I missili dividono Berlino. La Spd non ne vuole sapere

Kurt Beck, che da un anno guida il partito socialdemocratico senza grande fortuna, ha finalmente trovato un tema, la pace. «Non abbiamo bisogno di più missili», dice, e rifiuta seccamente il piano Usa di stazionare dieci batterie di missili-antimissile in Polonia e una gigantesca stazione radar nella Repubblica ceca. La Spd, frustrata dalla gabbia della “grande coalizione” con i democristiani, è entusiasta. La cancelliera Merkel, attenta a non criticare apertamente Washington sui piani di scudo spaziale, giudicati perfino «legittimi», e attestata sulla più modesta richiesta di «consultazioni» dentro la Nato, è irritata. Il ministro degli esteri Steinmeier, Spd, cerca a fatica una linea intermedia tra il partito e la cancelleria. I missili-antimissile sono ancora sulla carta, ma già rimescolano le carte della politica tedesca.
Kurt Beck è sceso in campo il 18 marzo sulla Bild Zeitung, appellandosi agli europei perché contrastino insieme i programmi di scudi missilistici: «La Spd non vuole una nuova rincorsa agli armamenti tra Usa e Russia sul suolo europeo. Nel mondo ci sono già abbastanza problemi da affrontare, la poverta, il cambiamento climatico, il terrorismo. Nuovi missili e nuovi sistemi d’arma non ci portano avanti di un passo».
Non era uno sfogo estemporaneo. Il 19 marzo il presidente Spd ha rincarato la dose in una conferenza alla fondazione Friedrich Ebert, a Berlino. «Dobbiamo far di tutto per evitare una nuova spirale di riarmo. E l’attuale discussione sul sistema antimissili mostra che proprio questo pericolo incombe». Quanto al rischio, paventato dagli Usa, che vecchi e nuovi stati-canaglia possano minacciare l’occidente con armi nucleari, Beck ricorda che il Trattato di non proliferazione impegna le potenze nucleari a ridurre i loro arsenali. Se non mantengono l’impegno, perdono ogni autorità nel predicare l’astinenza a altri.
Beck si richiama alle parole chiare di Vladimir Putin il 10 febbraio alla conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco: «La militarizzazione dello spazio potrebbe avere conseguenze imprevedibili per la comunità internazionale, e provocare una nuova era nucleare. I piani per stazionare elementi del sistema antimissilistico in Europa non possono non preoccuparci (…), inevitabilmente ciò produrrebbe una nuova competizione al riarmo».
Già due anni fa Putin aveva annunciato una «risposta asimmetrica» ai piani Usa. A Monaco ha ribadito che la Russia possiede armi in grado di aggirare gli scudi. Sono i missili Topol-M. Finora, in conformità al trattato Start-1, che però scade il 2009, vengono dotati di una sola testata nucleare. Ma potrebbero portare più testate, guidabili su traiettorie diverse, e in grado di passare da una traiettoria balistica a una “semibalistica”. Intercettarli sarebbe assai arduo. Putin si è concentrato su un punto politico: la continua «provocazione» rappresentata dalla espansione a est della Nato. L’Unione sovietica aveva dato il suo assenso all’unità tedesca in cambio del solenne impegno a non spostare strutture strategiche oltre la linea dell’Elba, che aveva diviso per 40 anni le due Germanie. Il tedesco Wörner, allora segretario generale della Nato, aveva dichiarato nel 1990: «Il nostro impegno a non stazionare truppe Nato oltre il territorio della Repubblica federale tedesca, dà all’Unione sovietica solide garanzie di sicurezza». E Putin a Monaco ha chiesto: «Cosa ne è oggi di queste garanzie di sicurezza?».
Sono evidentemente carta straccia. La Russia si sta ritirando dalla Georgia e mantiene ancora solo 1500 soldati in Moldavia, gli Usa stanno stazionando 5000 soldati in Bulgaria e altrettanti in Romania. E oltre al radar nella Repubblica ceca, ne vorrebbero un’altra nel Caucaso, magari in Georgia. E il generale Henry Obering, capo della Missile Defence Agency, il 14 marzo è andato a Kiev per offrire all’Ucraina un coinvolgimento nello “scudo”.
Gli Usa dichiarano che lo “scudo” non è rivolto contro la Russia, ma per fermare missili dall’Iran. Scenario quantomai ipotetico, visto che l’Iran non disporrà per anni di missili di gittata tale da impensierire l’Europa. Mentre assai concrete sono le ricadute politiche immediate. Salta agli occhi che Praga e Varsavia guidino la resistenza della “nuova Europa”, cara a Donald Rumsfeld, contro i tentativi della presidenza tedesca di far ripartire il meccanismo inceppato dell’integrazione europea. Il governo ceco dice di non sentirsi impegnato dalla “dichiarazione” comune appena sottoscritta a Berlino. Quello polacco vuol ridiscutere il meccanismo della doppia maggioranza per le decisioni ue (55% degli stati membri e 65% della popolazione). Con questi chiari di luna, lo “scudo” già svolge egregiamente la sua funzione come cuneo per spaccare l’Europa.