesso militare-industriale che ha dominato la politica americana fino ai nostri giorni. In pratica il governo degli Stati Uniti cadde sotto la tutela degli interessi industriali…”[2].

Con la fine delle guerra si celebrò poi il matrimonio definitivo, “finché-morte-non-li-separi”, tra i vari complessi industriali e le alte sfere militari: il generale Clay (fu governatore militare in Germania) divenne direttore della Continental Can Corporation e in seguito socio anziano della Lehman Brothers; il generale Douglas McArthur andò a capo del consiglio della Remington Rand; l’ammiraglio Ben Moreel entrò nella Jones and Laughlin Steel Corporation; il generale Somervell fu nominato presidente della Koppers Company mentre il generale Omar Bradley diresse la Bulova Watch Company…
Già nel 1966 Jack Raymond riferisce che:

“…Quasi 25.000 complessi industriali di proprietà privata nel territorio nazionale operano sotto i regolamenti di sicurezza imposti dal Pentagono e sotto il controllo di squadre militari (ricorda molto il servizio di sicurezza della X^MAS presso la FIAT negli anni 1943-45, ndr) e oltre 4 milioni di dipendenti dell’industria hanno dovuto subire le indagini degli organi di sicurezza relativamente ad un periodo di 10 anni…”[3]

Come facilmente ci si può immaginare non furono poche le battaglie di corridoio per l’accaparramento delle commesse e dei relativi profitti: nel 1941 la produzione bellica nord-americana ammontava ad 8,4 miliardi di dollari; nel 1942 saliva a 30,2 miliardi di dollari (mentre i contratti con l’industria privata ammontavano a complessivi 100 miliardi).
Nel 1938 i comandanti del corpo aeronautico (non ancora forza armata indipendente) si concentrarono nell’elaborazione del nuovo sistema di guerra basato sui bombardamenti strategici a lunga distanza. I primi collaudi del quadrimotore B-17 “Fortezza Volante”, antesignano del tristemente noto B-52, venivano effettuati quello stesso anno: Roosvelt infatti, su “suggerimento dei soliti ignoti”, voleva a tutti i costi dotare gli U.S.A. di un’aviazione militare potente appoggiata da una grande industria privata.
Nel 1939 la produzione di aerei ammontava a 5.865 unità; nel 1944 salì a 93.369 unità, mentre durante tutto il periodo della guerra l’industria privata sfornò e vendette al governo U.S.A ben 274.941 aerei.
Osservando il bilancio federale é possibile mettere nettamente in evidenza il passaggio del denaro pubblico nelle casse delle industrie e trusts privati: dalla media di 8 miliardi di dollari nel decennio 1930/39 si saliva a 98,3 miliardi nel 1945.
La spesa complessiva del governo U.S.A per il secondo conflitto mondiale fu di 321 miliardi di dollari, più del doppio di quella complessiva nei 152 anni tra il 1789 ed il 1941.
E fu proprio nel 1941 che la costruzione fisica del Pentagono, sede del Dipartimento della Difesa, fu avviata a Washington lungo le rive del fiume Potomac su ordine del presidente Roosvelt prima dell’entrata in guerra degli U.S.A…[4]

COME IMPARAI AD AMARE LA BOMBA

Il grande businness per l’industria e la finanza nord-americana furono la ricerca, lo sviluppo e l’impiego dell’energia nucleare sia per scopi bellici che civili. Ciò si realizzò in modo particolare dopo che le città di Hiroshima e Nagasaki e tutti i loro abitanti vennero vaporizzati con successo dal fuoco atomico così come a seguito della conferma della possibilità tecnica dello sfruttamento economico dell’energia nucleare. Tuttavia già durante la seconda guerra mondiale tutte le fasi cruciali della produzione della bomba, dalla ricerca all’estrazione e sofisticazione dell’uranio, alla costruzione degli impianti necessari, vennero assicurate tramite contratto a varie multinazionali: Du Pont de Nemours, General Electric Corporation, Kellex, Westinghouse, Monsanto Chemicals, Dow Chemical per citare le maggiori e più conosciute. Fra i componenti del comitato tecnico che si occupò di redigere la “relazione Lilienthal” per il controllo internazionale dell’energia atomica troviamo: Chester R. Barnard, presidente della New York Bell Telephone; Charles A. Thomas, vicepresidente della Monsanto Chemicals e Harold A. Winnie, vice presidente della General Electric. Una analoga situazione era riscontrabile nella composizione della prima delegazione nord-americana presso la Commissione per l’Energia Atomica dell’ONU ma soprattutto presso la Atomic Energy Commission, l’ente nazionale creato dal governo U.S.A. per il controllo statale dell’energia atomica che in realtà altro non era se non “…Il mezzo con cui i monopoli privati controllarono l’industria nucleare degli Stati Uniti fin dai suoi albori…”[5]

IL BILANCIO 2001[6]

