I giorni degli sciacalli miliardari

INVIATO A SAN FRANCISCO

Dopo l’11 settembre si scoprì che degli sciacalli avevano razziato i devastati grandi magazzini delle Twin Towers: erano ignobili iene da strada, che ora però sembrano dilettanti rispetto ai rapinatori in cravatta, telefonino e portatile che stanno sfruttando le migliaia di morti per guadagnare miliardi di dollari in più e per portare in porto iniziative fino a ora bloccate dall’opinione pubblica. La muta è guidata dal vero leader degli Stati uniti, Dick Cheney, il vice presidente più potente nella storia di questo paese.
Già nei primi giorni di ottobre il senato ha approvato con la maggioranza bulgara di 99 a 0 (un solo astenuto, nessun contrario) fondi per la difesa per 345 miliardi di dollari (700.000 miliardi di lire) per il corrente anno fiscale, 100 miliardi di dollari in più rispetto all’anno scorso, dando così al presidente Bush tutto quello che aveva chiesto e qualcosa in più. Le azioni delle industrie belliche sono subito salite in modo spettacolare: per esempio, in un mese il corso delle azioni Raytheon è cresciuto del 36%.

Il pacchetto Bush.

Ma il vero assalto alla diligenza, il colpo grosso nelle casse dello stato (sarà votato questa settimana) è il piano di rilancio dell’economia approvato dalla commissione finanze della Camera con 23 favorevoli e 14 contrari dopo un dibattito astioso. Anche qui, i deputati vanno ben oltre le attese di Bush che aveva chiesto un pacchetto da 60-75 miliardi di dollari (125-160.000 miliardi di lire), per rilanciare un’economia messa k.o. dagli attentati. Gli onorevoli rappresentanti gli hanno invece dato 100 miliardi di dollari (210.000 miliardi di lire), dei quali ben 70 vanno a sgravi fiscali per le imprese e i capitali.
Il pacchetto prevede di aumentare la quota di ammortamento degli investimenti (che viene così sottratta agli utili); di cancellare la corporate minimum tax e di rimborsare qualunque pagamento di questa tassa già versato: la minimum tax era stata introdotta nel 1986 per combattere l’elusione fiscale delle grandi imprese che, tra ammortamenti, oneri finanziari, accantonamenti e così via, finivano per non pagare mai un cent di tassa. Un particolare sconto fiscale, da quest’anno, ma via via più cospicuo nel prossimo decennio, è previsto per le imprese di servizi finanziari che operano all’estero. Secondo il New York Times, la multinazionale che premuto di più è General Electric. La tassa sui capital gains scende dal 20 al 18 per cento per tutti gli investimenti acquisiti da quest’anno in poi e mantenuti per un periodo da uno a 5 anni. Finora il 18 per cento era applicato solo agli investimenti che duravano più di 5 anni, per tagliare fuori i profitti speculativi. Il costo di questo pacchetto nei prossimi dieci anni sale così ad altri 150 miliardi di dollari.
Finiranno perciò nelle tasche dei finanzieri cifre dalle dimensioni da capogiro, superiori all’interno Prodotto interno lordo di molte nazioni di media grandezza.

La corsa all’Alaska.

Ancora più sfacciato, nello strumentalizzare i morti dell’11 settembre, è il piano energetico che ripropone perforazioni petrolifere nella riserva naturale dell’Alaska (Arctic National Wildlife Refuge), che avevano suscitato una rivolta tra gli ambientalisti, memori del disastro ecologico provocato in Alaska dalla Exxon Valdez e intenzionati a salvaguardare questo parco di 80.000 kmq. Perforazioni che erano state decise in un incontro segreto a febbraio tra gli esponenti della lobby petrolifera e il vicepresidente Cheney, anch’egli membro di diritto di questa lobby: fino a luglio scorso era presidente della Hulliburton, la più grande corporation al mondo in strumentazione e tecnologia estrattiva.
Ora l’amministrazione Bush sostiene che queste perforazioni sono imprescindibili per ragioni di sicurezza nazionale, per ridurre le importazioni di petrolio, anche se questi nuovi campi non saranno produttivi per almeno altri sette anni: per di più lo stesso Dipartimento dell’Energia prevede che nei prossimi 20 anni crescerà del 25 per cento l’import di petrolio negli Usa dal Medio oriente e dalla regione del mar Caspio.
Per di più i giorni scorsi hanno dimostrato che il petrolio dell’Alaska è inerme contro il terrorismo. L’11 settembre fu segnalato un dirottamento su un aereo delle Korean Airlines con 200 passeggeri a bordo. Subito nel porto di Valdez fu chiesto di salpare e dirigersi al largo a tutte le navi-cisterna che stavano imbarcando ognuna 100.000 barili l’ora (un barile sono circa 150 litri). Per fortuna la notizia del dirottamento si rivelò falsa: ma fece capire quale immane disastro ecologico scatenerebbe un semplice motoscafo carico di esplosivo lanciato contro una petroliera. E’ bastato un ubriaco che il 4 ottobre ha scricato una pistola sull’oleodotto per spargere ben un milione di litri su un ettaro.

