II nuovo assetto geopolitico: ecco chi ci guadagna

L'”anello non-arabo” (Iran-Israele-Turchia) e l’eventuale guerra in Medio Oriente: accordi non-ufficiali, trattative, prospettive

L’”anello non-arabo” (Iran-Israele-Turchia). Per capire cosa guadagnerà questo “anello non-arabo” bisogna sapere che attualmente ci sono discorsi “bilaterali” tra USA e Iran. E mentre qualcuno afferma che sono alcuni stati arabi a fare da mediatori tra USA e Iran, le mie fonti assicurano che è proprio Israele l’agente attivo nel restaurare i rapporti irano-statunitensi, e non un paese arabo. I diplomatici israeliani infatti portano avanti una diplomazia “sotto-radar”, di tipo track-two, una specie di diplomazia di secondo livello per trovare un terreno comune all’America e all’Iran, un terreno che permetta anche delle relazioni israelo-iraniane il cui scopo finale è quello di tornare allo stato in cui erano le relazioni di Israele con l’Iran durante gli anni ’70 e prima della rivoluzione islamica. Il punto di vista tritalerale americano-iraniano-israeliano sulla situazione dell’Iraq dopo Saddam rappresenta il nucleo del dialogo americano-iraniano-israeliano. E forse i guadagni dell’Iran da un cambiamento in Iraq sono ben superiori a quelli di un qualsiasi altro “giocatore” regionale dello stesso peso come lo fu l’Egitto durante la guerra del Golfo nel ’91. Ma i guadagni dell’Iran non si possono capire se non nell’ottica dell’anello non-arabo adiacente all’Iraq che rappresenterà sicuramente la base di una qualsiasi alleanza per una futura guerra. Se guardiamo alla Turchia, per esempio, troviamo che gli USA hanno cominciato un dialogo con essa sui rimborsi per qualsiasi perdita economica o per qualunque altro costo da sostenere nel caso gli USA lancino una guerra contro l’Iraq. La fonte di queste informazioni sono responsabili americani e turchi. Cosa vogliono i turchi? I turchi hanno avanzato una serie di richieste la prima delle quali consiste in aiuti economici diretti rappresentati dagli aiuti finanziari statunitensi e aiuti economici indiretti tramite la pressione americana sugli europei affinché accettino l’adesione della Turchia all’ UE. E infatti il presidente statunitense Bush è stato a colloquio con il Presidente dell’ UE affinché aiuti la Turchia a diventare membro dell’Unione. Anche i militari statunitensi stanno preparando una serie di incontri al margine dell’incontro Nato nella Repubblica ceca finalizzati allo stesso obiettivo. In cambio, la Turchia ha dato disponibilità di basi e di forze armate, e la promessa di non sfruttare qualsiasi situazione bellica per estendere la propria sovranità sul Nord dell’Iraq. Nel frattempo gli americani hanno promesso di non sventolare la carta curda che rappresenta una minaccia non solo per la Turchia ma anche per l’Iran e la Siria. E mentre nel mondo arabo scommettono su un una riconsiderazione da parte dei turchi dei loro rapporti con Israele, specie dopo la vittoria del partito islamico, i turchi stessi non hanno nessuna intenzione di tirarsi indietro ma anzi tutti gli indicatori indicano un rinforzamento di questa relazione. L’anello non arabo non include solo il Medio Oriente ma si estende fino all’Asia nel quadro della relazione speciale che si sviluppa fra tutti i membri di quel triangolo e l’India. La particolarità del rapporto tra India e Israele si sta continuamente rinforzando. Anche le collaborazioni militari tra India, Iran e Turchia stanno aumentando. Ad aggiungersi va la relazione particolare che lega Israele e l’India all’Estonia, una piccola repubblica che rappresenta il sud dell’ex-URSS dove la Turchia è influente. Per capire questa influenza bisogna guardare le relazioni sino-americane come un ombrello sotto il quale si combinano queste alleanze. Gli Stati Uniti attualmente considerano la Cina uno dei suoi più grandi concorrenti nel sistema mondiale. Specialmente se teniamo in conto che il ritmo di crescita economica cinese è arrivato all’8%, il che fa della Cina un’immensa potenza che può influenzare l’economia mondiale. L’operazione di “contenimento” della Cina viene al primo posto nelle priorità dell’attuale amministrazione americana. E non si può contenere la Cina con i metodi tradizionali come si fa con l’Iraq o con l’Iran. Gli Stati Uniti in questo campo seguono la strategia del dialogo diplomatico con la Cina tramite le organizzazioni internazionali, i rapporti bilaterali, e nello