IIIª Conferenza Nazionale delle/i Giovani Comuniste/i
Roma 20-23 settembre 2006
Intervento di Agostino Giordano
Care compagne e cari compagni,
apro il mio intervento con alcune citazioni estrapolate dalle pagine del Corriere della Sera di ieri (giovedì 21/09/06), che tutti poi potete verificare.
“Così non va, dobbiamo tornare in piazza”.
“L’Unione purtroppo sta ripetendo gli stessi errori di sempre. I primi cento giorni di questo esecutivo sono stati disastrosi, deludenti!”.
Queste frasi, a tanti di noi, sarebbe piaciuto ascoltarle dal nostro coordinatore nazionale uscente, mentre leggeva la sua relazione introduttiva. Invece tali parole sono state pronunciate da Paolo Flores D’Arcais, il direttore di Micromega. Che Paolo Flores D’Arcais, il “movimentista della domenica”, uno degli esponenti di punta della sinistra radical-chic, sia su posizioni più avanzate dei Giovani Comunisti, è qualcosa davvero difficile da metabolizzare e da tollerare!
Il governo è fortemente condizionato dalle componenti moderate, il nostro partito tra mille difficoltà cerca di conquistare piccoli avanzamenti sul terreno delle politiche economiche e sociali, mentre cosa fanno i dirigenti di maggioranza della nostra organizzazione? Invece di incalzare il partito sulle questioni cruciali che hanno caratterizzato i nostri percorsi di lotta e di movimento, di tutte e tutti quanti noi, rimangono troppo spesso un passo indietro rispetto al partito, brancolando nel buio e tentando di aggrapparsi ad alcune parole d’ordine del nostro gruppo dirigente nazionale di maggioranza, con la paura di praticare concretamente quella autonomia che viene tanto sbandierata e che mai viene realizzata.
Non basta dire che “Non ci sono governi amici”.
Infatti, perché se il partito cede sull’Afghanistan devono farlo pure i Giovani Comunisti? Tanto è vero che ci avete lasciato soli a sostenere gli otto senatori “ribelli”, che si opponevano con coerenza all’ennesimo rifinanziamento di una missione di morte e di guerra.
Perché, se il partito media sulla Legge 30, sulla finanziaria, sulla “Bossi-Fini” e sulla riforma “Moratti”, devono farlo pure i Giovani Comunisti?
Perché, se Fausto Bertinotti si reca alla festa dei giovani picchiatori fascisti ed avalla il peggiore revisionismo storiografico, noi Giovani Comunisti non possiamo urlare con un’unica voce e ribellarci? Non siete voi che per anni avete predicato la disobbedienza? Se non si disobbedisce in questi casi, quando lo si dovrebbe fare?
La relazione di Michele De Palma è stata affascinante e coinvolgente, di un lirismo eccezionale, che mi ha davvero connesso sentimentalmente con lui, soprattutto quando ha parlato di partecipazione, democrazia, abbattimento di vecchie barriere e vecchi schemi che impediscono il coinvolgimento delle compagne e dei compagni alla gestione della nostra organizzazione.
Però, non riesco a capire perché poi si pratica una sistematica chiusura ed una scientifica marginalizzazione delle minoranze.
Noi vogliamo l’unità, che è stato un valore da sempre prioritario per i comunisti. L’unità che noi vogliamo, non si traduce in una sintesi forzata e neppure nell’applicazione del centralismo democratico, ma nell’pratica e nell’attuazione di una reale democrazia interna. Purtroppo l’esperienza che sto vivendo nella commissione politica mi indica che la maggioranza vuole andare in tutt’altra direzione.
La poesia ed il lirismo sono elementi affascinanti, bisogna ammetterlo, ma nessuno riuscirà mai ad ingannarci. Nessuno di noi potrà mai accettare che mentre si butta dalla finestra lo stalinismo, subdoli e sottili metodi accentratori ed autoritari rientrano dalla porta principale della nostra organizzazione.
Forse, come qualcun altro ha detto, è giunto davvero il momento di far valere e far parlare le ragioni della politica…
Diciamo chiaramente che cosa vogliamo diventare ed individuiamo reali percorsi di lotta e di conflitto sociale su cui lavorare ed investire.
I Giovani Comunisti devono essere motori principali nella pratica dei conflitti sociali, affinché essi vengano alimentati e, di fatto, sia impedito che vengano arrestati (purtroppo davvero in tutti i sensi).
Personalmente vi porto qui l’esperienza dei GC di Bologna. A Bologna GC sono stati partecipi, protagonisti e propulsori delle lotte per la casa, dei picchetti “anti – sfratto”, delle lotte dei migranti, dei precari e degli universitari. Con gli studenti, oltre ad occupare le facoltà universitarie, abbiamo parlato alla città per rivendicare diritti e desideri, tanto che lo sceriffo Cofferati ha tentato più volte di zittirci con le manganellate. Noi, insieme a tante altre realtà di movimento, abbiamo resistito e stiamo tentando di allargare l’ambito del conflitto e la dimensione del consenso sociale attorno alle nostre istanze.
A Bologna i GC hanno dato vita ad una nuova, straordinaria esperienza che è consistita nel presentare una lista autonoma alle elezioni studentesche (la lista dei Comunisti Universitaria), che ha ottenuto consenso proprio fra i soggetti di movimento. Non abbiamo fatto questo per praticare autoreferenzialità, settarismo o ideologismo, non abbiamo piantato bandierine, ma ci siamo resi portavoce, con la nostra autonomia, delle istanze nostre e dei collettivi, in pratica le istanze dei movimenti. L’esperienza di Bologna ci ha anche insegnato che quando il movimento non c’è, è in crisi o è in fase di stanca, sono i comunisti che devono rilanciare i conflitti: per tale motivo è indispensabile ed urgente rafforzare le nostre strutture e la nostra organizzazione, in primo luogo per allargarne decisamente il radicamento.
In questa sede è stato detto che spesso ci troviamo nella condizioni di non saper dire niente al precario, al migrante, al disoccupato meridionale, etc. quando rivendicano i loro diritti, i nostri diritti. Credo che noi dovremmo saper dire loro e saper dirci che una soluzione ancora c’è ed è praticabile, che possiamo ancora realizzare una reale alternativa di società e questa alternativa si chiama nuovamente comunismo!