I portuali di Gioia Tauro si ribellano: via quell’accordo o non torniamo al lavoro

Un gigante ferito. Ecco quello che sembrava ieri il porto di Gioia Tauro, l’hub su cui la Calabria, l’Italia e tutta l’Unione europea hanno investito milioni di euro, il porto che nei progetti globali dovrà diventare il punto di riferimento per il commercio marittimo internazionale, la porta del Mediterraneo da aprire alla Cina e all’Asia. Eccolo là, con le sue 22 gru luccicanti e immobili, le quattro di nuova generazione pronte ad essere usate per la prima volta. Ferme perché spente da coloro che ogni giorno hanno il compito di dargli vita: gli operai. E’ andato oltre ogni più rosea previsione il primo sciopero della storia del porto: 97/98% di adesioni nel primo giorno, altrettanto era previsto per oggi, quando alle 19 finiranno le 48 ore di protesta indette dal neonato comitato del Sult.
Una protesta contro i padroni, il consorzio Mct, e contro i sindacati confederali che nella trattativa per il rinnovo dell’integrativo hanno ascoltato più la controparte piuttosto che coloro che dovevano rappresentare.
«E’ stato come una pentola in ebollizione cui ogni tanto veniva tolto il coperchio per raffreddarla. Ecco, adesso il coperchio è definitivamente saltato» Francesco usa questa metafora, dentro la tenda allestita davanti ai cancelli presidiati dalla polizia dove una trentina di portuali non aspettano altro che una penna e un blocknotes per spiegare le loro ragioni. Hai voglia a minacciare perdite di contratti, il fallimento del sogno di Gioia Tauro. Qua la Mct – e la compagnia danese Maersk che con la quota di maggioranza del capitale fa il bello e il cattivo tempo – ha perso ogni potere ricattatorio. Perché i 1200 dipendenti, di cui 650 sono personale operativo, non hanno più nessuna intenzione di lavorare con turni massacranti per uno stipendio (in media 1200 euro al mese) pari alla metà della media nazionale dei portuali.
Hanno provato a dirlo a Cgil Cisl e Uil e loro hanno comunque firmato un accordo che introduceva maggiore flessibilità d’orario, lo straordinario obbligatorio, che portava a 30 i raddoppi annui (mentre il precedente integrativo si fermava a 22), di modo che, fatti i conti, i lavoratori sarebbero stati costretti a fare quasi un raddoppio a settimana. Il tutto per un aumento salariale sulla carta di 150 euro, nei fatti, visto che avrebbe annullato i precedenti accordi, di 15 euro. Bocciata due volte in assemblea, la firma è arrivata comunque. I sindacati l’hanno appesa in bacheca: «Come deciso dall’assemblea…» e così hanno segnato la fine della loro presenza nel porto calabrese. «Per noi sono morti – dicono adesso i lavoratori – d’altronde siamo sempre stati tesserati, non sindacalizzati. Mai che ci mettessero al corrente delle novità, mai che ci coinvolgessero, perché se lo avessero fatto non avrebbero più potuto fare i loro comodi».
Da qua alla proclamazione dello sciopero il passo è stato breve, giusto il tempo che ci provasse l’Ugl (solo per ritirare lo sciopero dopo un’ora e mezza) e di creare un comitato autonomo del sindacato di base, il Sult. Adesso si stanno organizzando elezioni per le nuove Rsu e i cancelli sono coperti dai loro striscioni: «Voi 10 anni di successi, noi 10 anni di miseria»; «No money non parti»; «Mia figlia ha un padre part-time» e i portuali hanno tutta la voglia di non fermarsi finché quell’accordo non verrà cancellato e la Mct non si siederà al tavolo, pronta a ridiscutere il sistema dei raddoppi, l’utilizzo dei turni flessibili e il meccanismo dei riposi programmati.
In sostanza, i lavoratori vogliono ridiscutere l’organizzazione della loro vita. «Gli investimenti sul porto arrivano da ogni parte, ma gli investimenti su di noi? In Germania le aziende fanno asili aziendali, qua invece il lavoro viene prima di tutto, anche della famiglia». Persone che lavorano nel porto da quando fu creato, nel 1995, sanno cosa significa stare fuori casa anche 12 ore al giorno e dover essere sempre pronti alla chiamata: “Quando c’è la settimana flessibile torno a casa dopo sei ore, ma so che se squilla il telefono sono loro che mi dicono di tornare al porto. Ormai mi hanno condizionato anche il tempo libero». E se hai bisogno di un giorno di ferie devi sperare di non sforare il tetto del 7% di riposi contemporanei deciso dalla Mct perché «magari non me lo danno». Tutto questo in un posto di lavoro che non può non fare utili vista l’importanza già politica che ricopre, visto che solo qua possono essere svolti certi lavori sulle navi, visto che tutte le maggiori compagnie mondiali attraccano qua: «Noi sappiamo di essere importanti, ma sappiamo anche di essere l’unica voce su cui si vuole risparmiare». Da ieri sanno anche di avere una voce da alzare e che qualcuno potrà raccoglierla, come hanno già fatto il Sult e il Prc, locale e nazionale: «Questi lavoratori che hanno avuto la capacità di ribellarsi a questo stato di cose che li vede sfruttati e mantenuti in condizioni di lavoro di altri tempi hanno tutta la nostra solidarietà» dicono Aurelio Speranza e il consigliere provinciale di Catanzaro, Pino Comodari, che stanno passando i pomeriggi ai picchetti dei portuali.