Ieri Vilvorde, oggi Forest La rabbia dei belgi

Ieri la manifestazione nel cuore della città. Con rabbia. ll 21 novembre 4000 licenziamenti sono piovuti sulla fabbrica della Volkswagen di Forest, a due passi da Bruxelles: l’impresa tedesca ha deciso di tagliare la produzione della Golf, e di lasciare solo l’assemblaggio della Polo. Poca cosa, dei 5.300 dipendenti se ne salva giusto una fettina. Gli altri a spasso e con loro anche i moltissimi dell’indotto, che dà lavoro direttamente ad altre 8.000 persone. Eppure l’impianto di Forest è uno dei più moderni e il secondo più produttivo del gruppo con 1.050 vetture sfornate al giorno. Partono le proteste, il blocco della fabbrica, cortei, tre polo vengono piantate in una rotonda di Forest, a mo’ di beneagurante albero di Natale. Poi ieri: 25 mila persone sfilano da Gare du midi a Gare du nord, tantissime per gli standard belgi. «Essere i più flessibili, i più redditizi, i più produttivi non è servito a nulla, questa è la realtà», sputa dal palco Jan Van Den Poorten delegato sindacale di Forest. Applausi amari.
Partecipano anche i delegati di altre imprese, molte famiglie e i sindacati di diversi paesi europei, compresa la poderosa IGMetall, il sindacato tedesco che siede nel consiglio di sorveglianza della Volkswagen. IGMetall non passa inosservato: è stato accusato di preferire gli operai tedeschi a quelli belgi. La Golf di Forest verrà infatti prodotta nello stabilimento di Mosel nella – ex Germania est – a costi di produzione più bassi del 20%. «E’ un’accusa falsa – afferma Jurgen Peters, segretario generale dell’organizzazione – il problema della Golf è che la produzione al momento non è sufficiente per tutte le fabbriche. Bisogna fare delle scelte». Scelte dolorose per Forest. Anche Christian Wulff, ministro-presidente della Bassa Sassonia, Land che detiene il 20% del controllo di VW, assicura che i tagli in Belgio non rispondono a una logica nazionalista tedesca: «E’ un problema di sovracapacità, il gruppo produrrà quest’anno sette milioni di vetture e ne venderà cinque e mezzo».
Schiacciati dai numeri, i lavoratori di Forest da venerdì sera hanno una minima ragione per sperare. Il governo belga ha infatti incontrato Martin Winterkorn e Ferdinand Piech, gli uomini forti della Volkswagen, e pare si sia aperto uno spiraglio: «A partire dal 2009 il nuovo modello A1 dell’Audi sarà prodotto esclusivamente a Forest», assicura il premier belga Guy Verhofstadt. Verrebbero salvati 3.000 posti di lavoro. Ma solo a partire dal 2008, quando inizieranno i preparativi per la nuova produzione. E comunque mille persone restano a spasso, sicuramente le più esposte, con i contratti più flessibili. In più, manca l’ufficialità della decisione, e la casa automobilistica mette inoltre i puntini sulle i: «una parte di queste persone non saranno ingaggiate direttamente dalla Volkswagen, ma da altre società». In pratica sotto-contrattazione, erosione di stipendi e garanzie. Poco, ma comunque qualcosa.
I licenziamenti di Forest scuotono il Belgio, ripropongono il dramma vissuto nel febbraio del 1997, quando la Renault decise di chiudere lafabbrica di Vilvorde, sempre a due passi da Bruxelles, e mandare a casa 3.000 persone. Ma i licenziamenti interrogano anche l’Europa: che modello di sviluppo vuole la Ue?
Il complesso industriale di Forest ha ampliamente usufruito di contributi statali: il governo belga fornisce 5 milioni di euro l’anno alla Volkswagen come contributi alla formazione e ha già concesso 100 milioni per diminuire i «costi sociali» del lavoro. Verhofstadt venerdì ha promesso di ridurre ancora i carichi fiscali sul lavoro, con un taglio dei costi del 10% dal primo aprile 2007. Il governo della regione di Bruxelles ha invece pagato l’allargamento dell’impianto che oggi vanta un perimetro di tre chilometri. Volkswagen, come molte imprese europee, è cresciuta anche grazie al denaro pubblico, poi prende e chiude, snobbando l’impatto sociale.
Per questo si discute in Europa l’idea di obbligare le imprese a restituire gli aiuti pubblici qualora decidano di chiudere gli impianti sovvenzionati e delocalizzare la produzione. Ma è una discussione che prenderà mesi, che difficilmente porterà a qualcosa e che comunque riguarderebbe delocalizzazione in paesi terzi, difficilmente in un altro paese Ue, come avviene con Forest. Per aiutare gli operai belgi si pensa più concretamente a sbloccare gli aiuti regionali alla riconversione e ricollocazione professionale dei licenziati e a valutareil possibile utilizzo del nuovo fondo nato per contrastare gli effetti della globalizzazione. La questione di fondo però rimane: capire se l’Europa, oltre a creare un ambiente favorevole alle imprese, ha anche intenzione di obbligarle a rispettare i diritti dei lavoratori e a considerare gli effetti e i costi sociali delle loro scelte strategiche.
Il caso Forest può aiutare a scuotere i 25, e una Commissione europea ampliamente dalla parte del mercato e delle società, anche perché l’aria potrebbe presto espandersi. I lavoratori spagnoli dell’impianto Volkswagen di Landaben, in Navarra, già si sentono i prossimi della lista: loro producono la Polo, e la casa tedesca ha già iniziato a sfornarla anche in Romania.