Al contrario dell’idealista, ha scritto Althusser, che sa in anticipo da dove viene e dove va, il filosofo materialista è un uomo che «prende il treno in corsa (il mondo, la storia, la sua vita)». Possiamo aggiungere che, dopo essere saltato a bordo, non si siederà in prima classe. Come un guerrigliero messicano, il materialista «assalta» la tradizione, sia essa filosofica o politica, per aprire nuovi percorsi teorici e pratici. E non fa prigionieri. Leggere il Capitale, il volume che raccoglie i seminari di Althusser e dei suoi allievi all’Ecole Normale nel 1965, evoca lo stesso spirito di avventura e di «resistenza» nella teoria: abbiamo tentato – scrive ancora Althusser – di tracciare i nostri sentieri obliqui nell’immensa foresta del Capitale di Marx. Parliamo di questo spirito di avventura con due protagonisti di quel seminario, Etienne Balibar e Yves Duroux. Li abbiamo incontrati a Venezia durante il convegno internazionale dedicato al filosofo francese la scorsa settimana. In quegli stessi giorni è stata presentata al pubblico l’edizione completa di Leggere il capitale pubblicata dalla casa editrice milanese Mimesis.
In quale contesto ha avuto origine questa lettura di Marx?
Duroux. Leggere il Capitale non è apparso come un evento improvviso e imprevisto. All’origine ci sono almeno due fattori. Da un lato gli articoli pubblicati da Althusser in La Pensée, rivista scientifica della grande tradizione del razionalismo critico, fra il 1961 e il 1963. Fondata subito prima della guerra da Langevin e Politzer, la rivista era molto vicina al Partito Comunista, ma godeva di un certo prestigio e di una certa indipendenza. Quei primi interventi avevano già provocato una sorta di agitazione, politica e ideologica.
Un secondo elemento importante è stato l’arrivo di Jacques Lacan all’Ecole Normale all’inizio del ’64, favorito dallo stesso Althusser. I suoi seminari hanno contribuito a questa agitazione e alla produzione di una nuova atmosfera. Dunque all’origine di Leggere il Capitale c’è quest’uomo, con una grande cultura e preparazione, che ha associato all’impresa dei giovanissimi studiosi. Attraverso il seminario, Althusser ha inventato un tipo di lavoro collettivo, che pensiamo fosse totalmente inedito. E questo avveniva attraverso l’attacco a una vera e propria fortezza teorica, cioè Il Capitale di Marx, di cui all’epoca non c’erano molte letture approfondite.
Balibar. Effettivamente questo progetto è il risultato di una congiunzione, dell’«incontro» di più congiunture che si possono vedere in modo concentrico. C’è una micro-congiuntura, cioè le condizioni di lavoro del tutto particolari stabilite da Althusser coi suoi allievi. Condizioni, va detto, che non erano state proposte da lui, ma che proprio gli allievi avevano inizialmente richiesto. C’era poi una congiuntura filosofica, non propriamente francese, ma i cui ingredienti più significativi erano riuniti in Francia: il seminario di Georges Canguilhem, quello di Claude Levi-Strauss, quello di Lacan. Siamo in questo contesto. Il terzo elemento è la congiuntura politico-filosofica generale. In particolare questa «imminenza», insieme desiderata e annunciata, della mutazione del marxismo e di conseguenza della filosofia in quanto tale.
Bisogna poi riconoscere che eravamo estremamente dipendenti da Sartre. Come Althusser aveva voluto affrontare Gramsci in Italia per produrre dei controeffetti, si trattava allo stesso modo di affrontare Sartre per fare qualcosa di diverso. Sartre intendeva costruire, in particolare nella Critica della ragione dialettica, una filosofia per le scienze umane. Un’antropologia filosofica che avrebbe dovuto piazzarsi nel contesto marxista poiché, come diceva, «il marxismo è l’orizzonte insuperabile del nostro tempo». Althusser ci ha suggerito – ma l’idea l’abbiamo avuta insieme – di rovesciare questa impostazione: non tanto un’antropologia entro l’orizzonte del marxismo, ma un nuovo marxismo per spiazzare la problematica dell’antropologia o, come si direbbe oggi, per decostruirla radicalmente.
Quali sono stati il ruolo e il metodo di Althusser in quanto professore?
