IIIª Conferenza Nazionale delle/i Giovani Comuniste/i
Roma 20-23 settembre ’06
Sintesi dell’intervento di Francesco Maringiò
Care compagne e cari compagni,
questa nostra IIIª Conferenza Nazionale rappresenta un tassello fondamentale per la crescita ed il rafforzamento della nostra organizzazione. Ed in questa fase, questa discussione, può rappresentare un’occasione importante per ragionare sui Giovani Comunisti.
Proprio per questo mi sarei aspettato una Conferenza completamente diversa.
Ho ancora nella mente i momenti salienti della conferenza del 2002. Venivamo da Genova, c’erano posizioni diverse ed un dibattito anche aspro ma, soprattutto, c’era un entusiasmo eccezionale, palpabile in ogni intervento ed in ogni momento. Oggi tutto questo non c’è stato. È stata una conferenza “piatta”, priva di carica ed entusiasmo e povera anche nel dibattito politico.
Il percorso che ci ha portato a questa conferenza è stato aperto in una fase completamente diversa dall’attuale: subito dopo le elezioni e la nascita del governo de L’Unione.
Era una fase, quindi, dove era più facile ricadere nella discussione congressuale da poco chiusasi e che ci vedeva divisi tra chi era favorevole all’ingresso incondizionato in questo governo e chi, come me, era contrario. Era facile quindi, in quel periodo, riprodurre in sedicesimi il dibattito del partito.
Inoltre lo stesso dibattito sui documenti si è chiuso da alcuni mesi e quindi, senza bisogno di scomodare voti e risultati già conseguiti nei vari territori, c’era la possibilità –oggi- di “sciogliere le briglie” della discussione congressuale ed avviare un dibattito più franco e libero, capace quindi di interrogare nel profondo tutta la nostra organizzazione.
Abbiamo un compito difficile: viviamo in un mondo caratterizzato dalla guerra, da vecchie e nuove forme di sfruttamento, povertà ed emarginazione.
Oggi essere giovani comunisti è difficile: violento è l’attacco alle nostre idee ed aspirazioni di cambiamento di questa società. Per questo è ancora più necessario dare rappresentanza e visibilità alla nostra generazione che è la prima a vivere condizioni di vita peggiori di quelle dei propri genitori e la prima a non avere garanzie sul proprio futuro.
Su La Repubblica dell’altro giorno ho letto un’inchiesta sconvolgente. Parlava di giovani lavoratori dell’edilizia che «si drogano per abbattere la fatica e aumentare la produttività. Tirano cocaina e ingrossano lo stipendio. Si sentono indistruttibili. Sgobbano anche quindici ore di fila in cantiere. Dall’alba fino alla sera. Da lunedì a venerdì. (…) è il doping dei nuovi muratori. Dicono fonti di medicina del lavoro che uno su cinque ne fa uso. Almeno tra i giovani. Sono manovali dipendenti, ma soprattutto cottimisti: più lavorano, più guadagnano». Questo non è altro che uno spaccato crudo e reale che ben descrive la condizione di totale sfruttamento, alienazione e subalternità che vivono oggi i giovani lavoratori.
Non diversamente da quanto accade nel call-center: un’intera generazione di giovani lavori delle telecomunicazioni accomunati dal solo fatto che
– non avranno un lavoro sicuro lungo tutto l’arco della propria vita
– non gli verranno riconosciuti i diritti del proprio contratto nazionale di lavoro
– vedranno le loro colleghe cacciate su due piedi non appena rivelano di essere incinte
…e tutto questo per 4 miseri euro l’ora!
Sempre poi se non lavorano alla Answers di Pistoia dove, se non scatti in piedi sull’attenti appena entra il padrone vieni licenziato! O se non rispetti gli “standard di produttività” che ti vengono imposti, diventi la “pecora nera del gruppo” e per rendere visibile tutto ciò devi indossare proprio una maglia nera per essere facilmente riconosciuto. Dando così vita ad una condizione inaccettabile di soprusi e umiliazioni.
Ecco perché è importante il ragionamento su questa nostra Conferenza, perché affinché parli di noi, questa Conferenza deve innanzitutto parlare di questo.
