Si può o non si può far cadere il governo Prodi su Kabul? Così posto l’interrogativo appare, in una parola, kabulista. Certo, la tenuta di questa maggioranza è un valore in sé e un obiettivo politico da perseguire. Ma ladomandavera è se è possibile difendere questo governo al costo di cancellare, o nascondere, il contenuto della pace che ha permesso all’Unione di governare. La presenza militare occidentale dura in Afghanistan da cinque anni. Vale o no la pena chiedersi che cosa ha prodotto quell’intervento militare americano perseguito, come una vendetta, a due mesi dall’11 settembre 2001? Il dossier afghano pareva chiuso appena cacciati i talebani, ex alleati di Pakistan e Stati uniti, la guerra sembrava vinta e quella ricostruzione tornava utile nel disastro dell’Iraq. E’ accaduto il contrario di quello che GeorgeW. Bush e la Nato raccontavano, perché è riesplosa la guerra e si uccidono migliaia di civili, tanti che lo stesso Hamid Karzai, il signore della guerra-presidente sempre più isolato, protesta con gli Stati uniti chiedendo un diverso approccio. Inascoltato perché insieme a Condoleezza Rice arrivano a Kabul i cacciabombardieri pesanti B-52H. E la Nato si sente autorizzata a chiedere all’Italia – che ha già avuto anche qui i suoi primimorti – l’invio di squadriglie aeree. Se è cambiata la situazione sul campo, perché la sinistra arrivata al governo non se ne fa carico invece di pensare al «rifinanziamento »? Ci si è perfino vantati del fatto che lamissione militare italiana «resterà come quella del governo Berlusconi », invece di affrontare questo nodo. Si promette poi che i nostri soldati non andranno al sud,manel giro di tre giorni le battaglie e le azioni anche dei kamikaze contro l’Isaf si sono allargate al nord e al nordest, contro militari Usa, tedeschi e britannici. E a Kabul in operazione di ordine pubblico imilitari occidentalihanno sparato sulla folla venti giorni fa. Che fine hanno fatto aiuti e ricostruzione che, se portati con le armi, diventano sanguinosi obiettivi militari? Così ilministro degli esteri Massimo D’Alema si ostina a dichiarare che non è possibile quell’exit strategy che ha portato al compromesso vero per l’Iraq, e a rispondere alla domanda se invieremo ono i cacciabombardieri come da richiesta della Nato: «E’ un problema che devono risolvere imilitari, si ritiene che questi aerei abbiano compiti di ricognizione, non di bombardamento » (sic)? Oraotto senatori dell’Unione annunciano il loro no a questo nuovo kabulismoche vuole chiudere gli occhi sul disastro provocato dall’ennesima guerra. E’ l’occasione per una discontinuità, da parte di tutti, che si interroghi su che fine hanno fatto le «missioni di pace », «umanitarie» nelmondoda quindici anni a questa parte, Guerra del Golfo, Somalia, Haiti, Kosovo, Timor est e, appunto, Iraq e Afghanistan. Mentre proprio il silenzio dell’Europa e dell’Italia hanno contribuito alla mancata pace in Medio Oriente, con la Palestina occupata appesa alle rappresaglie all’unilateralismo di Israele. La maggioranza c’era, lamaggioranza non c’è più. Rischia di essercene una, sinistra, di centro-centro con l’Udc. Bene, anzi male. Perché non è questione di buoni o cattivi, di «tradimenti », o di «posti». Ma di una politica estera autonoma fuori da ogni logica di guerra. Il rischio è che l’inciucio vero post-referendario sia invece proprio sulla guerra, considerata a torto costituente e legittimante i governanti.