I viaggi oltreoceano di Rutelli

La storia repubblicana italiana è piena di viaggi oltreoceano compiuti da leader politici volenterosi di dimostrare la propria fedeltà alla madre patria a stelle e strisce. Tutti ricordano il viaggio compiuto da De Gasperi, forse il più famoso, anche perché inaugurava quella travagliata e particolare storia italiana fatta di elezioni truccate, sovranità limitata e ferrea fedeltà all’atlantismo (anche a costo di rendere mai del tutto reale la Costituzione formale del nostro paese, ossia la Costituzione repubblicana nata dall’intesa delle forze che avevano combattuto e vinto contro il fascismo).
Tutti gli altri viaggi compiuti dai leader e dai capi dei governi succedutesi negli anni non hanno fatto notizia, quasi fosse un nostro irrinunciabile destino avere capi di governo e – oggi – leader di coalizione pronti a giurare fedeltà agli USA. Gli ultimi viaggi di cui si ha memoria particolare nel popolo delle sinistre, il quale magari ha sempre sognato una Italia libera e sovrana, furono quelli compiuti da Prodi prima e da D’Alema dopo.
Ovviamente, alla luce delle nuove congiunture storiche dell’integralismo cattolico, dell’autonomismo centrista e della moderazione politica, non poteva mancare il viaggio del presidente del partito di centro per antonomasia. Ecco dunque che arriva puntuale il viaggio negli States di Francesco Rutelli, il presidente della Margherita fresco di aureola in difesa dei “valori” sacri della cristianità, negatrice nei fatti dei diritti e dell’autodeterminazione delle donne.
In realtà l’ex sindaco di Roma il suo percorso di costruzione di un forte centro lo ha iniziato sin dall’indomani delle elezioni politiche del 2001. E le prime tracce sono da rintracciarsi nelle sue prese di posizione circa l’inopportunità – per un futuro governo di centro sinistra – di abrogare le leggi varate dall’attuale governo Berlusconi. Ma le elezioni regionali hanno offerto uno scenario nuovo in cui collocare la propria “opera”. Sarà stata la vittoria di Vendola in Puglia o – come pure lasciano trapelare alcuni ambienti a lui vicinissimi – le pressioni del padronato italiano, a cominciare dalla Confindustria, primo passo è stato l’altolà alla lista unica della Fed. Colpisce come lo stop alla Fed e il trapasso di parlamentari dal centrodestra al suo partito abbiano viaggiato simultaneamente. Ed in questo scenario ad hoc sono arrivati i referendum i quali hanno dato all’ex radicale ed ex verde l’opportunità di candidarsi come paladino della famiglia.
Proviamo dunque a riassumere il quadro: difesa della famiglia sulla base del dogma cattolico; piena fedeltà alla madre patria oltreoceano e quindi piena affidabilità filoatlantica; difesa delle leggi sociali varate dal governo delle destre e care ai potentati economici; freno ad ipotesi che vedano annacquata la riconoscibilità del centro e della moderazione politica. È tutto questo che riassume il viaggio di Rutelli negli Usa: la sfida oggi si gioca al centro attraverso politiche moderate che guardano sì a sinistra, ma ad una sinistra morbida e totalmente rinunciataria a qualsiasi idea di alternativa reale alle compatibilità del neoliberismo. Seppellita la infausta terza via di Blair e D’Alema, Rutelli è andato a convincere Clinton e il partito democratico che tale funerale non rappresenta affatto una sciagura, bensì una schiarita di sole per quanti non hanno mai accantonato l’idea del grande centro. Un centro di tamponamento a politiche volte a configurare una nuova stagione di diritti del lavoro e di reale multilateralismo internazionale. Ed in questo ha raggiunto lo scopo del vecchio detto parlare a suocera perché nuora intenda: la suocera rimangono gli americani che contano, mentre la nuora sono i potentati economici di casa nostra.
In tutto questo la sinistra cosa fa?