Le voci si intensificano e quella appariva solo una ipotesi estiva sembra destinata a tradursi in un provvedimento sicuro: nel calderone della riforma della tassazione delle rendite finanziarie, tutte tassate al 20%, finirà anche la casa. O meglio gli affitti. Probabilmente dal punto di vista quantitativo cambierà poco: l’aliquota del 20% è inferiore all’aliquota media pagata da tutti i proprietari di case in affitto. Aliquota calcolata sul reddito sottoposto all’Irpef. Di fatto si tratterebbe, quindi, di una riduzione delle tasse, accompagnata, però, dalla speranza di rendere il mercato degli affitti meno caro e, soprattutto, con la misura si punta a cercare di contrastare l’enorme evasione fiscale che caratterizza il settore.
«Un buco nero»: questo è quello che molti pensano – soprattutto nelle grandi città – quando sentono la parola affitto. I più ingenui prendono alla lettera l’espressione e la associano alle caratteristiche di molti alloggi che spesso vengono spudoratamente offerti da improvvisati speculatori edilizi (cioè: i padroni di casa). Ma c’è anche chi nel «buco nero» ci vede il vuoto astronomico che l’allegra gestione del mercato immobiliare lascia nelle casse dell’erario. Da uno studio appena pubblicato dall’Agenzia ricerca economica e sociale (Ares), risulta infatti che il fenomeno degli «affitti in nero» sottrae al fisco, tra Irpef e tassa di registro, non meno di 5 miliardi di euro l’anno. Varie indagini, inoltre – alcune condotte dallo stesso Secit, il servizio ispettivo del ministero delle entrate – indicano che su due contratti di locazione almeno uno è in nero. L’evasione è concentrata soprattutto nelle grandi aree metropolitane dove nel 40% dei casi all’inquilino non viene rilasciata nessuna copia del contratto, mentre il 30% dei proprietari non provvede a registrare la copia dei contratti.
Se questa è la condotta dei soggetti privati, le istituzioni pubbliche non dimostrano avere grande sensibilità per i diritti degli affittuari: negli ultimi 20 anni l’apporto pubblico all’edilizia abitativa si è inesorabilmente ridotto passando dall’8% del 1984 ad un misero 1% del 2004. Le risorse per il fondo di sostegno alla locazione, poi, in appena quattro anni sono diminuite da 389 a 212 milioni di euro, con una riduzione media annua del 15% (in ampia parte concentrata nel 2002). Tutto ciò ha portato i prezzi degli affitti alle stelle: secondo un’inchiesta apparsa recentemente su «il sole 24 ore» dal 1993 il costo dei canoni è aumentato secondo percentuali che vanno dal 46% di Agrigento al 221% di Rimini; mentre l’incidenza dell’affitto su un reddito di 15mila euro annui varia tra il 40 e l’80%, costituendo il fattore di spesa fondamentale per chi non può permettersi una casa di proprietà.
La situazione dunque grava soprattutto sui giovani, studenti e immigrati, che sono già mortificati da un mercato del lavoro asfittico, fatto di contratti atipici e precarietà, che non consente nemmeno di avvicinarsi ad un istituto di credito a cui richiedere un mutuo.
In questo contesto si inserisce la proposta avanzata dalla Margherita di introdurre nella prossima finanziaria una tassa secca al 20% sugli affitti – : la cosiddetta «cedolare secca sugli affitti – ha trovato grande consenso nel governo, e in particolar modo – si dice – nel vice ministro dell’economia Vincenzo Visco. La soluzione è pienamente condivisa anche dal presidente della Confedilizia, Corrado Sforza, che plaude all’iniziativa sostenendo «che la misura potrebbe servire a rilanciare il mercato delle locazioni».Ma il Sunia (sindacato unitario nazionale inquilini e assegnatari)non nasconde il suo scetticismo:« senza misure che introducano la possibilità per l’inquilino di dedurre il costo del canone di locazione dalle imposte, e la obbligatorietà di effettuare i pagamenti per gli fitti attraverso bonifici o assegni bancari, l’aliquota del 20% non inciderebbe sull’evasione fiscale e avrebbe il solo effetto di favorire i proprietari senza far scendere i canoni».
I timori del Sunia sono condivisi dell’Ares che ha cercato di misurare gli effetti sul mercato immobiliare, e in particolare sull’evasione fiscale, che potrebbe avere l’adozione di una cedolare secca sulle locazioni. Per l’alleggerimento della tassazione – si legge nel rapporto – sicuramente una piccola parte del sommerso emergerebbe: tra il 15 ed il 30%, per cui l’ammontare dell’evasione si attesterebbe sui 3,5 miliardi di euro.
Tuttavia, non applicandosi più ai proprietari che denunciano regolarmente il reddito da affitto l’aliquota progressiva derivata dal cumulo con glia altri redditi, la tassa unica del 20% si tradurrebbe in una diminuzione di introiti fiscali (Irpef) di circa due miliardi di euro. In definitiva l’aliquota del 20% non sembra rappresentare la soluzione ad un problema che a parte il non trascurabile lato fiscale presenta degli importanti risvolti sociali che necessitano di un ben altro impegno politico ed economico.