I novant’anni del Partito Comunista Cinese

*Diego Angelo Bertozzi è autore di articoli e saggi sulla storia contemporanea della Cina, tra cui segnaliamo “La Cina da impero a nazione” recentemente pubblicato dalle Edizioni Simple.

Il Partito comunista cinese si avvia a festeggiare i novant’anni dalla fondazione forte di ben ottantatre milioni di iscritti – tra gli ultimi la stragrande maggioranza è costituita da giovani sotto i 35 anni – e con la consapevolezza di aver ridato alla Cina dignità e piena sovranità nazionale, di aver tratto dalla miseria, pure tra contraddizioni, errori e tragedie, fasce sempre più larghe di una popolazione immensa e, infine, di aver portato il “Celeste Impero” a recitare un ruolo di potenza politica ed economica di primo piano.
Questo articolo ripercorre il processo di nascita del PCC e sottolinea il suo impegno originario a favore della rivoluzione e dell’indipendenza nazionale.

Dopo la Prima guerra mondiale: il risveglio rivoluzionario
La Cina repubblicana vive di una cronica instabilità. Figlia della rivoluzione nazionalista del 1911, è dominata all’interno dai “signori della guerra”, governatori delle province che si comportano come feudatari rapaci, mentre il governo centrale di Pechino è nelle mani di cricche che, pur alternandosi al potere, sono legate alle potenze straniere che meglio possono garantire i loro interessi. Un cartello di potenze (Gran Bretagna, Francia, Germania, Giappone, Russia e Italia) che continuano a fare del paese la vittima dei propri appetiti, dopo aver strappato concessioni, imposto trattati ineguali, posto sotto controllo le dogane, le ferrovie e fette dell’amministrazione. Dalla prima guerra dell’oppio (1839-1842) fino alle “Ventuno richieste” giapponesi del 1915, passando dalla spedizione punitiva internazionale del 1901, quella cinese è una storia di umiliazioni e continue erosioni di sovranità. Gli anni del conflitto hanno visto lo sviluppo dell’industria nazionale, soprattutto di quella leggera, che si affianca a quella in mani straniere. Si manifestano le prime contraddizioni tra gli interessi della nascente borghesia cinese – concentrata soprattutto nei porti aperti di Canton e Shanghai – e quelli imperialisti, quest’ultimi protetti dalle basse tariffe doganali e da una lunga lista di privilegi. Il messaggio nazionalista trova ormai terreno fertile.
L’entrata in guerra a fianco dell’Intesa nel 1917 non cambia la situazione nonostante le speranze iniziali. La Conferenza di pace di Versailles è una amara delusione, tanto quanto il rifiuto di applicare i “14 Punti” wilsoniani e il principio della libertà delle nazioni alla Cina. Cade ogni fiducia nelle potenze occidentali, alle quali studenti e intellettuali guardavano ancora con simpatia. Si consuma, ai loro occhi, un tradimento.
La decisione delle potenze vincitrici al Giappone i diritti della Germania sconfitta sullo Shandong, scatena il 4 maggio del 1919, la dura protesta degli studenti di Pechino (“Movimento del 4 Maggio”). Scioperi, manifestazioni, proteste contro le potenze straniere e i traditori interni si estendono ad altre università e, nelle principali città, coinvolgono anche la borghesia e gli operai. A Shanghai viene proclamato uno sciopero nazionale di solidarietà e in città come Hankow e Nanchino si registrano scioperi di operai e la chiusura delle piccole attività commerciali. Arresti e repressioni non servono a nulla e il governo cinese, licenziati i ministri più invisi, rifiuta di firmare a Versailles il trattato di pace.
Ad esercitare maggiore fascino e speranze è ora la rivoluzione bolscevica con il suo messaggio di liberazione rivolto ai popoli sottomessi. Portavoce di questo interesse è la rivista “Gioventù nuova”, comparsa a Shanghai nel 1915 e seguita portavoce di una radicale e iconoclasta volontà di rinnovamento, sulla quale si legge “L’aurora ci viene dalla Russia, ci viene tesa una mano amica, porgiamo anche noi la mano senza titubanze” e anche “Suona la campana dell’umanitarismo! L’alba della libertà è giunta! Guardate il mondo di domani: esso certamente apparterrà alla bandiera rossa!”. La mobilitazione e l’impegno di studenti e intellettuali, come delle prime avanguardie operaie, assume toni sempre più radicali e antimperialisti. Crescono, infatti, contatti tra le organizzazioni studentesche e il nascente movimento operaio, attivo soprattutto a Canton e Shanghai.
Gli operai sono ormai due milioni, ripartiti equamente tra industria nazionale e quella controllata dagli stranieri, e tra di loro una fetta importante è costituita da donne e bambini. A giornate lavorative che arrivano fino alle 13 ore, notti comprese, si accompagnano salari da fame e una ferrea disciplina. Tra il 1919 e il 1920 cresce il numero degli scioperi che vedono coinvolti soprattutto i lavoratori dei cotonifici e delle filande di Shanghai, i meccanici e i portuali di Canton e tra i minatori e i ferrovieri.

