I presupposti dell’alternativa

“Per l’alternativa sociale e politica”, edito dall’Ernesto, è un libro molto bello, destinato a durare. Infatti esso non è solo uno strumento di alto contenuto programmatico da usare per battere Berlusconi e la destra alle prossime elezioni – obiettivo vitale ma niente affatto scontato – bensì cerca di delineare una prospettiva che vada al di là dello stesso auspicato governo di centro-sinistra per la prossima legislatura, per evitare che un’eventuale delusione dell’elettorato – come dicono Fosco Giannini e Gianluigi Pegolo – possa portare di nuovo a una riaffermazione delle forze conservatrici; ragione per cui l’ambizione è di andare non solo oltre Berlusconi, ma anche oltre il “berlusconismo”.
Questa prospettiva di più lungo termine corrisponde a una esigenza ancora più profonda che va oltre lo stesso caso italiano, e che è bene espressa da Giulietto Chiesa quando dice che il vero problema è quello di un’analisi della crisi planetaria, che sembra del tutto carente anche nel centro-sinistra; la crisi planetaria non riguarda solo un capitolo del programma in cui si parla della guerra e della pace e del ritiro dall’Iraq, ma è l’unico contesto possibile di un vero programma politico. Se non si capisce come va il mondo, non si può dire niente neanche per l’Italia e tanto meno governarla.
In questa prospettiva vorrei qui discutere un tema, a mio giudizio pregiudiziale, che è quello della crisi istituzionale e costituzionale italiana, affrontato nel libro soprattutto nei saggi di Claudio Grassi, di Massimo Villone, di Giuseppe Chiarante e di Enrico Melchionda, fino a quella conclusione felicissima di quest’ultimo scritto, che da sola è tutto un programma: la “democratizzazione della vita quotidiana”.
Vorrei partire da un lamento di Piero Fassino, espresso in quella recente intervista a Repubblica (8 gennaio 2006, pag. 3) in cui ha difeso il suo partito dall’aggressione della destra sul caso Consorte. “Non parlo di complotto”, ha detto il segretario dei DS. “Ma c’è un’aggressione, questa sì. Ed è un’aggressione violenta, fondata sull’odio: pur di non perdere le elezioni, sono disposti ad uccidere l’avversario politico. Così si travolge non solo un partito, ma una democrazia, si stravolgono le normali regole della convivenza civile”; e qui Fassino ricorda come nella prima fase della Repubblica, anche al tempo del durissimo scontro tra DC e PCI, non fu così.
Bene, dunque la parola è stata detta: l’odio è stato messo al centro della battaglia politica italiana . Prima non c’era. Non l’odio personale di questo o di quello, perché esso talvolta c’era già prima; ma l’odio istituzionale, l’odio di sistema, che significa la nientificazione dell’avversario, la sua riduzione a non essere, la sua “uccisione”, come dice Fassino, senza cui non c’è vittoria politica. Non è che gli uomini sono diventati più cattivi, tanto è vero che quest’odio è portato in vasi di creta, espresso da esponenti politici che si gloriano di essere moderati, e che spesso sono tanto mediocri da non sembrare capaci di sentimenti tanto forti. Non sono gli uomini diventati peggiori, ciò che è all’opera è il sistema politico-istituzionale che è stato creato, è l’ideologia del maggioritario, il mito del bipolarismo, la spaccatura della società in due parti irrimediabilmente contrapposte, è lo spoil system, chi vince vince tutto, chi perde perde tutto, sono le elezioni, quando finalmente arrivano, dove si gioca il tutto per tutto. E, si badi bene, questo schema manicheo non è una lotta tra Oriazi e Curiazi, non coinvolge in un abbraccio mortale solo i due ceti politici della destra e della sinistra, ma riguarda tutta la società, una parte della quale deve sopraffare l’altra, una parte della quale, per l’altra, sarebbe meglio che non esistesse.
Quando Berlusconi dice che “la sinistra è una palla al piede del Paese”, non allude solo a D’Alema, Fassino e Bertinotti, ci mette dentro i sindacati, le cooperative, i giornali, la magistratura, l’elettorato di sinistra; ci mette tutti quelli che non stanno con lui, che per questo sono globalmente comunisti, e con i quali non si parla nemmeno perché – dice – sono “inconvincibili” (a differenza dell’amico Putin, che invece fraternizza con lui e va nella sua villa). Dunque, secondo Berlusconi, se l’intera società di sinistra non esistesse, sarebbe molto meglio per il Paese.