Se per tutta la seconda guerra mondiale gli U.S.A. spesero complessivamente 321 miliardi di dollari (circa 648.000 miliardi di lire) oggi spendono annualmente intorno ai 291,1 miliardi di dollari (583.000 miliardi di lire). Questa la cifra che veniva presentata al senato il 7 febbraio 2000 dall’allora segretario alla difesa Cohen per l’anno in corso.
Il Pentagono faceva sapere che era ancora troppo poco: per la ricerca e realizzazione di strumenti “difensivi” tecnologicamente avanzati ci sarebbero voluti almeno altri 30 miliardi (di dollari). In effetti gli U.S.A, più di qualsiasi altro regime occidentale, devono sostenere annualmente la loro guerra mondiale a bassa intensità praticamente in ogni angolo del pianeta, essendo per essi tutto il mondo una enorme area di interesse strategico. Dal Medio Oriente all’Asia, dall’Europa all’America Latina, allo spazio siderale la presenza di basi aeree e navali, soldati, satelliti militari, flotte navali, centri d’addestramento, missioni segrete e cover actions, radar e sistemi di intercettazione, spie e controspie, richiede comprensibilmente un grosso impegno da parte di tutti i contribuenti affinché la dittatura del dollaro venga preservata ed imposta a tutti i nemici di turno.
L’ammontare della spesa militare per il 2001 é stata così ripartita tra le varie forze:

* U.S. Navy (marina): 31,5%;

* U.S.A.F. (United States Air Force – aviazione): 29,3%;

* U.S. Army (esercito): 21,2%;

* il rimanente 18% attribuito alle varie agenzie e Stati Maggiori riuniti.

Nel complesso 75,8 miliardi di dollari vengono destinati al personale; 109,3 all’esercizio (operazioni e manutenzione); 60,3 ai nuovi investimenti; 37,9 alla ricerca e allo sviluppo; il resto in voci varie.

Per ciò che riguarda il primo capitolo di spesa (75,8 mld) basti pensare che il Dipartimento della Difesa nel 1999 aveva alle sue dipendenze 2,958 milioni di dipendenti dei quali 1,386 milioni militari attivi; 869 mila della riserva ed il resto civili. Uno dei problemi più stringenti per il Pentagono risulta ancora essere quello di garantire un regolare afflusso nel reclutamento; afflusso che deve poter assicurare la massima efficienza e continuità operativa alla mega-macchina amministrativo-militare. Per fare ciò il Dipartimento della Difesa si sta muovendo su più fronti: aumento del 3,7% delle retribuzioni; aumento delle coperture assicurative alla fine del servizio; riduzione dei costi abitativi del 15% nell’immediato, per azzerarli del tutto entro il 2005[7]; copertura delle spese ospedaliere[8].
Esattamente come alla vigilia della seconda Guerra Mondiale, quando CFR e Governo riconoscevano nello strumento militare il fattore strategico dell’egemonia imperialista per gli U.S.A, l’ex presidente Bill Clinton (prestigioso membro dell'”Ulivo mondiale”) ed il suo vice Al Gore sostenevano meno di un anno fa che morale e prontezza degli uomini e disponibilità di armamenti e sistemi moderni sono necessari se gli U.S.A desiderano mantenere il ruolo di potenza mondiale “…ed essere in grado di proteggere la libertà del paese e fortificarne la leadership nel 21deg. secolo…”. Cos’é cambiato dunque rispetto al passato, tra pre e post guerra fredda?
Se oggi il Pentagono ha alle sue dipendenze quasi tre milioni di persone a fronte di un bilancio complessivo di 291 miliardi, nel 1965 ne aveva 1.982.000 con un bilancio complessivo di 40-60 miliardi…
“…Abbiamo le forze armate più precise, più letali, versatili e meglio equipaggiate e addestrate del mondo, e disponiamo di un programma di difesa che ci assicura che esse manterranno la loro superiorità nel nuovo secolo…”. Così esordiva, piuttosto tronfio e forse un po’ troppo sicuro di sé, l’ex-ministro della Difesa Cohen nel presentare la proposta di bilancio per il 2001.
E’ comunque da questa dichiarazione che possiamo immaginare come verranno spesi i complessivi 98,2 miliardi di dollari destinati alle due voci senza dubbio più interessanti di tutto il bilancio: “investimenti” e “ricerca e sviluppo”. Quasi sicuramente nella realizzazione del generico programma cui accennava l’ex-ministro Cohen e che in realtà ha un nome (molto nord-americano): il “JOINT VISION 2010” (d’ora in poi JV 2010).
Secondo gli strateghi militari l’obiettivo del JV 2010 é quello di “…stimolare le varie forze armate a ragionare in termini di dominio globale dallo spazio agli abissi del mare…”[9]. E’ così che Esercito, Marina ed Aviazione, nel quadro del JV 2010 stanno approntando o già realizzando i loro rispettivi sotto-programmi.