La Conferenza, dicevo, ha preso il via in un’altra fase, ma oggi ci sono le condizioni per analizzare con più pacatezza l’iniziativa politica e sociale di questo Governo e trarne le giuste considerazioni. Del resto le linee guida sono state già annunciate. Il ministro del lavoro Damiano ha parlato chiaro:
– la legge 30 non si cancella, anzi: la si applica e fino in fondo! Come è successo per la vicenda di Atesia. Altro che lotta alla precarietà!
– E il famoso taglio del cuneo fiscale di cui si è tanto parlato in campagna elettorale? Oggi scopriamo che il 60% andrà alle imprese e solo il 40% verrà ripartito fra tutti i lavoratori. È un vecchio leit motiv che abbiamo già sentito, vero?
È facile intuire come questi provvedimenti non daranno né una prospettiva di cambiamento né una pur flebile speranza ai lavoratori del call-center o a quei giovani muratori del nord, che tanto mi ricordano gli schiavi che, qualche secolo fa, lavoravano nei campi del cotone, costretti a drogarsi, pur di sopportare le fatiche del lavoro.
Ma se un governo, qualsiasi governo, non ha cura di questi problemi, dobbiamo avere il coraggio di dire che il governo è socialmente inaccettabile!
E se questo governo è di centro-sinistra, con dentro Rifondazione Comunista, e non si occupa prioritariamente di queste emergenze sociali, allora i Giovani Comunisti, devono creare le condizioni per ingaggiare uno scontro frontale con questo governo!
A cosa serve avere un ministro della “solidarietà sociale”, se poi nel nostro paese si vivono condizioni di sfruttamento come quelle descritte prima, e non si fa nulla per sanare i problemi?
E dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia la realtà: sul Corriere della Sera di oggi, si parla dell’iniziativa meritevole del governo sul problema degli sfratti. Peccato che i soldi che vengono stanziati sono solo 4ml di euro e, contemporaneamente, si procede con tagli alla sanità per 3mld di euro, agli enti locali per 1mld di euro…ma perché in questo paese gli aiuti sono sempre in milioni, mentre i tagli in miliardi? Ma che giustizia sociale è mai questa?
Non diversamente, poi, da quanto accade in politica estera sul tema della pace e della guerra.
Sembra che il governo la faccia a posta a provocare i milioni di cittadini italiani che, negli scorsi anni, sono scesi in piazza per chiedere la fine della guerra.
Ma è mai possibile che da luglio ad oggi il numero del contingente militare italiano i Afghanistan sia cresciuto da 1350 a 1938 unità?
Ma quand’è che si arriverà alla presa di coscienza del fatto che bisogna ritirare immediatamente tutti i nostri militari, e che l’unico finanziamento possibile è pagare la benzina per far ritornare indietro le nostre truppe?
Vedete compagni, io credo che come Giovani Comunisti, su questo tema, avremmo dovuto abbandonare la sindrome da “governo amico” e la sindrome da “allineamento da partito” e caratterizzarci, coraggiosamente, con una battaglia dura sul tema della pace e del ritiro dei militari italiani.
E questo anche per non essere insensibili ai bisogni larghi dei giovani di questo paese. Le giovani generazioni, infatti, non si possono più permettere di pagare questo prezzo salato mettendo a repentaglio la propria vita. E poi non è più tollerabile il fatto che l’unica prospettiva di lavoro stabile che viene garantita alle giovani generazioni (soprattutto del sud) di questo paese, sia quella di arruolarsi, indossare una divisa e fare la guerra!
Proprio per questo dovevamo caratterizzarci con una nostra iniziativa autonoma.
Anche per rovesciare questa situazione kafkiana che si è vissuta dentro il partito e che ha fatto si che i deputati e i senatori che si sono dimostrati indisponibili a votare contro la guerra venissero minacciati di espulsione!
Ma quando mai, in un partito comunista, si è cacciato chi è contro la guerra? Semmai bisognerebbe prendere provvedimenti per chi vota a favore…!
E poi una nostra iniziativa forte avrebbe permesso di rovesciare la contraddizione semantica in base alla quale chi votava “contro” era un senatore “ribelle”, “dissidente”. Ma quale “ribelle” e “dissidente”: chi vota contro la guerra è semplicemente COERENTE!
Anche per questo mi aspettavo una conferenza diversa.
Dove questo tipo di discussioni venissero squadernate senza che questo creasse dei problemi o arroccamenti ideologici, in base al principio che non c’è niente di male ad elaborare una linea politica diversa dal partito, perché quello che noi dobbiamo salvaguardare è, soprattutto, l’autonomia della nostra organizzazione. Senza autonomia (dal governo e dal partito) questa organizzazione non ha futuro!
