I molti buchi di un processo

Il processo inaugurato il 19 ottobre 2005 a carico di Saddam Hussein e di altri sei imputati in merito ai fatti di Dujail del 1982 – arresto arbitrario, tortura ed esecuzione extra-giudiziaria di centinaia di civili di origine sciita – non si svolge di fronte a una corte penale internazionale, non ripudia la pena di morte e non gode di incontestata legittimità.
Il cosiddetto Tribunale speciale iracheno è stato istituito il 10 dicembre 2003 dagli Stati uniti e dal governo di transizione iracheno, seguito e curato da esperti di comprovata fiducia – quali ad esempio Salem Chalabi, nipote del discusso premier Ahmad Chalabi e totalmente digiuno di esperienza come penalista. Nonostante le accuse di crimini contro l’umanità sulle quali il tribunale basa il processo contro Saddam, non è sul corpus dei diritti umani che operano i giudici nè tantomeno sul codice penale iracheno del 1969, che non contempla ad esempio il crimine di «genocidio»: ci sono voluti un codice che li contenesse e una procedura ad hoc, varati entramb il 9 ottobre 2005, dieci giorni prima del processo, per permettere al tribunale di perseguire Saddam Hussein e i suoi sei presunti complici.
Per quanto riguarda il diritto internazionale, il tribunale speciale iracheno non garantisce i criteri previsti dalla Terza convenzione di Ginevra (art. 84/2) né dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (art.14) come «giusto, competente, indipendente ed imparziale»: la corte del Tribunale Speciale si compone di cinque giudici dei quali non è garantita l’imparzialità e la cui unica discriminante è di non essere stati precedentemente affiliati al partito Ba’ath; non ne è garantita la competenza, poichè l’intero collegio dei giudici iracheni è stato «ripulito» dal governo filo-americano (sempre in violazione della Convenzione di Ginevra), eliminando circa 180 giudici su 900 (i più anziani e competenti, ma sunniti ed ex-baathisti) e rimpiazzandoli con giudici investiti per decreto spesso privi di qualunque formazione come penalisti, o anche di qualifica come avvocati, ma fedeli al nuovo regime.
Non è stato permesso agli imputati di scegliersi i propri avvocati difensori e a niente sono valse le proteste di questi ultimi per poter visionare le prove in mano all’accusa, la cui validità è stata accertata da una commissione istituita dal governo stesso. Numerose le incongruenze dei testimoni. Da notare che a favore della difesa rimane l’eventuale paragone delle torture e detenzioni arbitrarie di Dujail con Abu Ghraib e Guantanamo: parte degli argomenti a favore dell’accusa verrebbero compromessi.