«I salari al primo posto» Intervista a Cremaschi

Domani si riunisce l’assemblea nazionale della Rete28aprile, l’«area» della Cgil coordinata da Giorgio Cremaschi. Quali temi al centro della discussione?
Tre cose. La prima è l’indipendenza del sindacato dalla politica; il che vuol dire della Cgil dal Pd. La scena triste dell’abbraccio tra Nerozzi e Calearo non è solo un danno di immagine per la Cgil, ma anche il segno di una cultura che non può che invadere il sindacato. Noi non daremo alcuna indicazione di voto. Il secondo è la questione salariale, su cui chiediamo la rottura con 20 anni e più di moderazione nelle rivendicazioni. C’è un bilancio per i lavoratori che è catastrofico; che corrisponde a un bilancio paradossalmente positivo per il sindacato. L’Italia è l’unico paese occidentale in cui c’è stata questa dinamica negativa per salari e condizioni di lavoro, ma il sindacato ha aumentato gli iscritti. C’è qualcosa che non va. E’ evidente che lo scambio vero della concertazione è stato tra il peggioramento della condizioni dei lavoratori e il mantenimento del peso politico del sindacato. Occorre una strategia diversa e diciamo no al documento unitario sulla contrattazione.

Il sindacato ha accettato la «legge bronzea dei salari», per cui finché non aumenta la ricchezza non si può redistribuire.
Noi diciamo l’esatto contrario: per aumentare la ricchezza bisogna partire dalla redistribuzione e dalla lotta alla precarietà. Questo è un terreno di lotta politica in Cgil. Non sarà una lotta di breve momento… Ci costituiamo come opposizione in Cgil, non più come dissenso. Non crediamo sia possibile un’«autoriforma dall’alto». Occorre costruire una forza organizzata in grado di pesare nella vita interna. Lo facciamo come Rete, ma naturalmente lo proponiamo a tutte le sinistre sindacali in Cgil, per contrastare un deriva moderata. Per fare questo ci vuole una forza di massa, in grado di fare battaglia non solo nei direttivi o nelle strutture, ma un po’ dappertutto. Noi chiederemo che il congresso si faccia il prima possibile, perché di fatto è già iniziato; e lì presenteremo un documento alternativo, perché le differenze sono troppo grandi. Occorre marcare una rottura di continuità tra il sindacalismo della concertazione e quello del conflitto.

Servono nuove regole di dibattito in Cgil, in vista del congresso?
Sì. Ma stavolta non aspetteremo, noi il congresso lo cominciamo già. Andando nei luoghi di lavoro e organizzando un’opposizione di massa a quello che si prepara per dopo le elezioni; dove la pressione bipartisan -benedetta dalla Chiesa – per un nuovo patto sociale a danno dei lavoratori sarà enorme.

C’è un problema di sponda politica: se ci sarà o no una sinistra in parlamento…
Il problema politico esiste. Destra e Pd dicono che per aumentare i salari bisogna aumentare la produttività… Però oggi la priorità dei movimenti e delle organizzazioni sociali è la loro indipendenza. Dopo il governo Prodi e la distruzione delle speranze provocata nella parte più combattiva dei movimenti, primum vivere. Poi si vedrà. Oggi il nostro avversario principale è chi lega il salario alla produttività. Una sciagura sociale e anche sul piano delle condizioni di vita.