L’US ARMY sta lavorando alla realizzazione del progetto “OBJECTIVE FORCE” che in linea generale dovrebbe raggiungere l’obiettivo di proiettare e sostenere una brigata da combattimento in qualsiasi angolo del pianeta entro 4 giorni dall’ordine, una divisione in 5 giorni, 5 divisioni entro 30 giorni. Per fare ciò si punta ad una “standardizzazione” delle varie unità eliminando le attuali distinzioni (peraltro presenti in tutti gli altri eserciti) tra unità leggere (parà, fanteria d’assalto, fanteria leggera, ecc.) e unità pesanti (corazzate, d’artiglieria, ecc.) con l’obiettivo di creare un nuovo esercito composto da divisioni identiche ed autonome in grado di accorpare capacità di controllo e comando, comunicazione, computers, intelligence, sorveglianza e ricognizione, ma soprattutto con necessità logistiche enormemente ridotte grazie alla prevista riduzione del 50-70% del peso dei veicoli. Sembra una versione aggiornata ed ultra-tecnologica dei vecchi KampfGruppe SS.
Buona parte degli investimenti é quindi rivolta alla realizzazione di questa prima fase di standardizzazione che dovrebbe portare al così detto “ARMY XXI”. Una seconda fase si protrarrà sino al 2025 per concludere il progetto complessivo attraverso l’approntamento del così detto “ARMY AFTER NEXT”.

Per Ciò che riguarda la US Navy il sotto-progetto di riferimento é stato definito “FORWARD… FROM THE SEA” (Avanti… dal mare) e prevede la realizzazione e mantenimento di cinque funzioni principali: controllo dei mari e supremazia marittima, capacità di proiezione dal mare verso terra, deterrenza strategica, capacità di trasporto strategica e presenza navale avanzata. In particolare é stato riconfermato il ruolo dei gruppi di battaglia che comprendono portaerei in quanto vere e proprie basi aeree avanzate dalle quali svolgere tutte le operazioni del caso senza dover chiedere eventuali autorizzazioni di paesi alleati-allineati per l’utilizzo o l’accesso a basi situate in territorio extra-nazionale.
La Marina militare dispone al momento di 316 unità divise in 12 gruppi di battaglia con portaerei, 12 gruppi anfibi, 116 unità di superficie da combattimento e 55 sommergibili d’attacco.
Le voci più consistenti del bilancio della US Navy riguardano lo sviluppo della nuova portaerei CVN-77 (classe Nimitz a propulsione nucleare), la dotazione di 12 missili a testata nucleare TRIDENT II per l’impiego su sommergibili e la costruzione del sommergibile a propulsione nucleare della nuova classe Virginia. La realizzazione di questa nuova classe di sommergibile é stata affidata ai due cantieri nord-americani Electric Boat Division (proprietà General Dynamics) e Newport News Shipbuilding. Un esemplare della classe Virginia costerà 1,7 miliardi di dollari: ne sono stati commissionati uno all’anno sino al 2005.
L’US Marine Corps e la US Navy in particolare ritengono di vitale importanza raggiungere un buon livello nella dotazione ed impiego di munizionamento così detto “intelligente” e lamentano una certa arretratezza sia nel campo dei sistemi d’arma aerei che missilistici. In questa direzione nel bilancio per il 2001 verrà attuata una prima correzione di tendenza.
Da segnalare come perticolarmente interessante il programma “URBAN WARRIOR” (Guerriero Urbano) che i Marines stanno approntando mettendo a punto particolari tecniche di combattimento in ambiente urbano accompagnate da relative strumentazioni hi-tech come visori e sistemi di comunicazione integrati. L’ambiente urbano-metropolitano é infatti considerato (anche dall’Esercito col suo programma “LAND WARRIOR XXI”) il contesto principale delle guerre presenti e, soprattutto, future.

Il programma dell’Aviazione (U.S.A.F.) ha anch’esso un titolo non meno altisonante e guerrafondaio degli altri: “GLOBAL ENGAGEMENT: A VISION FOR THE 21st. CENTURY” (Ingaggio Globale: una visione per il 21deg. secolo), e facilmente prevedibile ne risulta l’obiettivo: dominare cielo e spazio in stretta integrazione con le forze aeree delle altre Forze Armate.
Si sta procedendo, in buona sostanza, alla trasformazione dell’aeronautica in 10 forze aerospaziali di spedizione (E.A.F – Expeditionary Aerospace Force) più o meno standard. Ogni E.A.F sarà formata da 150 caccia di superiorità aerea, d’attacco, bombardieri e supporti e da 15,000 uomini. Non sono attualmente disponibili tutti i sistemi d’arma che dovrebbero consentire la piena operatività del nuovo modello e comunque lo schema di riferimento sarà il seguente: 2 E.A.F pronte per l’impiego, 8 impegnate nei cicli di ricostituzione, addestramento, riposo.
Anche l’U.S.A.F, così come la Marina e l’Esercito, sta aspettando la messa in produzione del nuovo super caccia F-22 e dell’aereo d’attacco JOINT STRIKE FIGHTER (JSF); aerei questi destinati a rilanciare sicuramente la corsa agli armamenti nel campo dell’aviazione militare. In particolare, a detta dei vertici U.S.A.F, senza l’F-22 la superiorità aerea USA sarebbe compromessa (da chi?, ndr)[10].
In ogni caso sino a quando questi nuovi apparecchi non arriveranno in quantità, l’U.S.A.F continuerà a contare sui tradizionali F-15 ed F-16 per la superiorità d’attacco e sui bombardieri B-52, B-1 e B-2 (rispettivamente 125,8; 340; 2210 miliardi di lire al pezzo) per gli interventi in profondità.
Per concludere, l’Aeronautica é sicuramente l’arma più all’avanguardia nel campo dei veicoli senza pilota (in carne ed ossa) e del munizionamento così detto intelligente; in questa direzione le ricerche e quindi gli investimenti sono tra i più cospicui.