Certo, Berlusconi è un caso d’eccezione. Ma, come ci ha spiegato Carl Schmitt, è proprio il caso d’eccezione che rivela l’ultima verità del sistema. E il sistema che è stato incautamente introdotto in Italia, questo Paese dalle mille sfumature di linguaggio, Paese di cattedrali e di pievi (che vuol dire chiese del vescovo e chiese di popolo), Paese di palazzi comunali e di regge, di Case del popolo e di prefetture, è un sistema che irrigidisce la società in due soli campi contrapposti, e realizza alla lettera la dottrina dello stesso Carl Schmitt, secondo cui la politica altro non è e altrimenti non può esistere che come scontro tra amico e nemico, e quindi come guerra, potenziale o reale. Altro che art. 11 della Costituzione, il nostro attuale sistema politico presuppone la guerra come fonte e culmine della società politica.
I guasti introdotti in Italia dalla legge elettorale maggioritaria vanno quindi anche oltre quelli giustissimamente messi in luce da Chiarante nel suo contributo, e sono i guasti prodotti nella cultura politica del Paese e nella sua stessa qualità etica. Essi interdicono ogni libera ideazione politica di forze autonome dalla cultura dominante, e perciò portano al pensiero unico. Di male in peggio, la legge elettorale maggioritaria, quale ora si presenta in versione pseudo proporzionale, impone a tutti i partiti coalizzati di depositare lo stesso programma, introducendo così un vincolo di mandato. Perché il programma proposto dall’Ernesto in questo libro è così forte, e nello stesso tempo è così debole? Proprio perché, quanto più è forte, tanto più è debole, cioè trattenuto dal raggiungere la realtà, in un sistema maggioritario che tende all’unificazione verso il basso, e in uno schieramento dove ormai è presente l’antitesi assoluta al pensiero della sinistra solidale e pacifista, rappresentata da Pannella e dalla Bonino.
E ora, dopo una legislatura in cui la destra ha fatto quello che ha voluto , siamo arrivati a una scadenza elettorale in cui talmente si gioca il tutto per tutto, che vi si trova in gioco la stessa Costituzione repubblicana: perché è inutile illudersi; il vero referendum sulla Costituzione è il 9 aprile, se si dovessero perdere quelle elezioni anche la Costituzione sarebbe perduta.
Ora la sinistra dovrebbe arrivare a fare autocritica – certo senza autolesionismi – per aver congiurato a introdurre questo sistema in Italia, che ha guastato la coscienza del Paese e ci ha portato fino al gioco d’azzardo per cui la democrazia stessa può essere compromessa.
Perché lo ha fatto? Per un difetto di analisi. Perché si è dimenticata della sua storia, e si è dimenticata che cosa è la destra in Italia, non ha valutato in che modo essa avrebbe usato gli strumenti che le si mettevano in mano. Ma oggi una certa tiepidezza o disattenzione che si nota nella difesa della Costituzione del 48, è ancora più grave, rasenta un delitto di lesa Patria.
Un’analisi nella quale si è particolarmente sbagliato è stata quella che ha riguardato il mondo cattolico. Col bipolarismo si è pensato che, venute meno le condizioni per l’unità politica dei cattolici, questi si sarebbero divisi tra l’uno e l’altro schieramento e la Chiesa come tale sarebbe rimasta neutrale. Questo sarebbe stato un passo avanti, e un punto a favore della laicità. Ciò è effettivamente avvenuto per un certo tempo. Ma non si è valutato il rischio, che oggi sta diventando evidente, che la logica del sistema amico-nemico, abilmente sfruttata da una parte, avrebbe potuto attirare la Chiesa nel blocco di destra. E non mi pare che nella sinistra ci sia oggi consapevolezza di questo problema, e ci sia la lungimiranza necessaria a evitare che questo accada. L’accumulo nella campagna elettorale di temi “sensibili” rispetto alle attuali posizioni della Chiesa, e l’assunzione da parte della sinistra di una posizione antagonista di carattere seccamente laico nei confronti della Chiesa, possono causare il disastro. Kerry in America ha perduto su questo. E purtroppo anche Liberazione non ci aiuta in questo, mettendo in difficoltà i cristiani che non vogliono stare nella sinistra come transfughi dal loro mondo o come “laicisti”.
