Ho letto con ritardo, dovuto allo stato di tristezza nella quale mi hanno immerso ciò che è accaduto alla nostra cara Giuliana Sgrena e la morte di Nicola Calipari, l’ottimo articolo di K. S. Karol sull’Unione sovietica e gli ebrei del 4 febbraio. Vorrei aggiungere alcune note nella stessa direzione delle osservazioni di Karol. Mio padre Eliezer Halevi già Hurwitz, apparteneva, nella Palestina del mandato britannico, al personale politico dell’Achdut ha-Avodà, partito sionista cruciale per la formazione dello stato di Israele, nonché, attraverso le formazioni militari Palmach da esso controllate, colpevole dell’espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi e della distruzione e cancellazione di interi villaggi arabi.
Di cultura russa e yddish mio padre proveniva dalla Bessarabia zarista. Rybnitza, la sua città natale, fece poi parte della republica sovietica di Moldavia. In quella zona il regime zarista aveva imposto agli ebrei una specie di residenza obbligatoria e i pogrom erano molto frequenti. Durante l’appoggio occidentale agli eserciti bianchi contro l’Armata rossa nel periodo della cosiddetta Guerra civile, mio padre e la sua famiglia sopravvissero a pogrom antisemiti causati oltre che dai bianchi anche dalle forze di invasione rumene e polacche.
Secondo i suoi racconti, essi si salvarono grazie al tifo petecchiale che fece scappare la soldataglia entrata in casa e grazie al fatto che alla fine l’Armata rossa di Trotzki riuscì a cacciare bianchi e invasori dalla città instaurando il soviet. Emigrato poi in Palestina e diventato un attivista del movimento sionista mio padre non trasformò mai lo scontro con il movimento comunista circa il sionismo in una negazione del ruolo svolto dai bolscevici nel por fine al ciclo dei pogrom.
Nel 1966, quando io già vivevo in Italia lontano dai miei, Eliezer venne inviato dal suo partito israeliano come delegato al famigerato congresso di unificazione Psi-Psdi (avendo fatto la campagna d’Italia nell’Ottava Armata britannica e avendo sposato nel 1945 mia madre Mazal Hasson, ebrea italo-sefardita di Lucca, mio padre parlava molto bene l’italiano che divenne la nostra lingua di famiglia). Ricordo ancora come a un pranzo durante il congresso un bolso quanto altolocato dirigente socialdemocratico, «riformista» dunque, espresse simpatia a mio padre per aver vissuto in Russia durante la Guerra civile ed aver subito le angherie antisemitiche dei… . bolscevici! «No mai!» rispose perentoriamente Eliezer spiegando poi come fossero andate effettivamente le cose.
I genitori e un fratello di mio padre rimasero in Urss a Rybnitza. Nel 1939 i miei nonni paterni per ordine delle autorità sovietiche vennero trasferiti a Tashkent nell’Asia centrale. Pochi al mondo sanno di questa vicenda, cioè del traferimento alla vigilia del conflitto mondiale di migliaia di ebrei dalle zone limitrofe alla frontiera occidentale dell’Urss verso l’Asia centrale sovietica. Tuttavia la diversità nel tipo di vita era tale che i miei nonni paterni chiesero il permesso di poter rientrare a Rybnitza cosa che fecero poco prima dell’ invasione nazista dell’Urss. Essi morirono esattamente come nella descrizione di Karol: «La Wehrmacht faceva delle retate in grande scala degli ebrei e li uccideva». A scoprirlo fu il fratello di mio padre che combattè nelle file dell’Armata rossa dalla lontana Orel fino a Vienna.
E come ben capì Churchill quando ancora i nazisti avanzavano nel territorio dell’Urss, «l’Armata rossa sta(va) strappando le budella dal ventre dell’esercito tedesco». I «riformisti» lo vogliono occultare e scordare, io, anche come persona di origine ebraica, assolutamente no.