Terminata la breve «pausa» nei bombardamenti concessa agli osservatori dell’Onu per recuperare i corpi dei loro compagni uccisi martedì sera nel loro posto di osservazione a Khiam da un missile israeliano, il martellamento del Libano del sud è ripreso a pieno ritmo.
Non solo. Le incursioni sono ricominciate anche nelle immediate vicinanze dei posti di osservazione della missione Onu, come ha denunciato Jane Holl Lute, vicesegretario per le operazioni di peace-keeping, ieri di fronte al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il governo israeliano si è difeso: non è stato un attacco «deliberato» contro l’Onu (come, naturalmente, non lo fu 10 anni fa quello di Qana che fece oltre cento morti) ed il segretario generale Kofi Annan ha commesso un errore a voler trarre subito le conclusioni. Le cannonate e i missili però continuano a cadere su Khiam, a due passi dalla postazione Onu e su questo non ci sono dubbi.
Annan che ieri a Roma ha smorzato le accuse contro Tel Aviv e accettato le scuse di Ehud Olmert – quasi certamente su insistenza di Condoleezza Rice sempre pronta a perdonare e minimizzare gli «errori» di Israele – ha detto di voler aspettare i risultati dell’inchiesta, ma con il passare delle ore emergono nuovi e più agghiaccianti particolari sulla orribile morte toccata ai 4 membri dell’Unifil: un austriaco, un canadese, un cinese e un finlandese. Per ben 10 volte infatti gli osservatori Onu chiesero a Israele di cessare l’attacco e per altrettante volte dall’altra parte risposero che il fuoco avrebbe avuto termine subito. Fino a quando un missile telecomandato ha ucciso i 4 osservatori, nonostante la loro postazione avesse ben visibili le insegne dell’Onu. Jane Holl Lute da parte sua ha raccontato che, prima della morte dei 4, le proteste furono riferite all’esercito israeliano e che lei stessa e uno dei vice di Kofi Annan, Mark Malloch Brown, chiamarono direttamente la missione israeliana alle Nazioni unite per sollecitare la sospensione dell’attacco. Prima che le comunicazioni con la base si interrompessero, la missione aveva registrato 21 proiettili e 12 raffiche di artiglieria, tutte a poche decine di metri dalla missione (4, anzi, colpirono direttamente la postazione). «Ci furono due sparatorie ulteriori prima che le comunicazioni con la postazioni fossero interrotte».
Ieri sera il Consiglio di sicurezza si apprestava a condannare Israele. L’accordo è stato raggiunto anche con la partecipazione degli Stati uniti che, naturalmente, hanno ottenuto modifiche al testo stilato inizialmente dalla Cina per evitare una condanna severa. Ma Israele può stare tranquillo. Si tratta soltanto di una «dichiarazione» che non ha il peso di una risoluzione. L’ambasciatore cinese Wang Guangya, ha provato a mettere in evidenza, che le informazioni fornite da Jane Holl Lute lasciano supporre che il bombardamento israeliano sia stato deliberato ma ci ha pensato il neo-con John Bolton, ambasciatore Usa all’Onu, a mettere tutto a posto, sostenendo che occorre attendere l’inchiesta delle autorità israeliane. In precedenza l’ambasciatore di Tel Aviv negli Usa, Daniel Ayalon, attraverso la Cnn, aveva puntato l’indice contro Annan intimandogli di chiedere scusa a Israele, affermando che l’inchiesta non ha ancora accertato la dinamica dell’episodio e arrivando persino ad ipotizzare che ad uccidere gli osservatori siano stati i guerrigliari Hezbollah. Patetico il comunicato giunto dalla Casa bianca che ha definito la morte dei 4 osservatori dell’Onu «orribile», ma, ha aggiunto, ciò vale per ogni innocente – che viva in Israele o in Libano, che lavori per l’Onu o per altre organizzazioni internazionali – che diviene vittima delle ostilità».
A Roma, Kofi Annan, ha fatto un passo indietro. ”Siamo grati” per le parole del primo ministro israeliano Olmert sulla morte dei quattro osservatori dell’Onu e ”le accettiamo”, ha detto il segretario generale dell’Onu alla conferenza internazionale sul Libano. Annan ha aggiunto di aver proposto ad Olmert una “inchiesta congiunta” e precisato che nel suo primo commento dopo la morte dei quattro caschi blu aveva parlato di un attacco ”apparentemente deliberato” e non di un attacco ”deliberato”.