I tagli diventano mortali

Un nuovo governo palestinese, formato da tecnici, senza dirigenti noti di Hamas e guidato, si dice, dal capitalista palestinese per eccellenza Munib Masri, un tempo amico e finanziatore di Yasser Arafat e oggi principale «consigliere» del presidente Abu Mazen. È questo di cui stanno discutendo Al-Fatah ed Hamas che entro un paio di giorni potrebbero trovare una intesa sul «piano dei prigionieri» sul futuro stato di Palestina e mettere fine (per ora) alla crisi interna. Se le cose andranno in questa direzione, Abu Mazen rinuncerà al referendum che ha indetto per il 26 agosto sulla proposta dei prigionieri che riafferma il riconoscimento palestinese dell’esistenza di Israele. I ben informati, a cominciare dall’autorevole giornale arabo Al-Hayat, non hanno dubbi: l’esito sarà, più o meno, questo. Anche perché tutti hanno capito, a cominciare dal primo ministro Ismail Haniyeh (Hamas), che soltanto in questo modo i palestinesi riusciranno ad ottenere i cento milioni di euro di aiuti (e quelli futuri) attraverso il «nuovo meccanismo» messo a punto due giorni fa dalla Commissione europea per evitare di passare per il governo islamico. L’erogazione dei fondi potrebbe cominciare entro l’inizio di luglio, per tamponare nell’immediato le emergenze umanitarie.
I tempi però si prevedono ben più lunghi e nei Territori occupati non sono pochi quelli che non hanno più tempo a disposizione e che stanno pagando sulla loro pelle le conseguenze del taglio dei finanziamenti americani ed europei all’Anp e del sequestro dei fondi palestinesi da parte di Israele (circa 150 milioni di dollari negli ultimi tre mesi). Ci sono 27 bambini colpiti da leucemia, tumori e altre malattie gravissime che non possono essere curati all’estero o in Israele perché il ministero della sanità palestinese, rimasto senza fondi, non può coprire le spese per le loro cure molto costose. «Alcuni di loro hanno necessità assoluta di un trapianto di midollo ma questo tipo di intervento in un ospedale israeliano costa almeno 40mila dollari e non abbiamo alcuna possibilità di pagare somme tanto elevate», spiega Akram Samhan, responsabile al ministero della sanità per l’approvazione delle richieste di cure mediche all’estero. Dall’ospedale di Hebron (Cisgiordania) segnalano il caso di Jumana Al-Furi, 2 anni. Colpita da leucemia e trasferita all’ospedale israeliano Hadassah ha bisogno di un trapianto di midollo. I genitori sono poveri e le casse dell’Anp sono vuote, nel frattempo le condizioni della bimba peggiorano e cresce il conto dell’ospedale. Organizzazioni israeliane, come Keshev e il Centro Peres (che riceve consistenti donazioni da enti locali italiani) garantiscono il pagamento delle cure a un certo numero di bambini palestinesi ma è l’Anp che copre gran parte di queste spese mediche straordinarie.
Per gli adulti le cose non vanno meglio. Decine di pazienti negli ospedali palestinesi in attesa di trapianto o di trattamenti chemioterapici in Israele e in vari paesi arabi, rischiano la morte e non solo per le lunghe liste d’attesa. Anche per loro non ci sono più fondi. Non mancano tuttavia critiche al governo di Hamas. Se da un lato le casse di tutti i ministeri sono vuote, dall’altro le donazioni raccolte in varie città dei Territori occupati, i prestiti ricevuti dalle banche locali e i milioni di dollari (in totale una trentina, messi a disposizione da vari paesi arabi e islamici) che alcuni esponenti di Hamas nei giorni scorsi sono riusciti a far entrare a Gaza aggirando il boicottaggio internazionale, non verrebbero destinati alla sanità e ad altri servizi sociali ma al pagamento degli stipendi ai dipendenti pubblici allo scopo «politico» di ridurre il malcontento popolare.
Il bilancio del ministero della sanità dell’Anp deriva per il 40% da fondi palestinesi raccolti attraverso l’Iva e i dazi doganali (ora bloccati da Israele), il 30% da donazioni internazionali e un altro 30% da tasse raccolte nei Territori occupati. Mancano perciò due terzi del budget e le conseguenze si sono viste nel funzionamento precario degli ospedali in Cisgiordania e Gaza e in una assistenza ridotta a malati cronici come dializzati e diabetici. «Questa situazione, nel medio periodo – ci ha spiegato il dottor Ambrogio Manenti dell’ufficio di Gerusalemme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – si tradurrà in un aumento dei decessi. La povertà sempre più diffusa causerà un peggioramento della qualità della vita e, inevitabilmente, delle condizioni ambientali ed igieniche, con il rischio di un aumento delle malattie infettive».