I soldi dell’Fmi hanno una condizione: la privatizzazione dell’acqua

Un’inchiesta di afrol.com rivela che nel 2000 i prestiti concessi dal Fondo monetario internazionale a 12 paesi (quasi tutti africani, poveri e indebitati) hanno avuto una condizione comune: la privatizzazione delle risorse idriche o il completo rientro sui costi del servizio pubblico.

Per ironia della sorte la maggior parte di questi prestiti è stata negoziata all’interno del nuovo programma di riduzione della povertà e agevolazione dello sviluppo economico (Poverty Reduction and Growth Facility – PRGF), avviato nel 1999 per dare un volto più umano, e meno controverso, alle politiche di aggiustamento strutturale patrocinate dal Fondo.

Un esempio è quello della piccola Repubblica Democratica di São Tomé e Principe, nel golfo di Guinea. Il governo locale, per ottenere la concessione finanziaria, si è dovuto impegnare nella privatizzazione o liquidazione (in mancanza di acquirenti) di tutti i servizi pubblici non redditizi. Risultato: nove servizi sono stati privatizzati, tra cui l’ente idrico, quello elettrico e la compagnia aerea nazionale. Riguardo al primo, l’obiettivo – ha comunicato l’Fmi – è «accrescere l’accesso alle acque sicure mediante il risanamento degli acquedotti».

Il problema, si legge nell’inchiesta di afrol.com, è che «il 20 per cento della popolazione locale non ha accesso all’acqua potabile, e che questa percentuale potrebbe aumentare se sul servizio fossero posti prezzi di mercato». «Piuttosto che contribuire alla riduzione della povertà, la privatizzazione dell’acqua rende ancor meno accessibili le risorse idriche nelle comunità a basso reddito, costringendo la gente a optare per acque meno sicure o fonti più lontane.»

Le prime vittime di questo meccanismo sono le donne e i bambini. Più di cinque milioni di persone ogni anno, perlopiù bambini, muoiono per malattie causate dall’assunzione di acqua non pura. «Se l’acqua divenisse più cara e meno accessibile – ha dichiarato Sara Grusky di Globalization Challenge Initiative – donne e bambini, che reggono quasi tutto il peso dei lavori ingrati domestici, dovrebbero viaggiare più lontano per raccogliere acque da fiumi e torrenti inquinati.»

Gli altri paesi africani coinvolti nel do ut des dell’Fmi sono Angola, Benin, Guinea-Bissau, Niger, Ruanda, Senegal e Tanzania. Ma sono coinvolte anche altre zone del continente. In Ghana, ad esempio, è stata la Banca mondiale a proporre un prestito condizionato dalla privatizzazione dell’acqua, scatenando una protesta civile. Altrettanto sta accadendo in Sud Africa, dove sindacati e movimenti locali sono impegnati in una campagna contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali.

(1 marzo 2001)