I guasti del libero commercio

Dopo gli ultimi tragici naufragi nel Canale di Sicilia si discute molto della necessità di avviare nuove relazioni di cooperazione con l’Africa. Il governo italiano lancia l’idea di una conferenza euroafricana a Tripoli tra i capi di governo delle due sponde del Mediterraneo. L’idea di fondo di queste nuove iniziative è che occorra dare una mano ai paesi africani per evitare che la popolazione prema alle frontiere della «fortezza Schengen». Ma, finora, i governi europei (Italia compresa) si guardano bene dal promettere che verranno ridiscussi gli accordi commerciali, il vero fucile puntato contro l’economia africana. Ne parliamo con Ferruccio Gesualdi, animatore del Centro Nuovo Modello Sviluppo, che da anni studia le relazioni tra nord e sud. Gesualdi è stato, tra l’altro, un allievo di Don Milani e della sua scuola di Barbiana.
Gesualdi, quali sono i meccanismi che governano i rapporti commerciali tra i paesi del nord e quelli africani?
Il discorso chiaramente è molto lungo e complesso. In via generale possiamo partire da un dato: i paesi del nord del mondo, negli accordi internazionali, hanno finora tentato di mantenere lo status quo. Continuando, ad esempio, a sovvenzionare la propria agricoltura e imponendo invece ai paesi più poveri – che, in molti casi, non avrebbero comunque i soldi necessari – di non farlo. Perdipiù, in nome dei trattati, i paesi poveri sono obbligati ad abbassare le loro tariffe doganali sulle importazioni delle derrate agricole. Come se non bastasse la sovvenzione delle agricolture dei paesi occidentali determina un effetto perverso: i loro prodotti inondano il mercato internazionale causando una diminuzione del prezzo internazionale dei prodotti.
Può fare qualche esempio?
Il Sindacato Internazionale ha denunciato che la produzione di zucchero viene sovvenzionata in Europa con qualcosa come 1.721 miliardi di euro all’anno. Una cifra enorme. Di questi, 1.285 miliardi servono per compensare i prezzi all’esportazione. Mi spiego: siccome si spendono tutti quei soldi per aiutare l’industria di raffinazione dello zucchero europeo si creano degli eccessi di produzione che poi vengono scaricati sul mercato mondiale. Qualcuno ha calcolato che nel 2004 la caduta del prezzo dello zucchero ha provocato a un paese come il Malawi una perdita di 32 milioni di dollari l’anno, e al Mozambico una perdita di 38 milioni.
Non si può pensare a un meccanismo che cerchi di stabilizzare i prezzi dei prodotti?
Il problema è proprio questo: dal 1989 non esistono più accordi che diano stabilità ai prezzi e alla produzione. Questo comporta che i paesi del sud del mondo si sono messi in una posizione di concorrenza sfrenata tra di loro, contribuendo alla caduta libera dei prezzi. A ciò va aggiunto che le ricette del Fondo monetario internazionale hanno imposto a tutti i paesi del sud di dover orientare la loro produzione verso l’esportazione per ripagare il loro debito estero. Chi non aveva industrie o materie prime come i minerali si è così buttato a capofitto nell’aumento della produzione di prodotti agricoli. E il risultato, appunto, è la diminuzione drastica dei prezzi. Ad esempio: nel 2002 il prezzo della qualità «robusta» di caffè – che viene prevalentemente prodotta in Africa – rappresentava il 16,5% del prezzo del 1980. Cosicché, nonostante diversi paesi africani abbiano aumentato l’esportazione agricola, va a finire che incassano di meno.
Qual è la soluzione?
Un discorso serio per aiutare i paesi produttori del sud è uscire da questa tiritera che il commercio è la soluzione di tutto. Bisogna introdurre innanzitutto accordi che diano stabilità ai prezzi e alle produzioni. In poche parole bisogna abbandonare la logica liberista, e porre regole chiare che permettano ai paesi di operare.