«No, non possiamo andare avanti con i voti di fiducia», è la reazione stizzita del ministro della Difesa Arturo Parisi mentre in aula al Senato va in scena l´ennesimo braccio di ferro tra maggioranza e opposizione, una guerra regolamentare figlia però dei numeri in bilico di Palazzo Madama. Non si può andare avanti così «perché quando tu accetti il ricatto, i ricattatori aumentano», sintetizza l´ulivista Giorgio Tonini.
E infatti ieri gli otto dissidenti hanno fatto circolare una lettera in cui si lancia un ultimatum a lungo termine: «L´ennesima proroga della missione in Afghanistan tra sei mesi per noi sarebbe inaccettabile». Come dire che la resa dei conti, scongiurata oggi grazie alla fiducia, è solo rimandata. Tanto più che le firme sotto il documento dei dissidenti sono diventate sedici. Si era già aggiunto il diessino Massimo Villone e i nuovi sono Jose Luis Del Rojo (Prc), i Verdi Anna Donati, Marco Pecoraro Scanio, Natale Ripamonti, Dino Tibaldi (Pdci), Franca Rame (Idv), Oskar Peterlini (Svp). Un raddoppio allarmante e che sarebbe potuto diventare dirompente se si fossero aggiunte altre firme. Quelle dei parlamentari pacifisti della Camera.
I dissidenti quindi hanno piegato la testa sulla fiducia, ma hanno cercato subito un rilancio spostando il raggio di azione alla Camera. Confermando l´analisi di Tonini, non bisognava blindare il voto, cioè accettare il «ricatto», perché così i ribelli si sono rafforzati. Alberto Burgio, deputato di Rifondazione, uno dei quattro che a Montecitorio ha votato «no» al rifinanziamento delle missioni militari, senza peraltro incidere sul risultato e sull´autosufficienza della coalizione, ha fatto girare il testo della lettera tra i colleghi. «L´ho letto, sì, è un documento condivisibile – racconta la diessina Fulvia Bandoli, alla ieri Burgio ha chiesto l´«autografo» -. Del resto è chiaro che tra Camera e Senato ci sono almeno 30-40 parlamentari pronti a sostenere quella linea. Ma non ho firmato niente». L´obiettivo dei promotori è chiaro: allargare l´area del dissenso al Senato creando quindi un caso politico difficilmente risolvibile con un altro voto di fiducia e insediare un´area consistente alla Camera magari in grado di rendere ballerini i numeri anche lì. Questa è soprattutto l´intenzione dei più oltranzisti degli otto originari, fra i quali Luigi Malabarba e Claudio Grassi.
Rifondazione non si aspettava il ritorno di fiamma dei suo ribelli e in una riunione del gruppo, ieri mattina, si è rischiata una nuova spaccatura di Prc. Il presidente dei senatori Giovanni Russo Spena ha perso la pazienza: «Sono sempre stato per il confronto, ma questi qui se la stanno cercando l´espulsione. Si comportano come dei bambini, gli ultimatum sono inaccettabili. Sono indignato». «Volete giocare a chi è più pacifista – ha reagito Lidia Menapace nella riunione -. E questo gioco lo volete fare proprio con me, che sono una pacifista storica. Sono scandalizzata dal vostro comportamento».
Il nuovo fronte del dissenso appare più largo ma meno compatto di prima. C´è il fratello del ministro Alfonso Pecoraro Scanio, Marco, che spiega: «Ho firmato solo per tenere compatto il gruppo Verde. Non voglio tenere il governo sotto scacco». C´è l´altoatesino Peterlini. Che da cattolico è ultrapacifista, ma che qualche giorno fa si è schierato contro la ricerca sulle staminali. È un raggruppamento in cui si trova di tutto, quindi. Ma che può diventare un punto fermo nelle battaglie per la pace e che è già in campo se nei prossimi mesi si dovesse decidere su una forza militare da schierare al confine tra Libano e Israele. È comunque un nucleo della sinistra radicale destinato a non dare tregua al governo. E ora vuole farsi spazio alla Camera. La raccolta di firme a Montecitorio ieri si è fermata per via della solita rivalità tra Rifondazione e Pdci, però può riprendere fiato in futuro. «Ma il problema non è la sinistra – dice la Bandoli -. Guardate come si è comportata Rifondazione sull´Afghanistan. Ha chiesto il confronto, riunito i parlamentari, cercato la mediazione. Dopo il voto sull´indulto, è quello che avviene al centro a mettere in difficoltà il governo, perché Udeur e Italia dei valori rappresentano il centro della coalizione. Di Pietro e Mastella hanno fatto davvero una figura meschina. E l´hanno fatta fare a Prodi». Un´analisi di parte, certo, visto che la Bandoli appartiene alla minoranza diessina più vicina alle posizioni radicali. Ma che la dice lunga sull´incomunicabilità e sulla distanza dei mondi che vivono sotto il cielo dell´Unione.