La nascita del Partito comunista
In piena mobilitazione nazionalista e antimperialista, vengono tradotti per la prima volta in cinese il “Manifesto del partito comunista” di Marx e Engels e “Socialismo utopico e socialismo scientifico” di Engels, mentre prendono vita a Pechino, Canton, Shanghai e nello Hunan i primi gruppi di studio comunisti. Sempre nel 1920 giungono in Cina i primi rappresentanti del governo sovietico e poi i delegati del Comintern per sondare la possibilità di creare sezioni dell’Internazionale comunista.
Il più attivo è il “Gruppo comunista di Shanghai” con a capo proprio Chen Du-xiu e legato a “Gioventù nuova”. Da questo nucleo partono la fondazione della Gioventù socialista nella quale è attivo il giovane Liu Shao-qi e la pubblicazione del periodico “Il Partito comunista” al fine di fare opera di chiarezza ideologica all’interno della composita galassia rivoluzionaria cinese. A questo si accompagnano bollettini per operai, scuole serali, circoli operai e l’organizzazione di sindacati, tutte attività nelle quali è impegnato Li Da-zhao. All’estero, soprattutto in Francia, sono attivi gruppi di studenti cinesi tra i quali Zhou En-lai.
Il 1° luglio del 1921 si riuniscono a Shanghai, nella concessione francese, dodici delegati in rappresentanza di meno di una decina di gruppi comunisti (una sessantina gli aderenti in totale): tra questi c’è il giovane Mao Zedong, mentre mancano personalità come Chen Du-xiu e Li Da-zao. In rappresentanza del Comintern c’è l’olandese Maring, esperto di Estremo Oriente. La nascita ufficiale del Partito comunista è il frutto del compromesso tra la corrente del “marxismo legale”, che punta tutto sulla necessita di concentrare il lavoro nella diffusione dell’ideologia marxista, e quella di “sinistra”, favorevole alla lotta immediata per la dittatura del proletariato e al lavoro clandestino. Il Partito, alla cui testa è posto Chen Du-xiu, si costituisce come organizzazione clandestina, mentre viene creato un Segretariato dei sindacati che deve operare nella legalità per stimolare le lotte operaie e la formazione di sindacati.
Dal punto di vista politico viene individuata nel proletariato urbano – una minoranza in un paese dominato dalle masse dei lavoratori delle campagne – la classe che porterà alla rivoluzione, mentre è rifiutata la collaborazione con i nazionalisti del Guomintang.