Balibar. Althusser è stato un grande professore, ma per delle platee piccolissime. I corsi appena pubblicati (De Machiavel à Marx, a cura di François Matheron, Seuil) restituiscono un’idea del suo metodo. Erano preparati nel dettaglio, non era una persona che improvvisava. Il seminario, per cui avrò una riconoscenza eterna per Althusser, era davvero una cosa unica. Vi esprimeva in un certo senso il rovescio del suo sentimento di debolezza. Una grande forza interiore e allo stesso tempo un sentimento di fragilità. Non avete bisogno – ci ha detto – di passare 20 anni ad accumulare materiali filosofici, epistemologici, economici… avete fin d’ora il diritto di parlare sui punti più difficili e importanti, come la critica dell’economia politica di Marx. Dovete lavorare come dei pazzi, ci diceva, ma «potete» farlo. E se potete farlo voi, posso farlo anch’io, perché lo facciamo insieme. Una specie di egualitarismo che non cancella la differenza di esperienze: una magnifica esperienza.
Questo significava per voi prendere il treno in corsa…
Balibar. Senza voler essere né troppo lirico né eccessivamente critico, lo chiamarei insieme lo spirito di avventura e l’avventurismo di Althusser, che è poi lo stesso che ha caratterizzato tutta questa epoca. Althusser lo esprimeva in una formula, indice certo di delirio poiché la si attribuisce a Napoleone: «avanziamo e poi si vede!» Non so neanche se sia veramente sua la frase, ma a lui la si attribuisce… «Avanziamo e poi si vede», significa che non dobbiamo fare dei piani di battaglia per sapere prima ciò che bisogna dire. Non perché non si possa o non si sappia cosa dire, ma perché ci si sbaglia necessariamente. Questa è una delle grandi idee di Althusser: si fanno sempre degli errori. Bisogna allora sbagliarsi coscientemente. Il ché significa entrare in un campo di battaglia teorico, con gli strumenti di cui disponiamo, le letture filofiche, i testi. È il contrario della filosofia analitica e della teoria dell’argomentazione. È piuttosto una concezione strategica e machiavelliana, per cui adeguiamo i nostri argomenti facendo leva sulle reazioni che abbiamo inizialmente provocato. «Voi ne sapete già più di me», ci diceva. Avanziamo le nostre idee, le nostre ipotesi e questo solleverà un polverone. Tutti ci attaccheranno, diranno questo non è Marx, questa non è la dialettica o la scienza. E da queste reazioni impareremo delle cose e trarremo nuovi elementi di conoscenza. Questo facevamo collettivamente. La mia relazione, per esempio, l’avevo preparata insieme a Yves Duroux, che aveva lavorato anche a quella di Rancière.
Come affrontavate la «fortezza teorica» del Capitale?
Duroux. Rispetto all’orizzonte del marxismo, di cui parlava Sartre, Althusser suggeriva uno spostamento leggerissimo ma dagli effetti enormi: non bisogna parlare di marxismo in generale, diceva, ma bisogna leggere Marx e leggerlo in tedesco. Marx non è il marxismo, come il Capitale non è il materialismo storico in generale. Corrisponde un po’ a quello che Lacan aveva fatto per Freud: ci sono delle parole in tedesco come Nachträglich, che dobbiamo «mettere al lavoro»… Per Althusser, ad esempio, era il concetto di Verbindung, che siamo andati a cercare in una parte ‘remota’ e ignorata del Capitale. Una sorta di imperativo dell’ascolto nei confronti del testo.
Quali reazioni ha prodotto «Leggere il Capitale»?
Balibar. Le reazioni sono state estremamente violente, più politiche che filosofiche. Althusser riceveva la stessa critica sia dal Pcf sia dall’organizzazione maoista, i cui membri erano i nostri compagni di studio. Si vedevano come dei nemici assoluti e si consideravano reciprocamente traditori della classe operaia. Avevano però un punto comune, ripetuto a pappagallo, che era: «Compagno Althusser, hai lasciato perdere la lotta di classe». Hai parlato della Verbindung, del modo di produzione, ma hai dimenticato la lotta di classe. E questo è stato bollato in modo infamante come «strutturalismo». C’erano naturalmente altre cose là dentro: ignorare la storia significava ignorare la pratica e la lotta, cioè la soggettività ecc. Tutti erano d’accordo su questo grande «errore», compreso Sartre, per cui Althusser «distruggeva» l’uomo.
Duroux. Peggio, è stata bollata come una nuova ideologia tecnocratica. Non solo ignorava la lotta di classe, ma apportava delle armi al capitalismo nella sua forma moderna!
Il testo ha comunque avuto un grande successo, ma in che modo è stato veramente letto anche da chi lo apprezzava?
Duroux. Sì, un enorme successo, prima in Francia e poi all’estero, in particolare in America Latina. Purtroppo, a partire da un lavoro critico e audace come questo, si è costruita una vera e propria «dottrina», una specie di scuola di formazione teorica e di pedagogia, a cui lo stesso Althusser ha contribuito.