Ho apprezzato molto un intervento coraggioso fatto ieri. È quello del compagno Kekko Chiodelli.
Non conosco personalmente Kekko, ma conosco il lavoro che lui, insieme ai GC della sua federazione hanno fatto in questi anni. So anche che, su tante questioni, non la pensiamo allo stesso modo. Ma ho apprezzato molto quanto ha detto. Un intervento così, ha dato un contributo vero alla discussione e al dibattito, ci ha arricchito tutti. È questa la traccia de seguire per regolare i rapporti interni tra di noi!
Diversamente invece da quanto fatto ieri dal resto della maggioranza in commissione politica e regolamento.
So bene che in un intervento è sempre difficile parlare di regolamenti e commissioni, ma quando queste parlano di questioni di fondo e delle regole che una comunità politica si dà per vivere e lavorare insieme, allora credo si giusto parlarne.
Anche perché vorrei capire il motivo per il quale i compagni della maggioranza hanno bocciato un odg sull’antifascismo, nel quale si invitavano i Giovani Comunisti ad iscriversi e lavorare nell’Anpi. Ma qual è il problema? C’è un qualche collegamento con la recente iniziativa di Bertinotti alla festa dei giovani di An?
E rispetto alla questione del regolamento interno dei GC.
Posso dire ai compagni della maggioranza che davvero non capisco come facciano a parlare di non-violenza, pacifismo, partecipazione, lotta allo stalinismo, quando poi scrivono un regolamento dove propongono il commissariamento arbitrario dei coordinamenti federali, dove tutte le decisioni vengono prese a colpi di maggioranza e dove si decide di iscrivere d’ufficio i GC alla Sinistra Europea? Ma come, non c’è stato un intervento – non uno solo, a partire dalla relazione introduttiva – che hanno parlato della Sinistra Europea e poi scopriamo che i GC ne fanno parte d’ufficio, in base ad una norma del regolamento votato coi soli voti della maggioranza!
Questa non è partecipazione. Questa è imposizione!
E non fa parte della cultura della non-violenza questo modo di fare. Tutt’altro: questa e violenza! È la violenza della relazioni interne!
E a queste sollecitazioni, cari compagni, non voglio una “risposta a tono”, ma vi sollecito a lanciarmi la sfida del confronto e dell’iniziativa politica. Perché è su questo che le minoranze si vogliono cimentare, non sull’esercizio della critica.
È mai possibile che il dibattito sulla composizione degli organismi dirigenti debba essere di solo appannaggio dei compagni della maggioranza? Che dall’esecutivo si debbano far fuori le minoranze, che pure pesano per il 40% di tutta l’organizzazione? E che rispetto alla proposta dei due portavoce nazionali, non veniamo neanche consultati? I due portavoce dovranno coordinare tutti i Giovani Comunisti, non solo quelli di maggioranza!
Ecco perché c’era bisogno di una discussione meno rituale e con più passione.
Anche perché abbiamo un compito storico. C’è un’intera generazione che, in tutto il mondo, ha raccolto una sfida importante: quella di lottare per riaccendere la speranza. La speranza di cambiare questo mondo per costruirne uno più solidale e più giusto. Questa generazione, che dai Forum Sociali Mondiali al Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti, passando per le lotte presenti in tutte le latitudini del pianeta, ha deciso di raccogliere questa sfida epocale e lottare.
Anche noi dobbiamo farci interpreti, qui, di questa sfida alta. Ne va del nostro futuro e di tutta la nostra credibilità.
Infine, vorrei concludere questo mio intervento con una citazione.
Un grande rivoluzionario del nostro tempo, il comandante Ernesto Che Guevara, disse ad una conferenza di giovani comunisti che dovevano lavorare e lottare affinché la politica assomigliasse sempre più ad un sorriso.
Vale anche per noi. Dobbiamo lavorare affinché la politica sia, per i nostri coetanei, un sorriso. E cioè un gesto quotidiano, semplice, ma al contempo anche forte ed in grado di cambiare le cose.
Noi, in questa semplicità, ma anche in questa forza, crediamo. Per noi sono un’unica cosa. L’abbiamo sempre chiamata e seguiteremo a chiamarla: COMUNISMO!!!