MISSILI ANTI MISSILE. L’incremento percentuale maggiore nel bilancio della Difesa va ai sistemi antimissile. Il noto programma denominato National Missile Defense ha ricevuto 15 miliardi di dollari per mettere a punto, nell’arco di 5 anni 100 intercettori exatmosferici, 5 radar di all’erta e un radar speciale di inseguimento sistemato in Alaska. La recente realizzazione del quarto test nell’ambito NMD ed il successo riportato (a differenza dei precedenti tre) ha definitivamente stracciato i trattati di non proliferazione nucleare rilanciando la corsa agli armamenti anche in quel settore, ridicolizzando tutti i vari “tentativi” di mediazione (i trattati di non proliferazione non sono stati stracciati dall’amministrazione Bush Jr. ma da quella Clinton che approvò, a suo tempo, i capitoli di spesa per lo sviluppo del sistema anti-missile stesso).

ALCUNE RIFLESSIONI

Così come sono, i dati riportati nel presente articolo sono di per sé sostanzialmente muti in quanto l’unica cosa che possono dirci e ciò che in realtà sappiamo da sempre: gli U.S.A spendono incredibili, inimmaginabili quantità di risorse e somme di denaro per la guerra.
E’ necessario perciò analizzare tali dati e tentare di dar loro una sistemazione alla luce del quadro generale economico, sociale e geopolitico attuale.
Di sicuro lo stato di salute e di equilibrio degli Stati Uniti é di gran lunga peggiorato rispetto agli anni della guerra fredda. Quest’ultima consentiva agli U.S.A. di detenere un’egemonia politica, economica e militare indiscussa nel campo capitalista conquistata abilmente e subdolamente, come abbiamo visto, con l’entrata in guerra nel secondo conflitto mondiale. In secondo luogo lo spauracchio sovietico, la fantomatica minaccia comunista, era un imprescindibile e determinante fattore del sistema di controllo mediatico della macchina propagandistica nord-americana che consentiva (esclusa qualche piccola turbativa) una buona tenuta a livello interno ed esterno di tale egemonia. Tutti i mali del mondo erano determinati dagli “sporchi comunisti” e venivano abilmente contrapposti alla sedicente patinata prosperità dell’ “american way of life”.
Sopraggiunto il crollo politico ed economico e verificatasi l’esplosione dell’URSS si é aperto un decennio molto particolare: gli anni novanta sono stati segnati dall’euforia per la vittoria della “democrazia” sul “comunismo” (che a torto e a ragione era simboleggiato dall’U.R.S.S.), da “il muro che è crollato”, dalla fine della corsa agli armamenti, e da tutta una serie di simili icone ottimistiche preconfezionate che hanno permesso di celebrare trionfalisticamente i valori della democrazia borghese e del capitalismo come se la (supposta) fine del comunismo avesse di fatto sancito la bontà e l’appettibilità di tali modelli…
Per chiudere rapidamente la parentesi culturale (di non secondaria importanza se consideriamo che il controllo del consenso é un fattore strategico anche dal punto di vista militare) il fatto da rilevare è il seguente: anche se il trascorso decennio della sopra indicata propaganda ha lasciato indiscutibilmente il segno in quello in corso, l’euforia, l’ottimismo e la fiducia cieca negli U.S.A e quindi nel capitalismo, per come si presenta oggi, appaiono in declino. Il sistema della disinformazione strategica prodotta dai media borghesi continua a fare il suo lavoro e lo fa molto bene, ma la realtà di miseria e sfruttamento crescenti che il capitalismo neoliberista impone sia nei paesi imperialisti (le metropoli) sia nelle neo-colonie (le periferie) non è più mascherabile come prima; la realtà sta diventando incontenibile ed insostenibile anche per il grande fratello mediatico.
E’ vero che anche oggi i nemici dietro cui ripararsi non mancano: “gli arabi”, “il terrorismo”, “gli anarchici”, ” gli stati canaglia”, “la micro-criminalità”, “i comunisti” (non sono ancora morti tutti…) ma bisogna anche notare che, in generale, il sistema che si attribuisce legittimità definendo un nemico esterno ha assicurata una inossidabile tenuta solo e fin tanto che offra al popolo un tenore di vita soddisfacente. Questa condizione non é più data.

