Il 13 maggio voterò Rifondazione Comunista, perché è il voto utile oggi per pensare domani alla costruzione di una sinistra plurale, che a partire dal lavoro e dalle sue trasformazioni metta in campo un altro progetto e un vocabolario diverso da quello dell’impresa.
Il rifiuto a considerare la guerra come strumento costitutivo di un nuovo ordine mondiale, come sostituto della politica nella risoluzione dei conflitti in un mondo segnato da disuguaglianze sempre più acute e da ingiustizie sempre più palesi e l’opposizione a quel sistema elettorale maggioritario che relega ad una ristretta oligarchia le decisioni allontanando dalla politica i lavoratori e i cittadini sono altre due ragioni che motivano la mia scelta.
Dal mondo del lavoro ci arrivano segnali che indicano un disagio profondo ma anche una volontà di lottare, laddove viene individuato un obiettivo concreto. Spetta poi al sindacato accogliere e inserire in un progetto generale proteste e mobilitazioni che altrimenti rischiano di spegnersi nella rassegnazione. Nessuno può più vivere di rendita: il consenso dei lavoratori va conquistato giorno per giorno, pena la rottura di un legame già allentato. E’ necessario tanto più oggi, di fronte alla violenza dell’attacco a diritti e tutele sferrato da un padronato sempre più arrogante.
Le risposte ai 1600 questionari accuratamente compilati, su richiesta della Fiom, dai giovani lavoratori dell’Iveco di Brescia evidenziano, in modo semplice ma netto, un distacco da chi, fino a poco tempo fa, era il loro riferimento naturale, cioè la sinistra sociale e quella politica, sul quale ha il dovere di ragionare chiunque non si voglia rassegnare alla presenza di un unico punto di vista: quello liberista. E’ ovvio che chi decide di interloquire con il sindacato, già in qualche modo ne riconosce la funzione ed è quindi disponibile ad una relazione.
Le motivazioni di chi, il 25%, non ha votato alle elezioni regionali del 2000 sono, in ordine di priorità: i politici sono tutti uguali e fanno quello che vogliono i potenti (52%); la politica non ascolta i nostri bisogni (28%); la politica non mi interessa (13%); i politici sono incomprensibili (6%). E’ significativo che la critica maggiore che i lavoratori avanzano al sindacato è di essere “troppo politicizzato” e “troppo accomodante nei confronti dell’azienda” e che al primo posto tra gli obiettivi da perseguire in fabbrica ci sia la difesa dei salari e il loro valore, al secondo la tutela della salute, poi la riduzione d’orario.
Certo che il mondo non è l’Iveco. Ma quel microcosmo composto da 1600 persone è rappresentativo di una condizione condivisa dalla maggioranza di chi, in forme sempre più disgregate e precarie, lavora e produce in questo paese. Quel nucleo operaio ci parla di solitudine, di assenza, di sfiducia in chi li dovrebbe rappresentare, e ci dice che (contrariamente a quanto pensano e sostengono parti rilevanti di una sinistra moderata) nel 2001, in Italia, i problemi di chi, materialmente, produce sono: il salario, la sicurezza del posto e sul luogo di lavoro, il tempo di lavoro e di vita. Perché con un milione e seicento mila lire al mese si fatica a vivere; perché nei luoghi di lavoro si muore; perché i ritmi sono esasperati, gli orari dilatati; perché la flessibilità senza condizioni si traduce nella messa a disposizione dell’impresa anche del tempo degli affetti.
La rimozione di questa realtà, segnata dall’equazione neo-liberismo uguale nuove schiavitù e peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita per molta parte dell’umanità, sommata ad una sorta di oscuramento della memoria e di riscrittura della storia dal punto di vista dei vincitori ha portato anche pezzi di sinistra all’accettazione acritica della sconfitta e alla rincorsa affannosa dell’avversario sul suo terreno, nella speranza (che i fatti dimostrano vana) di poter attenuare in qualche modo il suo programma e di ritagliarsi una nicchia di tutele.
Così i diritti conquistati sono diventati privilegi. Così l’aspirazione all’uguaglianza si è trasformata in pari condizioni di partenza. La solidarietà è stata sostituita dalla competitività. La politica ha abdicato e il voto, da espressione di volontà e partecipazione è stato ridotto ad un quiz truccato, dove vince un ceto politico che rappresenta unicamente gli interessi dell’impresa. Non è stupefacente il fatto che molti, per storia e cultura abituati se non a contare, almeno ad avere la possibilità di esprimersi, decidano di non giocare, e che la possibilità di una vittoria delle destre, usata come arma di ricatto non basti più a convincere pezzi di sinistra disincantata e delusa a recarsi alle urne.
Hanno ragione Rossanda e Ingrao a considerare irrinviabile “la ristrutturazione della sinistra e l’aggregazione di un polo alternativo alla ormai definita linea di centro e centro destra”. Perché questo tentativo abbia qualche possibilità di realizzarsi, in modi ancora da definire, in tempi sicuramente non brevi, credo che la presenza di Rifondazione, pur con i suoi limiti, sia una condizione necessaria.
* segretario Fiom Lombardia