stesso tempo cercano di assediarla con il cerchio dell’alleanza che si estende da Israele alla Turchia, all’India e all’Iran. Cosa c’entra in tutto questo la Cina? Se teniamo conto che l’80 per cento del petrolio in arrivo in Cina proviene dal Golfo persico, capiremo che il controllo americano sulle fonti di petrolio è basilare nella strategia americana nei confronti della Cina e del suo assedio. E chi guarda al ruolo del petrolio arabo nella strategia di dominazione americana dopo il crollo del comunismo capisce di che cosa si sta parlando. Il sistema mondiale attuale è un sistema su cui domina l’America sia politicamente che militarmente e cioè è un sistema “unipolare” sia a livello politico che su quello militare. Ma nello stesso tempo è un sistema “multipolare” a livello economico. Sia l’UE che la Cina che il Giappone sono in concorrenza economica con gli USA. E siccome l’UE, la Cina e il Giappone si basano quasi esclusivamente sul petrolio arabo come fonte di energia, mentre gli USA importano solo il 12% del proprio petrolio dal Golfo, diventa chiaro che lo scopo dell’America non è quello di assicurare l’arrivo del petrolio in patria ad un prezzo ragionevole come afferma qualcuno, ma per fare pressione sull’UE, sulla Cina e sul Giappone. E cosi gli USA usano il loro potere militare per la dominazione economica. Il dominio politico-militare si trasforma in dominio politico-militare-economico. Se questo è il nucleo della dominazione americana attraverso la sua strategia nei confronti di paesi concorrenti economicamente, mi pare che l’intervento in Iraq non sia più un semplice cambiamento di regime, ma una necessità strategica imposta dal nuovo assetto geo-politica. Gli americani infatti vedono se stessi, come ha detto un membro del Consiglio Nazionale di Sicurezza, come portatori della bandiera dell’Impero Britannico nel Golfo. E per ottenere questo controllo, diventa necessario l’intervento in Iraq. Ma ciò che è nuovo è il non dipendere molto dagli arabi nella nuova equazione. L’america si baserà invece su elementi non arabi come l’Iran, Israele, l’India e la Turchia e questo perché in ballo non è l’Iraq ma l’Europa, il Giappone e la Cina come concorrenti. Proprio per questo assistiamo a tanti dubbi a livello europeo (ad eccezione dell’Inghilterra) quando non il rifiuto totale di una guerra contro l’Iraq che permetterebbe agli americani di controllare totalmente il petrolio del Golfo. Il controllo americano, se preferite chiamatelo ricatto, viene imposto anche al comportamento giapponese nell’area mediorientale. Una responsabile giapponese mi ha detto che “la nostra politica nel mondo arabo e nel sud dell’Asia è stabilita a Washington, non a Tokyo.” A questo punto gli americani controllano la politica nipponica nei confronti del mondo arabo e nel Sud dell’Asia. E questa dominazione si capisce anche da ciò che gli USA hanno dettato al Giappone a proposito dell’Afganistan, nonostante il responsabile giapponese mi avesse affermato che hanno una valutazione della stabilità in Afganistan diversa da quella degli americani e che non scommettono su Karzai. Cose che però non possono dire pubblicamente. Evidenti sono i tentativi fatti sotto tavolo che cercano di non includere gli arabi nella nuova strategia americana nei confronti della zona. Se esiste un solo paese arabo in grado di far parte dell’alleanza israeliana-iraniana-turca-indiana questo sarà la Giordania e infatti gli Usa hanno fatto alla Giordania le stesse promesse che hanno fatto alla Turchia. La Giordania, in questo caso, avrà le sue ragioni. Inserirsi in quell’alleanza le eviterà qualsiasi crisi che potrebbe sorgere dall’alleanza Sharon-Netanyahu che mira al trasferimento dei palestinesi in Giordania se dovesse scoppiare il caos nell’area mediorientale. Per questo, per garantire la continuità della Giordania come sistema e come stato, è necessario che faccia parte dell’alleanza. Per questo pare che gli arabi non abbiano nessuna possibilità dopo la guerra se non quella di rivolgersi alla “Bomba cinese”. Questo perché l’assetto attuale non include tanti di loro se non per questioni puramente logistiche che riguardano il movimento delle truppe, il diritto di volare o quello di stanziare sui territori. Ma chi vince alla fine è questa alleanza non-araba che, a mio avviso, impone agli arabi un diverso modo di pensare al futuro di una zona all’orlo del caos regionale e di nuove alleanze.