Come dicevo in premessa gli U.S.A presentano un meccanismo micidiale per proiettarsi alla conquista e controllo del mondo, meccanismo non a caso fatto proprio e imitato dagli altri regimi a capitalismo avanzato; meccanismo a sua volta ripreso (perfezionato ed adattato al sistema democratico borghese) dal modello nazista di economia di guerra: stretta integrazione tra interessi dei cartelli industriali nazionali (produzione, mercati, afflusso di materie prime) => ricerca tecno-scientifica ed Università => Forze Armate.
Come riferisce Collotti nel suo La Germania Nazista [11], con la presa del potere da parte del Partito Nazional-Socialista nel 1933 i grossi cartelli dell’industria e della finanza tedesche conquistarono il controllo definitivo della politica economica e non a caso la indirizzarono verso il riarmo spinto. Grazie al controllo e alla repressione delle classi lavoratrici, alla distruzione dei sindacati, alla istituzione del regime corporativo, alla compressione dei salari, alla militarizzazione del lavoro ed in seguito allo schiavismo offerti dal governo nazional-socialista, i vari Von Krupp, Siemens, Thyssen, Bosch, ecc., aumentarono i loro profitti del 127% dal 1933 al 1938 fornendo in cambio al regime nazista le basi tecniche ed economiche e le macchine per la ricostituzione di un esercito imperialista di conquista.
Nel 1942, 108 società per azioni (il 2% del totale) totalizzavano il 59% del capitale azionario complessivo. Grazie quindi alla politca nazista, “…I capitalisti amici del regime non soltanto mantennero le loro posizioni di influenza e di comando ma furono addirittura posti in condizione di accrescerlo enormemente, ricevendo la legittimazione pubblica del loro privato strapotere…”[12]. Ma ciò che più ci interessa ai fini di questa non casuale comparazione U.S.A – Germania Nazista è una precisazione che lo stesso Collotti fa successivamente quando dice che “…Le ragioni della imponente concentrazione nel campo dell’industria pesante non vanno ricercate soltanto nelle misure legislative o amministrative con le quali il nazismo consolidò le posizioni capitalistiche (…) ma anche e soprattutto negli orientamenti della politica economica nazista, diretta ad incrementare la produzione bellica, ossia un tipo di produzione in cui la razionalizzazione dei procedimenti tecnici di trasformazione industriale e i ritmi di lavorazione comportavano necessariamente un’alta concentrazione capitalistica (corsivo mio, ndr.)…”[13].
Ragionando sulle date ci accorgiamo che gli stessi processi di concentrazione industriale che venivano avviati in Germania nel 1933, venivano avviati negli U.S.A alla fine degli anni trenta. E a ben vedere, in entrambi i casi tali processi risultarono vincenti. Ciò che segnò la fine del nazismo (non certo dei capitalisti che l’appoggiarono e ne trassero vantaggio) fu la sua politica estera: il nazi-fascismo in sé non destò particolare scandalo in nessuno dei governi “democratici” occidentali ed anzi in molti casi veniva ammirato per la sua determinazione e risolutezza anti-operaia ed anti-comunista; il problema sorse quando il rinascente imperialismo tedesco si manifestò troppo aggressivo ed impudente nei confronti degli equilibri stabiliti dalle altre potenze imperialiste. Troppo tardi poi i capi nazisti si proposero agli alleati come punta di diamante contro il vero nemico comune, il bolscevismo, l’Unione Sovietica: agli strateghi statunitensi i fronti della guerra, come abbiamo visto più sopra, andavano bene così com’erano; con l’Europa in macerie ed il pericoloso concorrente tedesco pesantemente sconfitto, a dirigere il gioco contro l’effettivo nemico comune sovietico (sicuramente tra tutti il più provato in termini di milioni di morti e distruzione) ci avrebbero pensato loro, ma da una posizione di indiscussa (ed indiscutibile) egemonia.