L’alleanza con i nazionalisti: il fronte unito con la borghesia nazionale
Il movimento del 4 maggio, il diffondersi delle parole d’ordine rivoluzionarie, la comparsa dell’Unione sovietica e la prosecuzione delle pressioni imperialiste influiscono fortemente sulla maturazione del pensiero politico di Sun Yat-sen, il padre del Guomindang. Per liberarsi dalla dominazione straniera e dalle classi dirigenti cinesi che la garantiscono ha di fronte a sé un potenziale alleato come l’Unione Sovietica che ai suoi occhi, rappresenta una grande speranza per l’umanità: “I Russi hanno riformato l’interno del paese e mutato la loro vecchia politica di forza in una politica di pace. Questa nuova politica non solo ha perduto la folle ambizione di invadere altri paesi, ma si oppone ai forti, aiuta i deboli e appoggia la giustizia”. Lo ha confermato anche nel 1919 il Consiglio dei Commissari del Popolo della Russia Sovietica che aveva inviato alla Cina un chiaro messaggio: “il governo sovietico eliminerà tutti i privilegi particolari […]. In Cina non deve sussistere altro potere che il potere e i tribunali del popolo cinese”.
Nel secondo congresso del Comintern (19 luglio – 7 agosto 1920) sono adottate le “Tesi sulla questione nazionale e coloniale” che proclamano la stretta unione tra la Russia sovietica e tutti i movimenti anticoloniali e invitano tutti i partiti comunisti a sostenere attivamente i movimenti rivoluzionari di liberazione. Nel novembre dell’anno successivo il Congresso dei Popoli dell’Estremo oriente, riunito a Mosca, approva, in relazione alla situazione cinese, un programma di lotta democratico-borghese: “abbattimento del dominio imperialista, liquidazione del feudalesimo e delle cricche dei militaristi”.
Nel giugno del 1923 Sun Yat-sen e il diplomatico sovietico Ioffe sottoscrivono un manifesto comune che stabilisce la collaborazione tra il Guomindang e il governo sovietico. Quest’ultimo, da parte sua, assicura la volontà di rinunciare a trattati, diritti e privilegi strappati alla Cina dal regime zarista. A Canton, il centro del movimento rivoluzionario dove affluiscono le energie rinnovatrici di tutto il paese, arriva un gruppo di consiglieri sovietici guidati da Borodin, mentre una delegazione militare nazionalista va in Russia per studiare l’organizzazione delle forze armate sovietiche.
Su impulso dell’Internazionale comunista, e del messaggio leniniano della collaborazione tra borghesia nazionale e movimento operaio nella lotta anti-coloniale, prende il via l’alleanza tra i nazionalisti e il Partito comunista. Quest’ultimo nel II congresso (luglio del 1922) approva un programma per la lotta immediata che permette di siglare l’intesa: cessazione delle contese nel paese, abbattimento dei feudatari militaristi, rispetto delle libertà politiche, eliminazione dell’oppressione imperialista, conquista della completa indipendenza e unificazione in una repubblica democratica. Nel manifesto conclusivo si invitano gli operai ad aiutare il movimento democratico rivoluzionario e a stabilire un fronte democratico unito con la piccola borghesia. Mao, appena eletto nel Comitato Centrale del Pcc, condivide appieno la nuova strategia: “Questa rivoluzione è compito del popolo, ma per le necessità storiche i compiti che i mercanti devono accollarsi nella rivoluzione nazionale è più urgente e più importante di quello che deve assumersi il resto del popolo cinese”.
I comunisti entrano, anche se a titolo individuale, a far parte del Guomindang, individuato ufficialmente nel III congresso come la forza principale di attrazione per tutti rivoluzionari, nonché la forza che la deve dirigere al suo sbocco democratico-borghese.
All’interno dell’alleanza i comunisti dedicano i propri sforzi all’organizzazione del movimento operaio e assiste ad una crescita costante della propria forza: circa centomila iscritti e ben tre milioni di operai sindacalizzati. Scarsa, invece, si mostra la sua capacità di penetrazione e attrazione nel mondo contadino. La sua crescita di influenza sociale e politica, dimostrata anche dai lunghi scioperi di Shanghai e Hong Kong nell’ambito del movimento antimperialista del “30 maggio 1925”, mette in allarme il mondo degli affari e gli ambienti conservatori del Guomindang riuniti attorno al generale Chiang Kai-shek. E in allarme sono anche le potenze imperialiste.
La morte di Sun Yat-sen (12 marzo 1925) segna l’avvio del processo di disgregazione dell’alleanza tra nazionalisti e comunisti. Passa un solo anno e, in seguito ad un presunto colpo di stato comunista, Chiang Kai-shek instaura la legge marziale e fa arrestare dirigenti comunisti e consiglieri sovietici. Un decreto sulla riorganizzazione limita la presenza dei comunisti nel partito nazionalista.
Un successivo compromesso stretto nella prospettiva della spedizione per la conquista del nord, dura solamente un anno. Nell’aprile del 1927 l’alleanza si dissolve sotto i colpi della spietata repressione anticomunista e antisindacale in tutti i territori controllati dai nazionalisti dopo che sindacati e milizie popolari avevano preso in autonomia il controllo di Shanghai in attesa dell’arrivo dell’esercito nazionalista. Purghe comuniste si verificano anche a Nanchino e Canton. Nell’estate del 1928 le truppe guidate da Chang Kai-shek entrano a Pechino e nell’ottobre successivo nasce il governo nazionale. Nel 1930 parte la prima delle “campagne di annientamento” contro i “banditi” comunisti che costringeranno le forze comuniste, riunite attorno a Mao, alla Lunga Marcia (1934-35). Nella lotta contro i giapponesi il PCC si imporrà nuovamente come l’unica vera forza in grado di coniugare rivoluzione e causa nazionale.

Diego A. Bertozzi