Balibar. Possiamo fare delle ipotesi. Una riguarda la data di pubblicazione, cioè la congiuntura che ha contribuito a produrre la «rivoluzione» del ’68. In questa congiunzione di movimenti si può riconoscere una specie di accumulazione, di potenziale eterogeneo, critico e rivoluzionario, naturalmente utopico e sovversivo, a livello mondiale. Un potenziale propizio alla circolazione di materiali di lotta intellettuale al di là delle frontiere, delle lingue, delle organizzazioni.
Duroux. In ogni caso quella congiunzione, così come la teoria che abbiamo tratto da Leggere il Capitale, era una specie di canto del cigno. Da quella formula: «Senza teoria rivoluzionaria nessuna pratica rivoluzionaria», Althusser aveva liberato di nuovo ciò che sarebbe apparso come una teoria rivoluzionaria nel marxismo, spazzando via l’ortodossia e restituito una certa libertà.
Quali erano, invece, le caratteristiche specifiche che hanno permesso a «Leggere il Capitale» di inserirsi, in quel modo, in quella congiuntura?
Balibar. Il suo successo era dovuto anche alla sua ambiguità, abbondantemente rimproverata dai critici. Althusser e i suoi allievi hanno prodotto questa congiunzione di contrari: un testo erudito ma allo stesso tempo antidogmatico; allo stesso tempo un tentativo di salvare un nucleo di ortodossia del marxismo. Il tentativo, che si è rafforzato negli anni seguenti, quelli di guerra civile fra le piccole frazioni marxiste, di una fusione della «Teoria» e del «Movimento Operaio», come forza motrice della storia. Gli si è rimproverata questa congiunzione altamente paradossale di potenza critica e di rivendicazione dogmatica. Per questo aveva discepoli così diversi, anche maoisti, anche profondamente dogmatici.
Per comprendere cosa è accaduto si può fare un paragone storico – niente più che un paragone – legato alla soggettività di Althusser, ma condiviso con molti marxisti dell’Europa meridionale (francesi, italiani, spagnoli): quello cioè con la chiesa cattolica. Una delle fonti nascoste, ma ben conosciute, di Althusser era Pascal, che ben rappresenta la congiunzione di cui parlavo prima, fra critica e dogmatismo. Un filosofo-teologo, al cuore della Chiesa cattolica, ma non un prete (né Althusser è mai stato un dirigente, non ha mai avuto alcun ruolo all’interno del partito). Un militante, cioè, della grande organizzazione il cui compito è condurre l’umanità verso la salvezza e che si è trasformata in una macchina di errore, di abbrutimento e di oppressione. Da qui l’idea di Pascal, militante della controriforma, di rafforzare la chiesa, di introdurre all’interno del dogma una contestazione radicale della sua interpretazione. L’analogia fra il partito comunista nel XX secolo e la chiesa nel XVI e XVII è abbondantemente indagata (ad esempio da Kolakowski). Era abbastanza evidente che Althusser stava riportando nel partito comunista francese qualcosa che veniva dalla chiesa, e non era il solo. Ovviamente questo non è sufficiente a comprendere ciò che è successo, perché la congiuntura non è la stessa, l’organizzazione non è la stessa e il marxismo non è il Concilio di Trento. Ma l’analogia è interessante.
Come ha reagito Althusser a questo successo e a queste critiche?
Balibar. Ha cercato di adattarsi a questo contesto e al successo che, negli anni successivi, le sue posizioni hanno riscosso. Ha cercato di fabbricare lui stesso delle versioni ad captum vulgi, come direbbe Spinoza, della propria teoria. Ha provato ma non ci è mai riuscito. Ecco perché trovo la pubblicazione del libro su Machiavelli così commovente. Un manoscritto che teneva nel cassetto dal ’62, un lavoro ammirevole per originalità filosofica e stile. Lo tirava fuori di tanto in tanto, faceva una piccola correzione e poi lo rimetteva dentro, senza permettersi di pubblicarlo. Considerava piuttosto all’ordine del giorno scrivere dei manuali, sul modello di Materialismo storico e materialismo dialettico. Ha scritto diversi testi di questo genere, che si arrestano tutti intorno alla pagina 200 o 250. Dopo tre giorni e tre notti di scrittura intensa crollava letteralmente e andava a ricoverarsi in clinica, per tre mesi di cura del sonno.
Leggere il Capitale è un testo ancora leggibile nel contesto attuale?
Balibar. Non so se e come, oggi, questo testo sia ancora leggibile. Il fatto che sia stato ritradotto e pubblicato interamente in italiano è stupefacente. Pensavamo che appartenesse un po’ al passato. Ma capiamo che ci sia la curiosità di vedere se e quali effetti, ancora oggi, può produrre. Tanto più in questo suo secondo paese di nascita, in questa sua «seconda patria». Capiamo che ci sia un po’ di quel: «avanziamo e poi si vede!».