Da allora, in quanto a capo di una potenza lanciata alla conquista globale, i governi nord-americani si trovano in uno stato di guerra permanente che necessariamente deve essere sostenuto dalle proprie multinazionali o viceversa essendo la politica nord-americana asservita agli interessi delle multinazionali deve necessariamente lanciarsi alla conquista globale mantenendosi in un perenne stato di guerra. Non credendo per niente all’autonomia del ceto politico sono più portato a pensare che il secondo caso sia più veritiero ed esplicativo del primo. Con ciò gli U.S.A. hanno ribaltato la vecchia massima di Von Clausewitz: la politica é la continuazione della guerra con altri mezzi…[14]
Comunque sia lo schema neo-coloniale è chiuso, molto logico e razionale: le multinazionali di bandiera si insediano in un paese periferico sia con un proprio mercato, sia con i propri apparati produttivi; attraverso il controllo della proprietà degli impianti, il controllo e la corruzione della classe politica locale, lo sfruttamento dei lavoratori e delle risorse territoriali, la multinazionale di bandiera succhia sistematicamente capitale al paese che la ospita accrescendone la dipendenza. Lo Stato di provenienza della multinazionale si occuperà (direttamente od indirettamente attraverso organismi internazionali) di offrire una copertura politica a queste relazioni economiche di sfruttamento concedendo anche prestiti vincolanti per salvaguardare tali relazioni dalla penetrazione di multinazionali di altri paesi.
Per tutelare la molteplicità di tali interessi internazionali (petroliferi e minerari, agro-alimentari, ecc.) sono necessarie Forze Armate potenti, efficienti, tecnologicamente avanzate e perciò in grado di intervenire a livello globale. La forza militare determina infatti la contrattualità politica o meglio la persuasione politica a livello diplomatico. Dove per difendere i sopra citati interessi e le linee di rifornimento energetico connesse non sia sufficiente la pressione politico-diplomatica intervengono, in sinergia, le Forze Armate con la guerra e i servizi segreti in funzione destabilizzante.
Per il sistema di potere delle multinazionali l’esistenza, il mantenimento ed il riarmo continuo delle Forze Armate presenta una triplice convenienza: 1 – forniscono la migliore copertura e protezione ai propri interessi in paesi terzi; 2 – sono una fonte inesauribile di vantaggiose commesse, dai carburanti per i mezzi, alla costruzione dei mezzi stessi, dall’approvigionamento alimentare, all’equipaggiamento della truppa; dalla progettazione alla costruzione di installazioni, armi e nuovi sistemi d’arma; 3 – i programmi del Pentagono permettono di finanziare la ricerca[15] e l’impiego di tecnologia all’avanguardia nel campo elettronico, informatico, bio-chimico.
Un esempio calzante (tra i tanti possibili) del secondo e terzo aspetto può essere dato dall’attività della Monsanto oggi nota per essere una delle multinazionali all’avanguardia nel settore bio-tech: attiva nel settore chimico alla fine degli anni trenta, già chiamata prima della fine della seconda guerra mondiale ad occuparsi dello sviluppo della bomba atomica, riuscì ad insediare il proprio vicepresidente nel comitato tecnico che produsse la relazione Lilienthal per il controllo internazionale dell’energia atomica; fornì per tutta la durata della guerra in Viet Nam migliaia di tonnellate del defoliante noto come Agente Arancio con cui vennero irrorate le giungle e i villaggi vietnamiti e a causa del quale nascono ancora oggi in quel paese migliaia di bambini con gravi malformazioni genetiche; fornisce oggi al governo Colombiano (che impiega parte degli 1,2 miliardi di dollari prestatigli dal governo U.S.A.) tonnellate di erbicida Roundup (noto per causare vomito, edema polmonare, confusione mentale e danni ai tessuti) con il quale vengono irrorati campi di coca e villaggi.
Quale singolare analogia con il colosso della chimica tedesco IG-Farben: oltre ad assicurarsi il monopolio delle produzioni sintetiche (allora all’avanguardia) nel 1934 riuscì a piazzare un suo esponente alla presidenza della Camera economica del Reich e, fin quando ve ne fu bisogno, rifornì i campi di concentramento dei gas necessari per lo sterminio.
Ciò a cui gli Stati Uniti mirano anche a livello militare è, per loro stessa ammissione, la supremazia in ogni ambiente e situazione. Questa supremazia, ovviamente, sarà garantita principalmente dalla superiorità tecnologica (che tuttavia non bastò ai nazisti e, in Viet Nam nemmeno ai nord-americani). L’indirizzo che le Forze Armate statunitensi stanno dando alla ricerca e sviluppo tecnologico non può non tenere conto del sistema integrato creato per sostenere la guerra moderna. Questo sistema, basato sostanzialmente sul “consenso” dell’opinione pubblica, funziona attraverso la stretta integrazione tra guerra mediatica e operazioni militari in senso stretto[16]. I mezzi di comunicazione di massa si occupano di forgiare preventivamente l’ideologia dominante che caratterizza le differenti fasi e strategie di conquista: Libertà e Democrazia contro nazismo; Libertà e Democrazia contro Comunismo; Libertà e Democrazia per gli “interventi umanitari”, contro “terrorismo”, “stati canaglia”, produzione di sostanze stupefacenti, ecc. Con ciò viene costruita la cosiddetta opinione pubblica, ossia il consenso necessario alle alte sfere del potere economico, al governo e ai militari per intraprendere qualsiasi tipo di operazione. A ciò va aggiunto un altro dato di fatto: il “consenso degli americani” per una qualsiasi guerra è vincolato, oltre che alla sua patinatura politically correct, alla sua breve durata e all’assenza di costi umani; in poche parole ai militari si richiedono guerre lampo, vere e proprie blitz-krieg, senza caduti o prigionieri (ovviamente di parte nord-americana).
Secondo una relazione del General Accounting Organization (G.A.O – una sorta di Corte dei Conti del Pentagono) redatta dopo avere effettuato l’esame approfondito di una vasta documentazione costituita in gran parte dai rapporti compilati dai Comandi Operativi e dai Servizi di Informazione degli Stati Uniti, il giudizio sulle “armi intelligenti” era il seguente: “…Sulla base delle prestazioni fornite dalla Operazione Desert Storm, definire le armi ad alto costo più efficaci di quelle a basso costo è inappropriato…”[17]. Nessuno al Pentagono sembra aver preso in considerazione tale giudizio dato che i programmi di “riarmo intelligente” anziché essere ridimensionati o bloccati sono stati, al contrario, potenziati. Perché?
Oltre che per ovvie ragioni di businness, la mancata mitica precisione delle armi intelligenti non intacca minimamente il senso e la funzionalità delle stesse nel quadro della dottrina militare nord-americana.
Una blitz-krieg senza morti dalla parte che attacca non può che essere combattuta dall’alto dei cieli, a distanza e presso le frontiere, quindi per mezzo di bombardamenti massicci ed embargo economico. E’ una guerra che impiega aviazione ad altissima quota, sistemi satellitari e tattica balistica (missili di vario tipo e raggio) e che, non occupando il territorio con le fanterie, punta alla sconfitta dell’avversario attraverso l’identificazione di obiettivi-bersagli civili e militari: punta cioé al collasso sociale, economico, ambientale e produttivo dell’avversario. In quest’ottica, che la bomba intelligente cada su un’ospedale piuttosto che su una scuola, o su una fabbrica piuttosto che su un impianto petrolchimico é di secondaria importanza. In tutti i casi gli obiettivi sono centrati.
E’ sicuramente un tipo di guerra degna del peggior vigliacco[18]. E comunque é l’unica guerra che gli U.S.A. possono “combattere” senza correre il rischio di impantanarsi e quindi, come già accaduto, di perdere.
Ecco allora spiegati la ricerca e lo sviluppo di macchine aeree e sottomarine senza pilota; il continuo perfezionamento (della letalità) del munizionamento così detto intelligente; i programmi di riarmo e rinnovamento del parco aerei di tutte e tre le Armi; i fondi maggiori destinati ad Aviazione e Marina e non all’Esercito; lo sviluppo e ampliamento dei sistemi di controllo satellitare e da terra; la diminuzione del peso dei mezzi blindati e quindi della loro corazza; la definitiva trasformazione della Marina in una flotta di basi ambulanti con capacità aeree, missilistiche e nucleari; ecco spiegata la trasformazione dei soldati in “guerrieri urbani” pronti ad intervenire nelle metropoli e nelle città dopo che l’aviazione, i missili e gli embarghi avranno messo in ginocchio l’avversario.

