III Conferenza nazionale dei Giovani Comunisti – Intervento di Carmelo Albanese

Cari Compagni, care Compagne,

concludendo il suo intervento alla scorsa Conferenza Nazionale, l’allora Coordinatore dei GC di Palermo, Dario Fazzese, riportando una frase di Salvo Vitate, amico di Peppino Impastato, diceva: “a Peppino sarebbe piaciuta questa Rifondazione!”.

Era quella una fase politica intensa e felice per l’organizzazione nel suo complesso e, in particolare, per i GC siciliani; da poco tempo, infatti, anche sull’onda di una produzione cinematografica di successo, si era costituito il Forum Sociale Antimafia intitolato a Peppino e, da lì, era iniziato un importante percorso di approfondimento sul fenomeno mafioso cui i GC siciliani avevano partecipato da protagonisti. Già quattro anni fa, tuttavia, ci scontravamo con una organizzazione nazionale poco incline ad assumere quel tema nella sua elaborazione politica complessiva: nel documento di maggioranza alla Conferenza Nazionale, infatti, convocata a pochi mesi di distanza dalla straordinaria esperienza di Cinisi, l’argomento “mafia” era a malapena citato in tre poche righe, tanto da costringere i Compagni siciliani ad approvare un emendamento integrativo su quel punto nelle diverse Conferenze locali per ovviare a questa grave mancanza.

Quattro anni sono, dunque passati, ma, ahimé, non credo che a Peppino oggi piacerebbe questo partito. Fuori da ogni polemica tra mozioni, infatti, credo che ancora stentiamo a comprendere il fenomeno mafioso ed a farlo entrare nella quotidianità della nostra iniziativa politica; ancora una volta, come tutti abbiamo letto, il documento di maggioranza è emblematico: l’argomento “mafia ed antimafia sociale” è relegato ad un sottocapitolo e, oltre a ciò, veramente ciò che lì è scritto è fuori da ogni proposta concreta sul lavoro da svolgere nei prossimi mesi, rinviando, al contrario, alla speranza che un giorno i giovani siciliani emigrati possano tornare in una Sicilia senza più mafia. Ancora una volta i Compagni siciliani di maggioranza hanno proposto un emendamento addirittura sostitutivo, tanto non condividevano ciò che nel loro documento era scritto. Io ho letto quell’emendamento e lo condivido appieno; tuttavia, credo serva a poco, visto che il corpo dell’organizzazione non ha avuto modo di discuterlo, se non in qualche Conferenza del palermitano.

Eppure servirebbe a tutti comprendere cos’è oggi Cosa Nostra in Sicilia, anche per capire meglio come il tema del lavoro, per noi centrale, assume lì una valenza diversa che altrove. Spesso, giustamente, come GC, individuiamo nei call center i luoghi di espressione massima di precarietà e sfruttamento; per i giovani disoccupati siciliani, al contrario, quelli sono una speranza e, per raggiungerla, si ha bisogno di pesanti raccomandazioni da parte di influenti deputati e gente “per bene”! Di fronte a ciò, come fai a non riarticolare in “siciliano” una tua idea di precarietà? Come riesci a proporre a questi schiavi di ultima generazione una lotta contro un posto, per quanto precario, conquistato a fatica? Nella sua relazione Michele si domandava come mai ancora il popolo siciliano riesce a far diventare, per la seconda volta, Cuffaro presidente della regione; risponderei a Michele che, seppure le cause della sconfitta del centro-sinistra e, soprattutto, di Rifondazione, in Sicilia sono diverse e non affrontabili in questa sede, certo è che candidare nelle nostre liste figure di dubbia moralità, quando non addirittura “in odor di mafia”, come chi gestisce call center del tipo che dicevo, non aiuta certo a farci individuare come schieramento sostanzialmente alternativo!

Queste sono tutte tematiche che, credo, dovremmo affrontare e, come avviene, almeno su questi temi, nell’organizzazione siciliana, ciò richiede uno spirito unitario che, anche per ciò, chiediamo a gran voce.

Abbiamo espresso la volontà di gestione unitaria da tempo e in ogni sede, disposti anche a passi indietro per raggiungere quest’obiettivo ma, come è avvenuto in Commissione politica, di là delle dichiarazioni di buoni intenti, abbiamo trovato il muro.

Ho sentito qualche Compagno dire che le minoranze chiedono l’unità ma poi, nell’iniziativa concreta, nella pratica, si trovano spesso solo i Compagni della maggioranza. Su questo vorrei chiedere: davvero qualcuno pensa che duemila Compagni che hanno votato il secondo documento o che il 40% dei votanti alle diverse Conferenze che hanno sostenuto altri documenti, diversi da quello di maggioranza, non producano niente? Come si fa a non vedere che in tantissime Federazioni Compagni di diverse sensibilità si ritrovano a dirigere l’organizzazione assieme e a costruire concordemente iniziative? In realtà, come spesso avviene, la base è più avanti dei vertici, e non ascoltarla, come in questa Conferenza qualcuno suggerisce di fare, rappresenta una miopia politica, forse persino interessata.

Vorrei toccare un’ultimo punto che è emerso da diversi interventi relativamente alla riforma organizzativa. Io ho apprezzato molto un passaggio della relazione di Michele quando ammetteva di aver commesso un errore nello scegliere all’interno del movimento, un solo soggetto con cui interloquire. Vorrei tuttavia ricordare che su quel soggetto, sui disobbedienti, noi abbiamo fondato la struttura organizzativa dei GC alla scorsa Conferenza e, ammettere l’errore, per quanto degno di merito, non può fare rinviare il tema di come esci da una crisi che per quell’errore si è prodotta. Allora, Compagni, affrontiamo il tema dell’autoriforma, ma senza ideologismi, perché, se l’impianto scelto quattro anni fa lo cosideriamo adesso, giustamente, un errore, allora la discussione sull’autoriforma non può che andare in una direzione opposta a quella, verso un rafforzamento dell’organizzazione, della valorizzazione dei suoi quadri e dei suoi organismi intermedi e verso un investimento politico (e, ora che possiamo, anche economico) nei Coordinamenti federali. Se la strada che imboccheremo sarà questa, avremo la possibilità di rilanciare i Giovani Comunisti a partire dalle battaglie d’autunno, ma se ciò non accadrà, se cioè l’ammissione degli errori non sarà seguita da una concreta inversione di rotta, allora subiremo drammaticamente quella “scissione silenziosa” che l’organizzazione sta già vivendo e a cui un gruppo dirigente responsabile deve saper porre rimedio. Grazie.