I nodi del confronto

SINISTRA

Alternativa Dopo l’assemblea nazionale del 15 gennaio si è persa un’occasione. Che va rilanciata ripartendo dal merito della parola «sinistra»

Quando ci siamo ritrovati in tremila alla Fiera di Roma, il 15 gennaio scorso, chiamati a raccolta dal manifesto che, pur fra qualche baruffa, è stato per tanti anni il punto di riferimento comune per quasi tutti noi, ci siamo sentiti forti e nuovamente motivati. Invece in tre mesi l’ipotesi sembra essercisi bruciata nelle mani: dall’appuntamento di lunedì 11 aprile della Camera di consultazione, siamo usciti con la sensazione che forse non c’era nulla da fare. Alla riunione che avrebbe dovuto vedere presenti Rifondazione, il Pcdi, i Verdi, i rappresentanti delle associazioni e dei gruppi che si erano impegnati il 15 gennaio, molti neppure erano venuti. E questo nonostante la vittoria elettorale alle regionali. Perché è andata così? Cosa è accaduto? Dove abbiamo sbagliato? Prima di gettare la spugna varrebbe forse la pena riflettere tutti e darci ragione l’uno con l’altro delle rispettive posizioni e intenzioni.

E’ quello che proviamo a fare con questo scritto, anche se l’esito negativo dell’esperienza che assieme ad altri compagni abbiamo compiuto nei cinque anni di vita de La Rivista del manifesto che proprio in direzione di una riaggregazione delle forze della sinistra alternativa ha lavorato, ci rende consapevoli delle difficoltà. E tuttavia siamo convinti che occorra continuare a provare, come del resto ci suggeriscono tutti quelli che andando in giro per l’Italia incontriamo e ci chiedono «che fine ha fatto il 15 di gennaio»?

Per quanto riguarda il manifesto, all’origine della convocazione del 15 gennaio, è vero che per mesi non ha corrisposto alle attese che aveva suscitato. E però tutti sappiamo che proprio questi mesi sono stati per il giornale durissimi, travolto come è stato dal rapimento di Giuliana Sgrena. Poi c’è stata la campagna elettorale che ci ha visto tutti idealmente uniti ma separati nel fare del giorno per giorno.

Adesso però non abbiamo più scuse e molta più urgenza: sebbene il nostro obbiettivo non si esaurisca nel voto, non c’è dubbio che la scadenze delle elezioni politiche costituisca il primo e rilevantissimo appuntamento. Ora peraltro anche più ravvicinato nel tempo. Che fare?

1) Cominciamo da un giudizio sul voto. Il primo dato è che l’auspicato successo del centro sinistra non premia le forze che, al suo interno, si battono non solo per cacciare Berlusconi, ma anche la sua politica e l’idea di società che vi sta dietro.Vince l’area moderata e le ipoteche sul futuro governo si fanno più pesanti. Rifondazione comunista, la principale forza organizzata dell’area alternativa, non avanza quanto un po’ tutti ci eravamo attesi: risulta evidente che gran parte dell’area di sinistra pur assai cresciuta in questi anni (movimenti, base dei Ds che non si riconosce nella linea di Fassino e D’Alema, settori cattolici radicalizzati) non riesce che scarsamente a essere rappresentata da questo partito. E tanto meno da Pcdi e Verdi, che pure aumentano di qualche frazione percentuale. Vuol dire che nessun partito riesce oggi, da solo, a intercettare gli umori inquieti di un pezzo importante dell’elettorato.

2) Questo specifico aspetto dell’esito del voto non riguarda i soli partiti alternativi, riguarda anche i movimenti. Che non possono non chiedersi come mai una mobilitazione che, sia pure talvolta con andamento «carsico», è sempre alta, una «rivoluzione culturale» così propulsiva come quella che ha posto fine alla dittatura del pensiero unico abbiano avuto così scarso impatto elettorale. Con i tempi che corrono – l’uscita di scena, forse, di Berlusconi, e però la deriva moderata e il revival democristiano che si preparano – ignorare il terreno elettorale non è possibile.

3) Per dar vita a un simile polo occorre operare su più terreni: la ricostruzione di una comune cultura (ed etica) della sinistra; la definizione di contenuti programmatici qualificanti e fondati su una valutazione realistica dei rapporti di forza esistenti; l’iniziativa di lotta per spostare in avanti tali rapporti. C’è, qui, ci sembra, molto da fare assieme. E’ vero che già sono in atto tentativi di lavoro collettivo, come quello avviato da un certo numero di riviste di sinistra fra cui Aprile e Carta, così come le campagne che su una molteplicità di temi essenziali (l’acqua, l’energia, ecc.) i movimenti conducono. Manca tuttavia, a noi pare, sia nell’un caso che nell’altro, un coinvolgimento pieno delle forze politiche organizzate (dalla sinistra Ds a Rifondazione).