Il programma JV2001 si dovrebbe realizzare compiutamente entro il 2025. Questo riarmo, definito Rivoluzione negli Affari Militari, ambisce ad arrivare allo sviluppo ed impiego di nano-tecnologie, robotica, difesa cibernetica, psico-tecnologie ed altre diavolerie che al momento possiamo apprezzare sulle pubblicazioni di fantascienza o di fumetti.
Prima ancora di chiederci se riusciranno nei loro tanto ben propagandati intenti tecnologici e quindi militari, dovremo porci, a mio avviso, la seguente domanda: per quanto ancora si potranno mantenere in equilibrio l’imperialismo ed il militarismo nord-americani? Sappiamo che essi si reggono, si fondano sullo sfruttamento neo-coloniale, sul saccheggio sistematico di risorse e materie prime, ma sappiamo pure che lo stesso meccanismo tritacarne funziona anche internamente. Il neoliberismo capitalista non sfrutta il proletariato dei paesi periferici per redistribuire parte dei profitti nelle metropoli e stabilizzare così il conflitto di classe a livello interno. La grande borghesia crea miseria progressiva sia nella periferia che nella “metropoli democratica” e sedicente ricca: il vertiginoso impoverimento delle classi lavoratrici in quest’ultima é sotto gli occhi di tutti. Anche in ciò e proprio in ciò gli Stati Uniti sono all’avanguardia.
Eserciti di lavoratori sfruttati, di senza tetto, di individui marginalizzati e malnutriti, sopravviventi al di sotto (o al di sopra, che poi é lo stesso) della soglia di povertà, eserciti di razze “non-bianche” rinchiuse in ghetti di violenza, di detenuti rinchiusi in carceri privatizzate; tutti questi eserciti vivono, crescono e si accrescono nelle metropoli a stelle e striscie.
C’é da chiedersi se i “guerrieri urbani” non siano stati concepiti anche e soprattutto ad uso interno piuttosto che esterno dato che il numero delle rivolte popolari armate in quel paese, da Los Angeles a Cincinnati, sono naturalmente destinate a moltiplicarsi e hanno già dimostrato di poter sconfiggere i normali reparti di polizia. Fino a quando la grande borghesia nord-americana riuscirà a mantenere separati tutti questi eserciti attraverso la nota e sempre verde strategia del divide et impera ? E cosa potrà mai accadere quando una crisi significativa cancellerà questa capacità di controllo interno?
Una cosa è certa: oggi la grande borghesia nord-americana oltre che arginare le spinte e le rivolte della massa di sfruttati che l’economia di guerra crea entro i propri confini, dovrà misurarsi con gli scioperi internazionali (come quello dei dipendenti UPS) che lo stesso sistema delle multinazionali inevitabilmente provoca, col nascente imperialismo europeo, con il socialismo di mercato cinese, con la Russia neo-capitalista; mentre la sua egemonia non é più data per scontata ed anzi in svariate situazioni é stata recentemente (anche se tiepidamente) messa in discussione.
Non c’é equilibrio, non c’é stabilità né internamente né esternamente. Di ciò se ne rendono conto gli stessi strateghi nord-americani; per questo riarmano pesantemente l’economia e con le modalità che abbiamo visto; per questo militarizzano sino all’esasperazione le proprie città.
Un tale livello di progressivo riarmo é come una enorme bolla di capitale finanziario che attende di scatenarsi in una devastante speculazione o in una serie di speculazioni “a bassa intensità”. Il rilancio e la crescita costante del potenziale bellico nord-americano produce da sè un effetto di trascinamento su tutte le altre economie, trasformandole, quando già non lo siano da tempo, in economie di guerra. E’ un fatto oggettivo (perché sostenuto indifferentemente dai governi di “centro-sinistra” come di “centro-destra”) legato, a mio avviso, all’essenza stessa del capitalismo neoliberista. La stesso neo-liberismo appare in sé come una particolare forma di economia di guerra persistente ed istituzionalizzata.
Non mi sembra superfluo o retorico concludere ribadendo che dipenderà da noi, da tutti coloro che stanno al di quà delle barricate, dal protagonismo e dalla organizzazione internazionalista dei lavoratori e degli oppressi di tutto il mondo, dai partigiani che ancora oggi si trovano costretti a combattere la tirannia col fucile in spalla, bloccare e trasformare questi venti di guerra tra popoli, in processi di Liberazione dal vero nemico comune, il capitalismo, il suo modo di produrre, il suo sfruttamento, i suoi fautori, i suoi gendarmi.

