I LEGAMI SOCIALI ANTIDOTO ALL’INSICUREZZA

Il dibattito sulla sicurezza che si è aperto nel nostro paese all’indomani dell’ordinanza del Comune di Firenze sui lavavetri si accompagna nelle pagine dei giornali alla cronaca di una lunga serie di violenze scoppiate tra vicini di casa spesso per futili motivi. Si tratta di due elementi a prima vista privi di relazione. Ma possiamo esserne così sicuri? Quando parliamo di «sicurezza» prima ancora della minaccia che pensiamo possa incombere su di noi, facciamo riferimento al modo in cui ciascuno percepisce lo spazio circostante. Mi spiego, a casa nostra ci sentiamo forti e sicuri ma come varchiamo il portone cominciano a preoccuparci, la città, in particolare, ci può apparire come un luogo estraneo, in cui si è soli, privi di sostegno o di difese. Ecco che l’insicurezza comincia a farsi strada dentro di noi, che l’inquietudine o la paura acquistano un profilo concreto: cosa vorrà quel mendicante o il lavavetri di turno? Non voglio certo sottovalutare gli effetti della criminalità, o sottostimare i timori delle persone, ma credo si possa convenire sul fatto che la paura inizia dall’incontro con chi ci è estraneo, prima ancora che ci tocchi di subire un qualche torto, per usare un eufemismo.
Detto altrimenti, il senso di insicurezza ci accompagna, diventa una sorta di lente con cui percepiamo il mondo circostante. Una percezione che si forma attraverso una serie di cerchi concentrici, passa al vaglio di reti di relazioni sempre più strette e esili, fino a trovarci completamente da soli. Se fuori dal nostro ambito ristretto di affetti tutto ci fa paura, ciascuno rappresenta un possibile pericolo, ecco che perfino il dirimpettaio può diventare un nemico irriducibile. Si tratta di comportamenti individuali, certo, di un cortocircuito della ragione in cui trova spazio l’odio più feroce. Ma come non interrogarsi sul fatto che nel nostro Paese questa paura e spesso il risentimento individuale sono stati anche coltivati, eletti a comportamenti socialmente stimati da chi ha fatto della xenofobia e della ricerca del capro espiatorio il proprio fondo di commercio politico? E giù insulti ai soliti stranieri, immigrati, zingari – anche se recentemente c’è anche chi ha riesumato perfino il «complotto ebraico-massonico» – indicati come responsabili di ogni male. Sparare sui gommoni, disinfettare i sedili su cui si sono seduti gli stranieri o addirittura ripristinare la pena di morte: il catalogo di questa piccola barbarie nostrana è noto. La demagogia populista non ha più smesso di fabbricare nuovi «nemici pubblici».
Ieri il sindaco di Milano Letizia Moratti, proprio dalle colonne di questo giornale, se la prendeva con la visione «buonista» dell’immigrazione che accompagnerebbe a suo dire il Ddl che porta la mia firma e quella del Ministro dell’Interno Amato che intende invece riportare a legalità e regolarità il fenomeno. Questo dopo che la «faccia truce» mostrata dalla destra sul tema attraverso la Bossi-Fini ha prodotto un aumento vertiginoso della clandestinità, rendendo pressoché impossibile l’ingresso regolare degli immigrati in questo paese.
Ma ora il cerchio sembra chiudersi. Non sarà che forse tra le tante risposte che vengono oggi offerte al bisogno di sicurezza dei cittadini nessuna sembra parlare davvero in termini di «vicinanza», di ascolto, di creazione di nuovi legami sociali, di legami tra le persone, tra le troppe individualità e solitudini che compongono spesso le nostre città? Come si può sentirsi sicuri se ci si sente soli, isolati, vulnerabili perché privi di legami con chi ci sta intorno? E’ su questo terreno che credo si possa fare qualcosa per spezzare la spirale dell’odio, il risentimento e la paura. Facendo in modo che le persone si conoscano, si incontrino, escano di casa per «buttare l’occhio sul cortile di fianco» – come suggeriva ieri Elena Loewenthal su queste pagine. Penso alle mille esperienze del volontariato e ai tanti laboratori di solidarietà che esistono nelle nostre città, a tutte le forme dello stare insieme, dai circoli degli anziani ai centri giovanili che hanno cercato in questi anni di resistere alla disgregazione sociale, alla perdita di legami tra le persone, al venir meno della solidarietà nei quartieri, nelle città. Reprimere il crimine è sacrosanto, ma pensare che poi ci si sentirà più sicuri se non si fa qualcosa anche per ricreare dei veri legami sociali nelle nostre città è una pericolosa illusione.