III Conferenza dei Giovani Comunisti – Intervento di Enrico Pellegrini

Nell’intervento che mi ha preceduto il compagno della maggioranza ha detto che definirci comunisti lo mette in difficoltà, il suo problema è che la “gente” associa a questo termine un passato di violenza e che quindi, in qualche modo, questo lo mette in crisi.

Questa visione sottolinea chiaramente una distanza che si è creata tra molti di noi, una distorta percezione della realtà e della conseguente risposta. Io sono orgoglioso di definirmi comunista, perché sono convinto che, soprattutto in Italia, la storia dei comunisti sia stata una storia nobile. Tutte le lotte, tutte le rivendicazioni di diritti, tutte le conquiste dei lavoratori hanno visto i comunisti e le comuniste in prima fila, senza contare che sotto quella falce e quel martello sterminate masse di persone in tutto il mondo hanno lottato per la loro libertà.
Continuare quindi ad avallare gli attacchi che da sempre i poteri forti hanno rivolto verso chi voleva cambiare il mondo è grave e stupido se non ingenuamente complice.

Leggere la storia dei comunisti, la nostra storia, con serenità e obbiettività è molto importante, ma dal vedere senza timore gli errori di alcuni uomini in determinati contesti storici a voler condannare sommariamente tutta un’umanità ed un analisi del mondo che ha come fine la giustizia, il benessere e la pace, c’è una distanza incolmabile, non riconoscerlo è ridicolo.

In questo mio intervento volevo però portare alla vostra attenzione una questione che non riesco a sciogliere, a capire. Quale linea politica uscirà da questa conferenza?
Leggendo il documento di maggioranza e ascoltando gli interventi dei compagni che si sono susseguiti finora non sono riuscito a capire che cosa, da domani, i Giovani Comunisti/e dovranno fare e costruire nei loro territori.
Nella relazione del Coordinatore uscente infatti ho trovato un lungo elenco di cose fatte nel passato in maniera più o meno autonoma dai GC, un altro elenco dei problemi che questa società ci pone innanzi, una analisi parziale, meglio sarebbe dire forse una semplice fotografia della realtà; ma sopratutto poco o niente sulla prospettiva, sul “che fare”.
Questa latitanza di linea potrebbe spiegarsi con la volontà del coordinatore uscente di lasciare ad altri il compito di tracciare i contorni del lavoro futuro, quindi una scelta di correttezza, se così fosse invito i compagni e le compagne che interverranno a toccare questi temi, a proporre e definire i contenuti che segneranno politicamente questa conferenza, a meno che non la consideriate solamente un parziale ed autoreferenziale ricambio del gruppo dirigente.

I compagni nei coordinamenti, nei circoli, nelle federazioni aspettano di capire come i GC vogliano segnare il loro intervento nelle questioni sociali, nei conflitti, nelle lotte.
Non possiamo in nessun caso evitare di caratterizzare la nostra iniziativa: i lavoratori, i precari, i disoccupati, gli studenti vogliono da noi risposte chiare e pratiche, vogliono sapere cosa devono fare DOMANI nel loro posto di lavoro, di studio, vogliono sapere come poter praticare le loro rivendicazioni, non vogliono e non gli servono frasettine ricche di emotività e fascinazione, hanno bisogno del nostro sostegno e di una analisi della realtà da cui far discendere un percorso per il miglioramento delle condizioni in cui versano oggi.

I GC devono uscire da questa conferenza con una “borsa degli attrezzi” costruita da un progetto chiaro con cui tornare nei territori e praticare le lotte, solo questo gli serve, anzi gli è indispensabile.

Altro punto su cui vorrei porre l’attenzione è l’autonomia, un’autonomia che i compagni di maggioranza citano in ogni loro argomentazione, con cui addirittura inizia il loro documento… ma non basta ripetere una cosa fino all’ossessione perché questa diventi realtà, l’autonomia non si dichiara, si pratica.
Un’autonomia che non abbiamo assolutamente visto nelle fasi del rifinanziamento della missione in Afghanistan, un autonomia che diventa vitale in questa fase, un valore la cui carenza segnerebbe la morte stessa dei Giovani Comunisti.

Altro problema che dev’essere posto con forza al centro della nostra discussione è, come ripetuto ormai fino alla noia, l’organizzazione. Negli anni infatti se c’è una cosa che ha caratterizzato i GC è proprio il costante abbandono dei territori, della sua stessa strutturazione democratica, sia nei livelli della militanza sia nei livelli intermedi; la fase che stiamo attraversando è complessa, difficile, non facilmente interpretabile, se in un momento come questo l’organizzazione non sarà degna di questo nome i problemi si moltiplicheranno, i coordinamenti provinciali si svuoteranno nuovamente, il lavoro dei GC nei territori sarà nuovamente compromesso.
Quindi autonomia ed organizzazione devono andare di pari passo, essere una la forza dell’altra; la costruzione delle lotte, del conflitto sociale, la necessaria militanza, il progetto entro il quale muoversi sono tutti ingredienti indispensabili che per essere costruiti e praticati necessitano che i GC siano davvero quella fucina di elaborazione, impegno, presenza sul territorio per i quali sono nati come organismo autonomo e strutturato.

Dovremo essere in ogni fabbrica o davanti ad essa, sotto o dentro ogni call center, nelle aule delle scuole con gli studenti medi, nei collettivi universitari, nelle piazze e dovunque ci sia bisogno di una coscienza critica e lucida in grado di gettare nella società la scintilla della giustizia, la lotta allo sfruttamento e alle ingiustizie.

Non possiamo essere solo la “serra”, il giardino dove far crescere i giovani più capaci (o più fedeli) dobbiamo rifiutare con sdegno questo tipo di prospettiva che oggi è una realtà, l’autonomia e la possibilità di costruire il conflitto sono gli unici due ingredienti che danno un senso alla nostra organizzazione, la mancanza di questi toglie senso al nostro impegno.

Questa non è una visione di parte, è la realtà pura e semplice.

Questa non è una nostra scelta, una possibilità; è un preciso dovere verso la società e verso chi soffre.