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N O T E:

[1] Per una più approfondita trattazione dell’argomento rimando all’inestimabile lavoro dello storico Filippo Gaja Il Secolo Corto – La Filosofia del Bombardamento, la Storia da Riscrivere, Ed. Maquis, Milano 1994. Il presente paragrafo é poco più di una sintesi del Ideg. capitolo.

[2]F. Gaja, opera citata, pag. 28

[3]Jack Raymond, Il Potere dei Colonnelli, ….

[4]Il Pentagono si estende complessivamente su 236 ettari di terreno e comprende 48 Km di strade d’accesso, 21 cavalcavia e ponti, zone di parcheggio per 10.000 automobili. Presenta una struttura a fortezza costituita da cinque corridoi concentrici su cinque piani più dieci corridoi di collegamento a raggiera (sempre su cinque piani) per uno sviluppo complessivo di oltre 27 Km. La sua costruzione venne ultimata il 15 gennaio 1943 e costò complessivamente 83 milioni di dollari. Tra civili e militari vi sono impiegate decine di migliaia di persone.

[5]F. Gaja, op.cit., pag.30

[6]Tutti i dati riportati in questo paragrafo sono tratti dall’articolo di Pietro Gianvanni Il bilancio 2001 del Pentagono , Panorama Difesa, maggio 2000, pag. 21-29.

[7]Il progetto di ampliamento strutturale della base USAF di Aviano denominato appunto “Aviano 2000″e la conseguente costruzione di nuovi alloggi per il personale militare e civile della stessa -in aumento- si inserisce perfettamente in questa direttrice.

[8] Salvo poi negare l’indennità a decine di migliaia di veterani della Guerra del Golfo colpiti dall’omonima sindrome.

[9]Pietro Gianvanni, articolo citato, p.22.

[10]Per ciò che riguarda invece il JSF, il “caccia modulare del futuro”, sono due le concorrenti che si dovrebbero contendere l’appalto di fornitura: Lockheed Martin e Boeing. Al Pentagono già si preoccupano se optare per entrambi dato che il programma multimiliardario, assegnato ad uno soltanto, potrebbe segnare la fine dell’altro concorrente nel settore degli aerei da combattimento.

[11]Enzo Collotti, La Germania Nazista, Ed. Einaudi, Torino 1962.

[12]Op. cit., pag.117.

[13]Op. cit., pag 130-131.

[14]I bombardamenti effettuati dagli U.S.A. dalla fine della II^ Guerra Mondiale: Cina (1945-46); Corea (1950-53); Cina (1950-53); Guatemala (1954); Indonesia (1958); Cuba (1959-60); Guatemala (1960); Congo (1964); Perù (1965); Laos (1964-73); Viet Nam (1961-73); Cambogia (1969-70); Guatemala (1969-70); Grenada (1983); Libia (1986); Salvador (anni ’80); Nicaragua (anni ’80); Panama (1989); Iraq (1991-2001…); Sudan (1998); Afganistan (1998); Jugoslavia (1999).

[15]La ricerca negli U.S.A o é affidata direttamente ai laboratori (para-militari) delle multinazionali che lavorano alle commesse del Pentagono o da quelle Università (molte) finanziate direttamente dal Pentagono stesso.

[16]”…La guerra delle informazioni, é l’ultima e più sottile evoluzione degli scontri umani e la figura dello stratega mediatico é il nuovo combattente (…) La guerra “televisiva” ha segnato la fine della frattura tra civile e militare, per cui il pubblico partecipa alla guerra (…) La televisione é la vera creatrice dello stratega mediatico. Non può esistere stratega mediatico, infatti, senza televisione e senza le nuove tecnologie visive connesse con l’informatica (…) Lo stratega mediatico deve diventare un costruttore di realtà, e al tempo stesso un grande manipolatore della medesima (…) Si tratta di un elaboratore di piani comunicativi destinati a ridurre o attenuare l’impatto delle “storie” meno favorevoli messe in evidenza dai mezzi di comunicazione di massa (…) E’ su questo sfondo che nasce la figura dello stratega mediatico, cioé quell’ufficiale (…) al quale é affidato il compito, operando a stretto contatto con i vertici politico-militari di uno Stato, di dare una veste comunicativa credibile e soprattutto accettabile dal grande pubblico a quanto il potere statale realizza in campo militare… ” dall’articolo firmato M.S.F dal titolo L’arma mediatica apparso su Rivista Italiana Difesa n.11, novembre 1999.

[17]Riportato da Umberto Cappuzzo, articolo citato, pag.11

[18]Si veda lo slogan della Pratt &Whitney che pubblicizza il nuovo caccia JSF: “…La Convenzione di Ginevra non prevede alcun paragrafo intitolato – L’impiego sleale della tecnologia – …”.

Luglio 2001