4) Infine il problema della rappresentanza. Che in soldoni vuol dire porsi il problema delle liste elettorali. I partiti più piccoli vorrebbero una federazione per raggiungere il quorum nel proporzionale. Rifondazione – e si può capirla – rifiuta l’ipotesi della coalizione «dei nani». Poi c’è chi dice, non a torto, che se si vuole anche un rinnovamento del personale politico (più che necessario), bisognerebbe togliere ai partiti della coalizione il monopolio dell’indicazione delle candidature. Si tratta di problemi reali, ma sarebbe sbagliato porseli adesso, quando – prima ancora dall’aver dato vita al progetto di cui abbiamo accennato – rischierebbero solo di suscitare sospetti.

5) Che fare dunque di questa Camera di consultazione, cui Asor Rosa ha dedicato fin qui il maggior volenteroso impegno? Siamo convinti che debba trattarsi di un collegamento che non possa esigere discipline, anche perché i soggetti partecipanti sono diversissimi fra loro, trattandosi di singoli individui, di organizzazioni partitiche e non, di movimenti assai fluidi.

Ma proprio l’esito delle elezioni dovrebbe spingere a riprendere il cammino comune. Senza forzature organizzative ma anche evitando di consultarci solo quando si è già scelto. E invece attivando un dialogo permanente grazie al quale far vivere in esperienze sociali e conflitti partecipati i contenuti strategici su cui è decisivo spostare «verso sinistra» Prodi e l’Unione.

Ne indichiamo quattro. Il primo, il più urgente, è il referendum del 12 giugno sulla legge 40. Su questa scadenza ci si gioca molto, in buona sostanza un’intera stagione di diritti a cominciare dall’aborto. Un esito negativo potrebbe offrire non poche occasioni di ripresa alle destre. Sicuramente il centro sinistra si gioca su questo la possibilità di una partecipazione convinta delle donne alla costruzione dell’alternativa a Berlusconi. Ed allora perché non consultarci per decidere una comune azione sul territorio che sfoci in una scadenza nazionale di massa?

La seconda questione riguarda la pace. Anche qui c’è un appuntamento, la Perugia-Assisi, in collegamento col quale verificare l’utilità di qualificarla con un’idea della possibile politica estera su cui vorremmo che il futuro governo di centro sinistra si impegnasse e di cui l’intervento, politico oltreché militare, in Iraq, il rapporto con gli Stati uniti, la costruzione europea dopo il varo della brutta costituzione, rappresentano punti essenziali.

La terza questione con cui ci si deve misurare è quella sociale e ambientale: questione redistributiva, lotte contrattuali, difesa dell’occupazione industriale, nuova occupazione e soprattutto chi dovrà pagare i costi della crisi. Sono tutti temi su cui è bene che la sinistra critica produca un chiarimento e qualche decisione nel centro sinistra, tanto più necessario dopo l’indicazione di Monti come ministro dell’economia. Sarebbe un fatto fondamentale inoltre aprire un varco all’idea che il lavoro e la sua qualità, nonché i suoi diritti, si possono difendere e affermare solo se si produce una rottura, prima culturale e poi programmatica, con il liberismo e se si riapre un confronto serio su un possibile nuovo ruolo del pubblico in economia. La stessa natura ambientalista, prima della sinistra critica poi dell’Unione, si misurerà in larga parte su due processi: dentro la questione sociale e nelle scelte su Kyoto. Nella questione sociale perché è impossibile salvare la base industriale del paese se non si conquistano innovazioni e qualità ambientale sia nei processi produttivi che nei prodotti. Su Kyoto perché non si raggiungono gli obiettivi che ha fissato e non si governa il clima senza realizzare una svolta energetica che ci liberi dai fossili e apra l’era delle fonti rinnovabili.

Infine occorre produrre esperienze comuni nella difesa della costituzione italiana, sulla quale persino fra di noi esistono posizioni diverse e comunque quasi nessuna mobilitazione: è pensabile di impegnarci tutti a sostenere la marcia simbolica che da Marsala lungo tutta la penisola il Laboratorio di Firenze ha promosso per ora in preoccupante isolamento?

Non sappiamo se da questo percorso e da queste esperienze potrà nascere un nuovo soggetto della sinistra. Noi ce lo auguriamo, anche se siamo consapevoli che si tratta di un obiettivo di lungo periodo, che ben difficilmente può maturare nei pochi mesi che ci separano dalle elezioni. Sappiamo però che bisogna avviare il processo e quindi non disperdere il 15 di gennaio. Il manifesto è un elemento decisivo lungo questo percorso, promuovendo e garantendo spazi di discussione; organizzando alcune grandi assemblee nazionali tematiche, come sintesi di intense attività territoriali.