Il 4 novembre ancora in pista

Che non sarebbe stato facile organizzare una manifestazione nazionale contro la legge 30, la Bossi-Fini e la Moratti, lo si era capito già a luglio, quando si riunì al teatro Brancaccio di Roma l’assemblea di «Stop precarietà ora!». Diverse le culture politiche da mettere insieme, diverse le appartenenze organizzative, in alcuni con grandi differenze all’interno della stessa organizzazione. La stessa data per la manifestazione – il prossimo 4 novembre – era rimasta incerta fino all’ultimo.
Pesava l’antica consapevolezza che finché c’è la destra al governo trovare l’unità è facile. Poi prevalgono altre logiche. Soprattutto nella Cgil sembrava evidente una certa insofferenza per il fatto che nel comitato promotore di quell’assemblea figurassero segretari e organizzazioni di categoria importanti, come metalmeccanici (Fiom), scuola (Flc) e funzione pubblica (Fp). Man mano che la temperatura politica si è andata scaldando intorno ai nodi sollevati dalla legge finanziaria, anche i timori – sulla possibilità di tenere insieme soggetti tanto diversi – sono aumentati.
Mercoledì, l’improvvida inserzione pubblicitaria dei Cobas sul nostro giornale, che chiamava a manifestare «contro la finanziaria» e per le «dimissioni del ministro Damiano», ha fatto precipitare la «faticosa costruzione» di un percorso unitario su una piattaforma ampiamente condivisa. Peggio: ha fatto prevalere le logiche di appartenenza organizzative sul merito della mobilitazione.
Ieri, poi, la segreteria della Cgil – all’unanimità – emetteva un comunicato breve ma molto duro: «quando si criminalizzano persone (il ministro Damiano, ndr) e sindacati confederali, come hanno fatto i Cobas, è evidente che si compie una scelta da cui la Cgil e tutte le sue strutture devono prendere le distanze, a partire dalla manifestazione del 4 novembre». Se non ci trovassimo ormai nel 2006 la si sarebbe potuta interpretare come una «scomunica» vera e propria, in grado di tarpare completamente le ali all’iniziativa del 4.
Per fortuna così non è. E’ vero che i segretari della funzione pubblica )Carlo Podda) e dei «lavoratori della conoscenza» (Enrico Panini) hanno ritirato l’adesione delle proprie organizzazioni di categoria, dopo aver inutilmente chiesto al comitato promotore – di cui fanno parte i Cobas fin dall’inizio – una condanna degli stessi Cobas.
Critiche, naturalmente ne sono arrivate a iosa. In una nota, ieri, alcuni dei promotori – Gianni Rinaldini (segretario della Fiom), Paolo Beni (presidente dell’Arci), Tonio Dall’Olio (presidenza di Libera), Mauro Casola (Uds), Nicola Nicolosi (coordinatore dell’area «Lavoro società» della Cgil), Michele De Palma (della segreteria Prc), Giulio Marcon (presidente Lunaria), Gigi Sullo (direttore di Carta), Fabio Alberti (Un ponte per..) – hanno accusato i Cobas di «caricare impropriamente di altri significati» la manifestazione, rompendo «l’unità fortemente perseguita» e producendo «solo danni alla battaglia comune contro la precarietà».
Al tempo stesso, però, «riaffermiamo l’attualità dell’appello che abbiamo lanciato l’estate scorsa», e che vede al centro «l’abrogazione della legge 30, della Bossi-Fini e della riforma Moratti». Atteggiamento simile anche da parte dei sindacati di base Sult, Cnl e Sincobas, che invocano «chiarezza e unità» intorno alla «piattaforma condivisa», mettendo da parte il «prevalere del senso di identità».
Con il passare delle ore, insomma, il fronte degli organizzatori originari ricomincia a tessere il filo che porterà in piazza – si spera – centomila persone sabato prossimo. L’altra area di sinistra interna alla Cgil, la «Rete 28 aprile» conferma di «partecipare con grande convinzione» alla preparazione della scadenza, stigmatizzando il comportamento dei Cobas «là dove si polemizza in modo inaccettabile con i sindacati confederali». Paola Agnello Modica, membro della segreteria Cgil e storica esponente di «lavoro società», ha parlato invece di «impossibilità di condurre azioni comuni» con i Cobas. L’area, invece, «invita a partecipare, respingendo con fermezza qualunque tentativo di dare altri significati alla manifestazione». Rifondazione e Pdci si mantengono su una linea molto simile, completando il quadro delle adesioni più rilevanti per la riuscita «numerica» dell’iniziativa.
L’impressione che resta alla fine è quella della classica «tempesta in un bicchier d’acqua», per quanto antipatica. Un vecchio militante sindacale, pur definendo la situazione «un po’ un casino», ha alla fine scrollato le spalle: «ormai siamo in ballo, balliamo». Il ragionamento, che viene dalla lunga esperienza di lotte e conflitti interni ai «movimenti», è inappuntabile: «non è che lascio la piazza a chi la dice più dura; chi lo fa, vuol dire che non era troppo convinto neanche prima». La conseguenza pratica è semplice: «dobbiamo darci da fare di più per riempire i treni e la piazza di sindacalisti». Perché «questi contenuti sono troppo importanti».
Curiosa – ma anche classica – l’interpretazione su come siano andate veramente le cose. I «sindacalisti» ritengono di esser «caduti nella trappola dei Cobas». E viceversa.