Lobby in campo.

Ma i petrolieri insistono e Bush sciorina la promessa di migliaia di nuovi posti di lavoro in quest’era di recessione. Ha così incassato l’appoggio del potente sindacato dei camionisti (Teamsters), che già vedono un futuro di decine di migliaia di autocisterne in più scorazzare nel selvaggio nord. Anche due senatori democratici sono passati con Bush: Mary Landrieu della Luisiana, uno stato petrolifero, e Daniel Akaka (Hawaii) che si è fatto portavoce dei nativi dell’Alaska favorevolissimi alle perforazioni che, sperano, porteranno nuovo sviluppo economico. Perciò, pur detenendo la maggioranza in senato, i democratici non sono sicuri di vincere, e quindi praticano l’ostruzionismo e redigono un altro disegno di legge. I democratici cancellano le perforazioni e in cambio propongono un gasdotto che – dicono – creerebbe 400.000 posti di lavoro, rispetterebbe la natura e sfrutterebbe risorse che finora vanno sprecate: infatti miliardi di metri cubi di gas vengono già estratti insieme al petrolio, ma sono re-iniettati sotto terra per assenza di gasdotto.

La Silicon Valley.

Fin a qui siamo allo sciacallaggio vero e proprio. Vi sono poi tutti coloro che traggono profitto dalla nuova situazione. Per esempio, qui nella Baia di San Francisco, la Silicon Valley rischiava di perdere tutta la sua prosperità per la recessione e in particolare per il tracollo della New Economy. La necessità di nuove misure di sicurezza, di spionaggio e di nuovo materiale elettronico ha rianimato il settore (basti pensare che solo nelle Twin Towers più di 60.000 computer sono andati persi, comprese più di 20.000 work stations). Anche i corsi azionari hanno ripreso vita: dall’11 settembre la Cisco System è cresciuta del 17%, Oracle del 30%, Qlogic del 38%, Uniphase del 46%.
Trae grande vantaggio anche il settore biotech. Oltre naturalmente alla Bayer (vedi articolo in questa stessa pagina), le azioni Nanogen sono cresciute del 49% dopo l’annuncio di un contratto con l’esercito Usa per sviluppare un chip che individui armi biologiche; il corso delle azioni Avant Immunotherapeutics è salito del 57%, quando si è saputo di contrati col Pentagono sui vaccini. E’ cresciuta del 45% Acambis, una ditta britannica di vaccini che non ha prodotti sul mercato, ma ha contratti con i Centri di controllo e prevenzione delle malattie.

Charities in ribasso.

Un cinico direbbe che l’erba cresce più verde nei cimiteri. Ma, nella politica sociale, l’unica ricaduta positiva della tragedia è che Bush ha dovuto rinunciare al suo piano di delegare alle opere pie e alle associazioni caritatevoli una buona parte dei compiti di assistenza sociale e welfare. E per due ragioni. La prima è che dopo l’11 settembre le charities non ricevono più un dollaro (tutta la filantropia dei cittadini va al World Trade Center Fund). La seconda è che Bush ha congelato i fondi di molte charities islamiche accusandole di finanziare il terrorismo. Se perciò le opere di carità delle diverse confessioni entrassero alla Casa bianca, Bush si troverebbe in un penoso dilemma: o ospitare nella porta accanto associazioni che potrebbero rivelarsi contigue al terrorismo, oppure discriminare le charities islamiche e cioè attentare alla laicità dello stato americano.