Il balzo di tigre della politica in conflitto con tanti interessi

Gli americani hanno lasciato la presa su Telecom. Come abbiamo detto e scritto il loro interesse era in realtà privo di un adeguato piano di sviluppo industriale e non è certo stato il governo a farli scappare, come scioccamente hanno commentato i vari portavoce dell’opposizione. Resta da vedere quale sarà il ruolo dei messicani, ingolositi da Tim Brasile, anche se non sono in molti a scommettere su Carlos Slim. Mentre quello che appare certo è l’indebolimento del gruppo Intesa-Sanpaolo che aveva apertamente sponsorizzato il duo americano. Nel frattempo sembra acquistare quota e intensificarsi il ruolo di Mediobanca. Sullo sfondo prendono corpo le sagome della spagnola Telefonica e di France Telecom.
Ma soprattutto, ed è questa la notizia, si materializza un nuovo asse bipartisan, anzi tripartisan, costituito da una possibile intesa tra Mediaset, Immsi e Benetton, che insieme possono gettare sul piatto il corrispondente di circa 1,2 miliardi di euro. Le aperture del l’Unità , scritte dal biografo di Colaninno, le presunte telefonate compiacenti di Berlusconi dalla Russia, e perfino una certa disponibilità che sembra trapelare dall’entourage di Prodi, paiono favorire senza troppi pudori il tentativo di un ritorno del “capitano coraggioso”, questa volta a fianco di Fedele Confalonieri.
Che non si tratti solo di indiscrezioni giornalistiche o maliziose dietrologie, è dimostrato dal rapido e quanto mai tempestivo rialzo dei titoli Mediaset a Piazza Affari. Il mercato non sta a guardare né perde tempo, al contrario della politica. Ma proprio per questo, la politica, il governo, il Parlamento, dovrebbero fare un balzo, un balzo di tigre – verrebbe da dire con Walter Benjamin – ma in avanti. La sorte della rete delle telecomunicazioni del paese non può restare appesa agli incerti percorsi di un emendamento – peraltro non si sa a quale progetto di legge – del ministro Gentiloni. Né tantomeno si può scaricare tutta la responsabilità sull’Autorità per le Comunicazioni, il cui presidente ha comunque dichiarato di lavorare nella direzione di una separazione funzionale della rete.
Ora che si profila una drammatica alternativa, comunque perdente, tra la liquidazione di ogni sovranità nazionale delle nostre telecomunicazioni e un nuova mostruosa concentrazione di potere in un settore di massima importanza e di primaria delicatezza – non dimentichiamolo mai – per una moderna democrazia, il balbettio e il vuoto della politica diventano soffocanti e clamorosi. Più d’uno nella nostra maggioranza di governo pensa di alzare l’argine rappresentato dal conflitto di interessi di Berlusconi. Giusto, ma non basta, poiché appare una difesa debole e sospetta, soprattutto perché scaricata sulle responsabilità in capo alle authorities , anziché assunta come un impegno da parte del Parlamento e risolta da una legge generale, come ci invita a fare in queste ore il Presidente della Camera.
Il conflitto di interessi che si sta concretamente profilando attorno all’affaire Telecom non è solo di Berlusconi, ma quello ben più sostanziale tra l’interesse generale del paese in un efficiente sistema di comunicazioni accessibile a tutti e in ogni dove e quello di gruppi finanziari internazionali o casalinghi di appropriarsene per privati fini di guadagno. Di ciò deve discutere il Parlamento e soprattutto il governo non abbia timore, anche attingendo a risorse finanziarie pubbliche (che ci sta a fare il famoso fondo, già fonte di tante polemiche con i liberisti di ogni schieramento?), di spezzare questa perversa girandola di potenziali e infidi proprietari, stabilendo non solo la separazione tra rete e servizi, ma il carattere strategico e quindi prevalentemente pubblico della prima.