Naturalmente la responsabilità non è solo della sinistra. Anche la Chiesa dovrebbe operare per evitare quello che sarebbe un disastro pure per lei, resistendo alla cooptazione in uno schieramento. Ma questo in Italia è ancora molto difficile, e ben lo sapeva De Gasperi quando la sua preoccupazione suprema era di evitare che in Italia si rialzassero “gli storici steccati”. Certo, dopo di allora c’è stato il Concilio, ma la sua ricezione, come si sa, è lenta. La Chiesa può evitare di farsi chiudere in uno steccato, sotto il ricatto della difesa di quelli che essa considera irrinunciabili valori etici – dall’omosessualità, all’aborto, all’embrione – solo se essa, come il Concilio l’ha avviata a fare, innalzerà la qualità del suo annuncio, e non si presenterà soprattutto come agenzia etica, ma come testimone del febbrile amore di Dio per tutti a cominciare dai riprovati, i censurati, gli esclusi, gli umiliati della terra. Ma questo riguarda la Chiesa e i cristiani. Ciò che riguarda tutti, è che un sistema politico fondato sulla dicotomia in bianco e nero tra bene e male, tra devoti e discoli, tra grano e zizzania, è assai rischioso e ha molte chances di attrarre la Chiesa in uno dei due campi. Dunque l’ideologia dei due campi è perversa per la società, ed anche per la Chiesa.
Questo pericolo è grande anche sul piano mondiale. Giustamente la Chiesa ha resistito e continua a resistere all’idea dello scontro di civiltà. Il binomio Giovanni Paolo II–Ratzinger fece argine contro di esso. Ieri tuttavia, parlando agli ambasciatori, Benedetto XVI ha detto che questo pericolo c’è. Ora, se lo scontro di civiltà effettivamente si produrrà, sarà molto difficile per la Chiesa non farsi catturare in uno dei due campi. A questo del resto lavorano i Pera, i Ferrara, i Berlusconi e le Fallaci.
E allora qui il discorso sulla crisi politico-istituzionale italiana si innesta in quella analisi della crisi planetaria a cui richiama Giulietto Chiesa.
L’origine della contrapposizione manichea tra le due società in Italia è la traduzione e il riflesso della divisione del mondo in due: quella divisione che dopo l’ 89 il capitalismo della globalizzazione ha introdotto tra due parti di umanità, quella destinata a farcela e quella che invece è considerata in soprappiù, in eccedenza, una palla al piede, come direbbe Berlusconi, per il mondo che si sviluppa.
L’economia è “la scienza della scarsità”. Ebbene, la terra è diventata scarsa, e per questo l’economia domina la terra; e coloro per cui la terra è scarsa, coloro per cui il petrolio, il cibo, le medicine, l’acqua, la scuola, le risorse di libertà e di opportunità dei sistemi politici sono scarsi, vengono scartati.
Naturalmente siccome gli scartati non ci stanno, devono essere dominati; e per questo ci vuole la guerra, che nel 1945 era stata messa al bando, e poiché questa situazione è ormai permanente, ci vuole la guerra permanente; e su questo si fonda l’Impero che dal 2000 ha preso il nome di “nuovo secolo americano”, e si fonda la lotta per le risorse, e la preparazione allo scontro con la Cina, e tutto il resto.
Dunque il bipolarismo, il maggioritario, è funzionale alla gestione di un mondo lobotomizzato , sezionato, frantumato; e non solo è un modo di gestire il mondo, ma di leggerlo, di interpretarlo; corrisponde a una antropologia che è una antropologia di selezione, di secessione, di disuguaglianza, di discriminazione tra uomini e no.
Il bipolarismo e il maggioritario (anche se i loro sostenitori democratici ancora non ne hanno preso coscienza) sono la forma politica della nuova ideologia dei due mondi, quello degli eletti e quello degli scartati: dunque è la forma politica della globalizzazione occidentale, come tale successiva alla forma democratica.
Con questa forma politica non si potrebbe più dire, che nella sua piena realizzazione, come si diceva ai tempi di Berlinguer della realizzazione della democrazia secondo il disegno costituzionale, starebbe la vera costruzione del socialismo.
Dunque l’alternativa sociale e politica è l’alternativa a tutto questo; è un altro modo di pensare il mondo, non solo il destino delle classi subalterne ed escluse, ma il destino dell’umanità come tale, un’umanità assunta non nelle sue opposte polarità, ma nel suo pluralismo, un’umanità assunta nell’unità e nella indivisibilità del suo destino.